Adattarsi al clima: le città cambiano colore
Le aree urbane risentono più delle aree rurali del surriscaldamento globale. Il cosiddetto “effetto isola di calore” può aumentare le temperature di 4-5 gradi centigr
L’area attorno al Polo Nord risente maggiormente del riscaldamento globale. Per questo motivo studiosi da tutto il mondo vi trascorrono lunghi periodi per raccogliere quante più informazioni utili. Fra loro anche gli italiani del CNR.
L’area attorno al Polo Nord risente maggiormente del riscaldamento globale. Per questo motivo studiosi da tutto il mondo vi trascorrono lunghi periodi per raccogliere quante più informazioni utili. Fra loro anche gli italiani del CNR.
Ci sono luoghi sulla faccia della Terra nei quali gli effetti del surriscaldamento globale sono più evidenti. Per ironia della sorte si tratta quasi sempre di veri e propri santuari naturalistici come gli atolli del Pacifico o gli arcipelaghi dell’Oceano Indiano, per non parlare delle aree polari. E proprio un gruppetto di isole del Mar Glaciale Artico, le Svalbard, a un tiro di schioppo dal Polo Nord, sono diventate un laboratorio avanzato per gli studi dei cambiamenti climatici. Le notizie provenienti da questo angolo di mondo apparentemente incontaminato non sono delle migliori. Sulla base delle misure acquisite negli ultimi 30 anni infatti, si è osservato un aumento della temperatura media dell’aria di 1,4 gradi ogni dieci anni. Ce lo conferma Angelo Viola, primo ricercatore dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISAC-CNR) e coordinatore scientifico delle attività alle Svalbard, veterano di questi luoghi dalle lunghe notti polari e dalle brevissime estati, che svolge il proprio lavoro, come tanti altri scienziati italiani, a Ny Alesund nella stazione artica chiamata “Dirigibile Italia” in onore alla spedizione al Polo nord guidata dal generale Umberto Nobile nel 1928.
«L’aumento della temperatura dell’aria – spiega Viola – è stato rilevato anche dalle misure effettuate alla Amundsen-Nobile Climate Change Tower, che è l’infrastruttura scientifica simbolo della nostra base in artico. Su questa torre alta 34 metri sono stati installati diversi tipi di strumenti in grado di misurare i parametri dell’atmosfera, dalla temperatura all’umidità alla pressione, al vento, alla radiazione solare, alla temperatura della neve. Tutti questi parametri costituiscono la base di informazioni necessarie per comprendere le interazioni e le correlazioni tra i diversi processi di scambio di energia tra la superficie e l’atmosfera localmente, ma costituiscono un’informazione fondamentale per la comprensione a grande scala dell’impatto sull’artico dell’aumento dei gas serra ( e quindi della temperatura) prodotti delle attività umane alle nostre latitudini ».
La scala dei tempi climatologici in generale è dell’ordine di una ventina/trentina di anni ma data la rapidità dei processi anche solo 10 anni sono sufficienti a comprendere dove sta andando il clima del pianeta. L’aumento della temperatura globale sta già determinando conseguenze evidenti . «Si pensi al permafrost, ovvero lo strato di terreno delle regioni polari perennemente congelato. Durante l’estate – continua Viola – la parte superficiale si scongela per qualche metro (strato attivo) per poi ricongelarsi con l’arrivo delle basse temperature invernali. Negli ultimi anni si è osservato che lo strato attivo sta aumentando di spessore con conseguenze sulla stabilità del terreno ma soprattutto determinando un aumento di rilascio di gas serra (metano e CO2) intrappolati nel suolo, con un ulteriore contributo al riscaldamento globale. Il surriscaldamento favorisce anche un’accelerazione dello scioglimento della neve e dei ghiacciai terrestri, e della fusione del ghiaccio marino. In particolare sul mare si riduce la superficie riflettente bianca (del ghiaccio) e aumenta la superficie assorbente scura (del mare) con la conseguenza che il mare assorbe una maggiore quantità di calore amplificando ulteriormente il processo di scioglimento della banchisa. In sostanza, si sta determinando una destabilizzazione dell’equilibrio termico del pianeta nella regione polare artica. Gli effetti si risentono anche alle medie latitudini che a seguito della instabilità del vortice polare, si manifestano con spostamento di masse di aria fredda verso le nostre latitudini e viceversa lo spostamento di masse di aria calda verso nord come è successo, per fare un esempio, a dicembre 2018 quando la temperatura dell’aria alle Svalbard ha raggiunto +2 °C. Una anomalia considerata come evento meteorologico ma se queste anomalie sono in aumento negli anni non possiamo fare a meno di preoccuparci perché quello che succede in artico non rimane in artico».
Gli scenari descritti dagli scienziati non promettono nulla di buono. La fusione delle calotte polari e del ghiaccio delle regioni artiche, oltre al ben noto aumento dei livelli del mare, potrebbe causare una vera e propria emergenza sanitaria. Ne sono convinti i climatologi russi del Melnikov Permafrost Institute di San Pietroburgo. Lo scioglimento dei ghiacciai siberiani, riscontrato principalmente nella repubblica russa della Jacuzia, starebbe per provocare l’emersione di spore di antrace intrappolate nel permafrost da circa 2500 anni. Una volta liberate, queste, trasportate dalle correnti, potrebbero rapidamente diffondersi in tutto il pianeta.
Un altro team di ricercatori, invece, composto da scienziati dell’Università di Plymouth, dell’Università di Sheffield (Regno Unito), dell’Università Bicocca di Milano, dell’Università della Scienze e della Tecnologia della Polonia, dell’Università della Columbia Britannica (Canada) e di altri istituti sparsi per il mondo, ha lanciato un allarme sul pericolo radioattività. Poiché le particelle radioattive sono molto leggere, quando vengono eseguiti test nucleari o accadono incidenti, come quello di Chernobyl, nell’ex Urss e di Fukushima in Giappone, le correnti atmosferiche le trasportano anche molto lontano fino a raggiungere i ghiacciai. Il materiale radioattivo tende ad accumularsi in strati densi e concentrati, che restano intrappolati nel ghiaccio fino allo scioglimento, quando vengono liberati nell’ambiente entrando nella catena alimentare con conseguenze difficili da quantificare ma di certo immaginabili.
Facile comprendere, quindi, come il contenimento delle temperature globali sia un requisito imprescindibile per cercare di avviare una lenta inversione di tendenza di questo trend negativo. Secondo una recente ricerca di un gruppo di ricercatori del Potsdam Institute for Climate Impact Research, in Germania, i livelli attuali di gas serra sono i più alti da 3 milioni di anni, quando le temperature medie globali erano superiori di circa 3°C e gli oceani più alti di venti metri.