CoP28 non è una favola natalizia

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CoP28 non è una favola natalizia

Credevo che una Conferenza sul clima presieduta da un petroliere avrebbe affossato finalmente lo sviluppo delle energie fossili e credevo anche a Babbo Natale. O forse non esiste?

I sunti dell’ultima CoP 28 ormai sono tanti: un compromesso che, come sempre, accontenta chi vede il bicchiere mezzo pieno e indigna il partito del bicchiere mezzo vuoto. Non si è detto phase out (abbandono) e neanche phase down (graduale abbandono), di petrolio e carbone, ma è stata consacrata la necessità di “transitare” verso nuove soluzioni, anche eliminando i sussidi più distorsivi e disfunzionali e migliorando l’efficienza energetica – fare di più con meno – in tutti i settori. Ma non è tutto, e neanche la parte più importante di una CoP che è stata un successo per le ragioni peggiori. Proviamo a sbirciare dietro le quinte.

Io credevo che una CoP clima presieduta da un petroliere avrebbe affossato finalmente lo sviluppo delle energie fossili; e credevo anche a Babbo Natale. O forse non esiste? Che sarebbe stata una contesa era chiaro fin dal principio, e come ogni contesa, i combattenti avevano una strategia: non ci sono buoni e cattivi, solo interessi contrastanti ma che paiono onestamente leciti e giustificati dal punto di vista di chi li difende. Allora:

  • da un lato i “petrolieri” in attacco, a sostenere che «se abbandoniamo i fossili si ritorna all’età della pietra». Follia e disonestà? La regione che ha espresso questa frase – per bocca del presidente della CoP – fino allo sviluppo della sua industria estrattiva, viveva di magra agricoltura e pastorizia desertica e forse nel loro vissuto quelle parole hanno ha un significato diverso, un appello sentito e potente in difesa della risorsa che ha segnato una svolta epocale per la penisola arabica. Forse non totalmente razionale, visto che il Max Planck Institute – e quindi non una faziosa combriccola di verdi – proietta che la penisola sarà inabitabile entro la fine del secolo se non si correggono decisamente le dinamiche climatiche. Ma, tant’è, «meglio un uovo oggi che una gallina domani» è un principio che inconsciamente ci muove tutti e dappertutto. I «gilet gialli» che hanno messo a ferro e fuoco la Francia a causa di una tassa ecologica sul carburante lo dicevano così: «fra la fine del mondo e la fine del mese, mi preoccupa questo mese». Non ci sono buoni e cattivi.
  • dall’altro un gruppo composito – la scienza, le nazioni più fragili, Paesi più ricchi ma schierati più o meno coerentemente per un necessario cambiamento – e i tanti autori individuali di un lavorio ormai trentennale per mettere sotto controllo la minaccia più esiziale dell’intera storia umana. E loro, l’esercito di Babbo Natale e di chi ancora si ostina a credere che possiamo salvarci, hanno risposto con una mossa di judò che, notoriamente, sfrutta l’impeto dell’avversario per metterlo a tappeto.

Lo slancio in attacco del Paese ospite era partito molto forte: sbloccare i tanti e importanti processi ingrippati da anni alla CoP in tutti i settori diversi da quello energetico. Così, tutta l’influenza anche economica del mondo fossile si è dispiegata per un anno ottenendo progressi impensabili nel loss and damage – gli aiuti per i paesi più fragili ed esposti ma meno colpevoli – nel varare finalmente una finanza climatica per l’adattamento, nello sdoganare e finanziare i nature based approaches, strategie fondamentali di protezione dell’ecosistema come miglior garante dell’equilibrio climatico. Il calcolo era di ottenere in cambio una certa tolleranza sui dossier energia; però Babbo Natale li ha presi per la manica, ha incamerato tutti i progressi come dovuti, ma sull’energia non ha ceduto. Alla fine, non è caduto nessuno – un equilibrio di compromesso come si è detto – ma il tabellone degli elfi segna più punti.

Un successo? Sì, restando nella logica del gioco dei negoziati. Ma se facessimo anche noi un passo indietro a osservarci con distacco, come forse dovrebbero fare i “petrolieri” intenti a difendere il meccanismo che renderà la loro stessa patria inadatta alla vita umana? Nel mondo reale phase out, phase down o transit from non fa la minima differenza. Conta sapere che stiamo andando troppo lenti per disinnescare dei vicinissimi punti di collasso oltre i quali il pianeta diventa ostile per tutti. E conta la risposta dell’economia reale, ricordandoci che il suo vero decisore è il versante della domanda: si produce solo quello che i consumatori chiedono. Ed è allora inevitabile un giudizio su questa CoP28 che è anche un tirare le somme di tutte le altre 27: la CoP non basta più. Se vogliamo salvarci abbiamo pochissimo tempo e deve scendere in campo il vero decisore finale, che non è né la finanza né l’industria, né tantomeno la politica. Siamo io e te, con le nostre scelte. E a questo sarà dedicato il prossimo post per un nuovo anno, un 2024, che deve cambiare tutto.

È​ Vice Segretario Generale per l’Energia e l’Azione Climatica dell’Unione del Mediterraneo. È​ un diplomatico italiano ed è stato coordinatore per l'eco-sostenibilità della Cooperazione allo Sviluppo. È stato delegato alle Nazioni Unite, console in Brasile, consigliere politico a Parigi e, alla Farnesina, responsabile dei rapporti con la stampa straniera e direttore del sito internet del Ministero degli Esteri. Da una ventina d'anni concentra la sua attenzione sui cambiamenti climatici. Nel 2009 la Ottawa University in Canada gli ha affidato il primo insegnamento attivato da un'università sulla questione ambiente, risorse, conflitti e risoluzione dei conflitti. Collabora da tempo con il Climate Reality Project, fondato dal premio Nobel per la pace Al Gore.