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Si parla spesso dell’idrogeno come elemento chiave per la transizione energetica verso un’economia decarbonizzata. Cosa c’è di vero? Il libro di Alessandro Lanza, docente di Energy and Environmental Policy presso la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli, aiuta anche chi non ne sa nulla.
Energia arcobaleno è un libro snello che aiuta un lettore generalista a farsi un’idea più precisa della risposta e a capire cosa ci riservi il futuro, il tutto con l’ausilio del ragionamento e dei dati. Alessandro Lanza ci accompagna in questo viaggio all’interno dell’idrogeno con uno stile godibile e ricco di toccate e fuga nella narrazione, a partire dall’efficacissima breve storia delle transizioni energetiche (plurale d’obbligo) con cui il libro ha inizio.
Ma l’obiettivo è spiegare l’economia dell’idrogeno senza cedere il passo né ai catastrofismi disperanti di chi dice: “è soltanto una moda passeggera”, né agli entusiasmi sbarazzini di chi pensa di avere trovato la pietra filosofale sul sentiero della decarbonizzazione. Cinque brevi capitoli che entrano nello specifico e rispondono ad alcune domande: cos’è l’idrogeno e come lo si produce? Quando sarà possibile avere una quantità significativa di idrogeno? Per quali utilizzi potrà rivelarsi prezioso? Chi paga il conto della cena?
Partire dai fondamentali significa spendere parole sulla distinzione tra fonte energetica o vettore, perché l’idrogeno rientra nella seconda categoria. L’idrogeno è l’elemento più diffuso dell’universo, ma il fatto è che non ci sono né dobbiamo pensare a giacimenti di idrogeno molecolare (H2), quello che interessa per liberare energia. L’idrogeno presente sulla Terra appare sempre come elemento di un composto: nell’acqua ce lo ricordiamo tutti insieme all’ossigeno ed è presente con atomi di carbonio per formare il metano.
Produrre idrogeno, dunque, significa estrarlo dai composti dove è già presente. È un vettore perché porta con sé energia che può essere liberata in modi e tempi debiti. L’idrogeno può fare da combustibile ed ha una serie di vantaggi: non produce, bruciando, CO2, ma solo vapore acqueo, e ha una buona densità energetica che garantisce efficienza nelle sue applicazioni. Inoltre, l’idrogeno, da buon vettore, trasporta energia e ne può essere magazzino: proprio il suo potenziale di stoccaggio ne fa un’opzione interessante per il futuro.
Abbiamo detto che l’idrogeno, per essere prodotto, va estratto dai composti dove si trova, il che significa che serve energia per compiere l’operazione ed è proprio da ciò che derivano i colori dell’arcobaleno con cui viene classificato l’idrogeno: grigio (da gas metano), rosa (da energia nucleare), blu (da gas metano ma con il recupero della CO2 prodotta attraverso sequestro e stoccaggio), verde (da energie rinnovabili).
Energia arcobaleno descrive brevemente e con semplicità la tassonomia e si concentra poi sulla domanda chiave: quale sarà il ruolo dell’idrogeno nella transizione energetica? Quello energetico è un problema complesso e primo compito di chi se ne occupa è sgomberare il campo da facili speranze. Non esiste una killer app, insomma: si invoca qua e là la storia della fusione nucleare, speranza e monito contro le soluzioni chiavi in mano.
Più che considerare l’idrogeno come la panacea a ogni male, sarebbe opportuno pianificare investimenti e progetti con l’obiettivo di fare dell’idrogeno, appunto, una freccia all’arco della decarbonizzazione. Negli scenari più rosei dell’Unione Europea, la quota dell’idrogeno sul mix energetico passerebbe dal 2% attuale al 14% nel 2050. Può sembrare poco, ma è un impatto significativo e, di nuovo, in un approccio di contributo marginale significa concentrarsi su quelli che potrebbero essere razionalmente gli impieghi più saggi dell’idrogeno: farne un componente importante nei cosiddetti settori hard to abate (acciaierie o siderurgico, per esempio), in cui la maturità tecnologica è già molto sviluppata; sfruttarne la flessibilità di impieghi in un’ottica di sector coupling, o integrazioni delle reti, servendosi dell’idrogeno verde al fine di immagazzinare l’energia prodotta da fonti rinnovabili non programmabili, in questo modo sfruttando le sinergie tra la filiera elettrica, la filiera del gas e i settori di uso finale.
Il libro di Lanza è perfetto nel descrivere le grandi opportunità e i vantaggi che deriverebbero dall’uso dell’idrogeno come elemento importante delle strategie di decarbonizzazione, ma è pure preciso nell’evidenziare alcune criticità: l’immaturità tecnologica di molte soluzioni, i costi non ancora competitivi, l’inerzia comportamentale degli utenti finali.
Il peso medio delle risorse destinate in Europa dai PNRR (Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza) all’idrogeno è di circa il 7% sui fondi destinati alla green transition. E questo 7% è una media tra paesi, come la Germania, in cui i tempi sono più maturi e la percentuale sale al 25%, e altri in cui essa scende anche sotto al 5%. L’Italia destina all’idrogeno nel PNRR circa 3 miliardi di euro, gran parte dei quali allocati per i settori hard to abate.
Non è miopia crudele, ma il modo in cui l’agire umano è spesso condizionato in contesti di rischio e incertezza: sguardo al breve e non troppo peso, conseguentemente, a un futuro ancora lontano. Ma libri come Energia arcobaleno non sono pessimisti, anzi. Sono salutari descrizioni dello stato dell’arte e del quadro rispetto a temi di rilevanza politica e, dunque, in ultima istanza, sui quali anche noi cittadini possiamo e dobbiamo formarci opinioni informate. L’idrogeno non rappresenta, probabilmente, la soluzione ultima al problema della crisi climatica, ma nemmeno è da considerarsi come risorsa insignificante per il policy maker.