Cop 23 di Bonn: clima non c’è più tempo

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Cop 23 di Bonn: clima  non c’è più tempo

La conferenza Cop 23 di Bonn ha lasciato molte soluzioni in sospeso. Il prossimo appuntamento è in Polonia dove società civile e delegazioni ufficiali si ritroveranno nel 2018. Cosa c'è da fare.

La conferenza Cop 23 di Bonn ha lasciato molte soluzioni in sospeso. Il prossimo appuntamento è in Polonia dove società civile e delegazioni ufficiali si ritroveranno nel 2018. Cosa c’è da fare.

​​​​«Il fatto più eclatante accaduto alla Cop 23 di Bonn è il sorpasso della società civile sulle delegazioni ufficiali. Per la prima volta, il cuore della conferenza non è stato rappresentato dai negoziati ma da ciò che avveniva nell’area dedicata alle organizzazioni non governative, ai cittadini, alle iniziative dal basso». Maria Grazia Midulla, responsabile clima del Wwf Italia, parlando ad un side event organizzato dall’Italian climate network  ha colto la vera caratteristica della ventitreesima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima: la doppia velocità.​

I negoziati delle migliaia di delegati giunti in Germania sono stati, ancora una volta, complessi, forieri di stop and go, ostacoli, divisioni. I paesi industrializzati e i paesi in via di sviluppo, gli inquinatori e le vittime, quelli del carbone pulito e quelli delle soluzioni sostenibili. L’America di Donald Trump e quella del We are still in. La Cop 23 delle discussioni tra i governi e quella della società civile. Simbolicamente divise in due zone distinte (e lontane) del World conference center: la Bonn zone e la Bula zone, anche queste rappresentative del fatto che siamo in Germania, ma la presidenza è delle Isole Fiji.

«Alcuni paesi arrivano a questo genere di eventi con sincera passione, altri se ne servono come se fossero delle vetrine», ha spiegato a LifeGate Arlette Soudan-Nonault, ministro dell’Ambiente della repubblica del Congo. Eppure, per molti la lotta ai cambiamenti climatici è al contempo una questione di sopravvivenza e di giustizia climatica. «Noi africani emettiamo il quattro per cento delle emissioni globali di gas ad effetto serra, ma subiamo la maggior parte delle conseguenze dello sconvolgimento del clima. È per questo che ripartiamo da Bonn con un bilancio fatto di luce e ombre, anche se siamo contenti del fatto che l’Africa abbia potuto parlare finalmente con una sola voce».

A comprendere l’urgenza dell’azione e la necessità di superare le divisioni internazionali in nome della concretezza sono stati certamente la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) e l’Organizzazione mondiale della sanità, che hanno sfruttato la risonanza della Cop 23 per lanciare un’iniziativa mondiale con l’obiettivo di rispondere all’impatto che la crescita della temperatura media globale avrà sulla salute della popolazione mondiale. Obiettivo: far sì che tutti gli stati che attualmente risultano dotati di strutture sanitarie insufficienti possano ricevere un sostegno adeguato per proteggere i loro abitanti e rafforzare la loro resilienza di fronte alle minacce incombenti.​

Patricia Espinosa, segretaria esecutiva dell’Unfccc ha commentato dichiarandosi «particolarmente felice del fatto che la collaborazione tra i nostri due istituti possa fare un salto di qualità, spingendoci ancor di più verso l’azione. L’Accordo di Parigi richiede che si uniscano tutte le forze al fine di tutelare la salute della popolazione mondiale». La situazione è d’altra parte serissima e in parte già compromessa: secondo le due organizzazioni si potrebbero registrare, tra il 2030 e il 2050, circa 250mila morti all’anno in più rispetto ai livelli attuali. A causa di malnutrizione, diarrea, malaria e altre patologie aggravate dai cambiamenti climatici.

Alla Cop 23 è stata inoltre messa a punto l’iniziativa Water for Africa, cioè Acqua per l’Africa, già avviata nel corso della ventiduesima conferenza tenuta un anno fa a Marrakech, in Marocco. L’idea è di federare i progetti che riguardano le risorse idriche, al fine di facilitarne il finanziamento. Il tutto in previsione del fatto che la quota di popolazione africana che subisce situazioni di stress idrico, come confermato dal segretario di stato del Marocco Charafar Afailal, passerà dal 47% del 2000 al 65% del 2025.

Chi affronta in prima linea i cambiamenti climatici, dunque, a Bonn ha cercato (e in parte trovato) soluzioni. Ma quanto ci vorrà ancora affinché la questione climatica smetta di rappresentare un terreno di scontro e diventi una battaglia condivisa dall’intera comunità internazionale?

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