Figli dei green bond

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Figli dei green bond

Il 2022 è l’anno delle obbligazioni verdi che hanno fatto da apripista al mercato delle obbligazioni sostenibili: dai social bond fino ai transition bond.

“The sky is the limit”, non ci sono limiti. O almeno così sembra. Stiamo parlando della crescita impetuosa che stanno registrando a livello mondiale i green bond, le “obbligazioni verdi”. Quelle cioè che raccolgono risorse da destinare ad attività e progetti con un impatto ambientale positivo: energie rinnovabili, gestione sostenibile dei rifiuti, tutela della biodiversità, mobilità sostenibile, efficientamento energetico e così via.

Lanciati a livello mondiale nel 2007 su iniziativa della Banca Europea degli Investimenti (BEI), i green bond si sono ormai definitivamente affermati. Si è però sempre rimasti in attesa, per certi versi febbrile, di quello che potrebbe passare alla storia come “l’anno del trilione”: il primo anno, cioè, in cui le emissioni di nuovi green bond a livello mondiale toccano i mille miliardi di dollari. Un traguardo evidentemente anche simbolico, una volta raggiunto e superato il quale i green bond potrebbero prendere a correre ancora più velocemente e finalmente puntare a quello che è da sempre il loro vero, fondamentale obiettivo: shift the trillions, spostare cioè risorse finanziarie ogni anno in modo massivo, nell’ordine appunto delle migliaia di miliardi di dollari, da attività e settori che non aiutano ad affrontare o addirittura aggravano la situazione ambientale e climatica, a quelli che invece possono aiutare a migliorarla.

Trilione a portata

Il 2022, finalmente, potrebbe essere l’anno in cui il trilione di dollari di nuove emissioni verdi si trasforma da miraggio in realtà concreta. Così almeno ha affermato, o quanto meno auspicato, la Climate Bonds Initiative (CBI), fra le principali iniziative globali per la promozione, il monitoraggio e l’analisi del mercato dei green bond, rendendo disponibili i primi dati consuntivi relativi al 2021. Dati che fanno davvero rumore, perché dicono che l’anno scorso le nuove emissioni di green bond hanno superato i 500 miliardi di dollari (+60% sull’anno precedente, quando avevano sfiorato i 300 miliardi di dollari), segnando un nuovo record. Che per giunta arriva al termine di dieci anni di crescita ininterrotta e sempre più accelerata: basti pensare che era solo novembre del 2017 quando si toccavano per la prima volta i 100 miliardi di dollari di nuove emissioni annuali (un quinto di quelle del 2021). La progressione si rivela impressionante anche quando si considerano i dati sul valore cumulato delle emissioni: i primi 100 miliardi di dollari di emissioni cumulate di green bond sono stati raggiunti a fine 2015. Cinque anni dopo, a dicembre del 2020, si è arrivati a un trilione di dollari, cioè dieci volte tanto. A fine 2021, le emissioni cumulate di green bond hanno già superato il trilione e mezzo di dollari.

Sebbene non siano all’insegna dell’ottimismo quanto quelle di CBI, anche le previsioni di Moody’s sul mercato dei green bond per l’anno in corso parlano chiaro: le emissioni di green bond dovrebbero toccare nel 2022 i 775 miliardi di dollari. Ma a crescere si prevede che sarà tutta quella che si può considerare ormai la “famiglia” dei bond sostenibili, per i quali complessivamente Moody’s si attende nel 2022 nuove emissioni per 1,35 trilioni di dollari.

Non solo green bond

Uno dei grandi meriti che vanno riconosciuti ai green bond, infatti, è stato quello di aprire la strada sulla quale poi hanno iniziato il loro percorso altre tipologie di obbligazioni che si possono considerare “figlie” dei green bond. E che hanno finito in pratica, pur remando dalla stessa parte, per far loro una certa concorrenza. Dopo i green bond propriamente detti, sul mercato sono sbarcati i social bond, i sustainability bond, i sustainability-linked bond, i transition bond. Tutti con sfumature diverse, e peculiari, ma tutti in sostanza riconducibili come modello ai green bond. Nel 2021, sempre secondo le rilevazioni di CBI, le emissioni complessive relative a tutte queste tipologie di bond hanno addirittura superato quelle dei green bond: quasi 650 miliardi di dollari, con una crescita del 50% rispetto al 2020, anno in cui, anche sulla spinta dei pandemic bond (un sottoinsieme dei social bond) introdotti in risposta alla pandemia Covid-19, avevano passato i 430 miliardi di dollari.

A dare una spinta considerevole al mercato dei green bond negli ultimi anni e in particolare l’anno scorso sono arrivati gli Stati. Al club degli emittenti sovrani di obbligazioni verdi, inaugurato dalla Polonia verso la fine del 2016, si sono aggiunti ad esempio l’anno scorso anche i due Paesi co-organizzatori della COP26 di Glasgow. Vale a dire il Regno Unito, con il suo primo “green gilt” da 10 miliardi di sterline, e l’Italia, dove il mercato dei green bond è stato inaugurato nel 2014 (con il primo green bond emesso da Gruppo Hera) e dal 2017 è stato aperto da Borsa Italiana un segmento di mercato specificamente dedicato alla negoziazione di green e social bond. Il ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) a marzo scorso ha infatti emesso il primo BTP Green, che ha riscosso anch’esso – com’è pressoché la norma per le emissioni di titoli sovrani green – un grande interesse da parte del mercato, con la domanda complessiva (80 miliardi di euro) che ha superato di quasi dieci volte l’ammontare in collocamento (8,5 miliardi di euro). BTP Green di cui di recente tra l’altro il Mef ha annunciato la riapertura. Da sottolineare al riguardo l’indicazione, nel documento del Quadro di riferimento per l’emissione di titoli di Stato Green pubblicato dal Mef, di quali siano i settori che possono essere finanziati con le risorse raccolte attraverso il BTP Green: ad esempio le fonti rinnovabili, l’efficienza energetica, l’economia circolare, la tutela della biodiversità; fra gli esclusi, invece, i combustibili fossili, il gioco d’azzardo, il tabacco, la produzione di armi.

Europa protagonista

E poi c’è l’Europa, che sul mercato dei green bond potrebbe svolgere un ruolo da protagonista assoluto nei prossimi anni. Anzi, ha già iniziato a farlo. A ottobre dello scorso anno, infatti, la Commissione europea ha emesso il primo greend bond (da 12 miliardi di euro, con richieste che hanno superato i 135 miliardi di euro) collegato al programma Next Generation Eu per il sostegno alla ripresa post-pandemia. Entro il 2026 per finanziare circa il 30% del programma la Commissione Ue ha intenzione di emettere green bond per complessivi 250 miliardi di euro, il che ne farebbe di gran lunga il primo emittente di questi titoli a livello mondiale. Non solo, perché nell’ambito del Piano d’azione per la finanza sostenibile è anche prevista la definizione di uno standard europeo per i green bond, in riferimento al quale è in corso il processo legislativo. Una regolamentazione che ad esempio la Banca Centrale Europea non solo ha accolto con favore ma ha anche auspicato possa essere introdotta come obbligatoria. Il che ovviamente contribuirebbe ad aumentare il livello di trasparenza sui green bond, costituendo un cambio di passo rispetto ai principi e linee guida volontari di ICMA (International Capital Market Association) a cui si fa oggi riferimento a livello internazionale, per i green bond come per tutti gli altri bond sostenibili.

Tornando alle previsioni, CBI si è spinta anche oltre il 2022. Per la precisione fino al 2025: allora le nuove emissioni di green bond si ipotizza possano toccare i 5 mila miliardi di dollari l’anno. Sarebbe la traduzione in concreto di quanto il Ceo di CBI, Sean Kidney, predica da anni (come dice chiaramente anche nella didascalia del suo account Twitter). Cioè che il tempo rimasto a disposizione per cercare di sistemare le cose, con riferimento in primo luogo alla lotta alla crisi climatica, è scarso, molto scarso. Quindi non basta camminare, bisogna correre.

Giornalista, blogger, storytweeter. Laurea alla Bocconi. Da metà anni ’90 segue il dibattito sui temi di finanza sostenibile, csr, economia sociale. Blogga su mondosri.info. Homo twittante.​​​​