Adattarsi al clima: le città cambiano colore
Le aree urbane risentono più delle aree rurali del surriscaldamento globale. Il cosiddetto “effetto isola di calore” può aumentare le temperature di 4-5 gradi centigr
Saranno le città a produrre l'accelerazione urgentemente necessaria, che finora non è arrivata dagli Stati, nella lotta contro l'emergenza climatica?
A metà dicembre il Consiglio comunale di Torino ha votato a larghissima maggioranza una mozione con cui il capoluogo torinese è diventato la prima città italiana ad aderire al Trattato di Non-Proliferazione delle fonti fossili di energia. Un’iniziativa, quella del #FossilfuelTreaty, già sostenuta da oltre settanta fra città e governi regionali di tutto il mondo, fra cui parecchie capitali: ad esempio Amsterdam, Edinburgo, Londra e Parigi in Europa, Ottawa in Canada, Lima e Port-au-Prince in America Latina e Caraibi.
Negli Stati Uniti, più o meno negli stessi giorni, il Consiglio comunale di Los Angeles diceva stop alla ricerca di nuovi pozzi di petrolio o giacimenti di gas e ordinava a quelli già esistenti di chiudere i battenti nel giro di vent’anni. Intanto sedici municipalità di Porto Rico facevano causa a un folto gruppo di società dell’oil & gas accusandole di aver cospirato, insieme ad associazioni di categoria, centri studi e scienziati, per ingannare intenzionalmente il pubblico in merito al reale impatto climatico della loro attività e dei loro prodotti fossili: un’altra climate litigation, con la novità però che per la prima volta si è fatto riferimento nella causa a una legge federale statunitense degli anni ’70 (RICO-Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act) pensata non certo in chiave ambientale ma per combattere il racket e la criminalità organizzata. Andando un po’ più indietro nel tempo, ma non di molto, nella primavera del 2021 Amsterdam aveva fatto notizia per essere diventata la prima città al mondo a mettere al bando nella sua metropolitana la pubblicità legata a prodotti ad alta intensità di gas climalteranti (come, ovviamente, quelli fossili): un esempio che avrebbero poi seguito altre città nel mondo, fra cui la scorsa estate Sydney. Ancora Amsterdam, infine, nel 2020 era stata la prima città al mondo ad abbracciare le teorie dell’economia della ciambella (“doughnut economics”), sviluppate dall’economista britannica Kate Raworth, per ridefinire il suo modello di sviluppo sociale ed economico post-pandemia Covid-19.
Si potrebbe continuare a lungo. Questi sono, infatti, solo alcuni dei tantissimi esempi del protagonismo delle città, in particolare di quelle più grandi, nel contrasto all’emergenza climatica. Più in generale, nella messa in pratica di iniziative, azioni, soluzioni concrete finalizzate ad abbandonare la dipendenza del nostro modello di sviluppo dalle fonti fossili e ad accelerare la transizione verso un modello low-carbon, climate-friendly, resiliente, sostenibile, a prova di futuro o come lo si vuol chiamare. La forza dell’azione delle città, inoltre, sta nel fatto che spesso riescono ad agire in modo coordinato a livello globale, all’interno di network e alleanze nati proprio per definire, condividere, applicare, diffondere su scala sempre più vasta le migliori pratiche nell’azione per il clima e l’ambiente.
Uno dei network più noti è quello di C40 Cities, così chiamato perché nei primissimi anni raggruppava appunto quaranta tra megalopoli e grandi città di tutto il mondo, che oggi sono diventate un centinaio (per l’Italia ne fanno parte Milano e Roma) e complessivamente rappresentano una popolazione residente di circa 700 milioni di persone. Nel 2019 ha lanciato il Global Green New Deal per promuovere un’azione climatica fondata sull’approccio collaborativo e sulla scienza. A inizio 2021 per alzare ancora l’asticella ha lanciato i Leadership Standards, che obbligano i suoi membri a compiere una serie di passi, fra cui ad esempio adottare e aggiornare piani di azione climatica allineati con gli obiettivi più sfidanti dell’Accordo di Parigi. Fra i vari programmi e iniziative attraverso cui opera ci sono gli acceleratori, come ad esempio quello sul disinvestimento dalle fonti fossili di energia. Al riguardo, all’ultimo appuntamento annuale del C40 Summit che si è svolto a ottobre a Buenos Aires, il sindaco di Londra Sadiq Khan, presidente di C40 Summit, ha chiesto in modo chiaro e netto lo stop all’esplorazione, ai sussidi, agli investimenti in fonti fossili: «L’umanità – ha affermato – sta trasformando rapidamente il clima in un’arma di distruzione di massa. Quando è troppo è troppo».
Costituito nel 2016, fra i principali network di riferimento globali per l’azione sul clima delle città c’è il Global Covenant of Mayors for Climate & Energy (GCoM), nato dall’unione tra il Compact of Mayors e il Covenant of Mayors promosso dall’Ue. I numeri che può vantare ne fanno la più vasta alleanza internazionale sul clima con protagoniste le città: ne fanno parte infatti circa 13mila città, da tutti i continenti, la cui popolazione complessiva supera il miliardo di persone. Fra i suoi obiettivi c’è una riduzione delle emissioni climalteranti di quasi 2 gigatonnellate di CO2 equivalente all’anno entro il 2030. Prestigiosi i due co-presidenti, l’inviato speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per l’Azione sul Clima, Michael Bloomberg, e il vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans. Tre sono le principali iniziative sui cui GCoM, il cui Segretariato globale ha sede a Bruxelles, è attivo: Data4Cities, Innovate4Cities e Invest4Cities, che mirano a fornire alle città gli strumenti necessari (dati e standard di misurazione, accesso a risorse finanziarie, ricerca e innovazione tecnologicamente avanzate) per rendere la loro azione massimamente efficace e scalabile.
Fra i partner di GCoM vi sono numerosi altri network e iniziative che promuovono l’azione sul clima di città e governi locali nel mondo: oltre allo stesso C40 Cities, figurano ad esempio la Climate Alliance (una delle reti con più storia alle spalle, nata nel 1990) e l’europeo Energy Cities, focalizzato sulla transizione energetica verso città “future-proof” (nel cui ambito è attivo l’hub Fossil-free cities). Da citare anche la Carbon Neutral Cities Alliance, che ha come obiettivo prioritario la neutralità climatica nel giro di 10-20 anni, il Resilient Cities Network, che lavora per città sempre più resilienti a qualsiasi tipo di shock, climatico ma non solo, e Cities4Forests, rete di un’ottantina di città in tutto il mondo che lavorano per rimettere in connessione lo sviluppo urbano con la buona gestione delle foreste, da quelle lontane e di rilevanza globale a quelle più vicine, fino ai grandi parchi cittadini. Clean Cities è invece il nome della campagna che stimola le città europee, anche attraverso l’elaborazione di un ranking, ad adottare provvedimenti (come l’istituzione di aree pedonali, zone a basse emissioni, “strade scolastiche” dove spostarsi in sicurezza a piedi o in bicicletta) per raggiungere entro il 2030 la mobilità a zero emissioni.
Un vero e proprio movimento nato dal basso, invece, è quello delle Transition Towns, le città in transizione, che ha mosso i primi passi a metà anni 2000. È partito dalla cittadina di Totnes, in Inghilterra, e da lì si è diffuso praticamente in tutto il mondo. In questo caso l’idea è di far leva non tanto sul ruolo attivo delle amministrazioni comunali, quanto sul protagonismo dei cittadini. Che, individualmente ma soprattutto in gruppo, cercano di far conoscere e rendere virali nel tessuto cittadino buone pratiche riguardanti ambiti come la mobilità sostenibile, la riqualificazione e l’efficienza energetica degli edifici, la produzione di cibo e l’alimentazione, la generazione di energia, i processi economici basati sui circuiti locali.
E in Italia? Anche da noi non mancano le iniziative che vedono le città in prima fila per l’ambiente e il clima. Del resto proprio le città sono, come dire, nel mirino e cioè particolarmente esposte all’impatto della crisi climatica, come ha mostrato chiaramente l’ultimo rapporto dell’Osservatorio CittàClima.
Comuni sostenibili è l’associazione, nata a inizio 2021, che promuove politiche per la sostenibilità ambientale, sociale, culturale ed economica in Comuni e Unioni di Comuni, prendendo a riferimento i Global goals delle Nazioni Unite e l’indice Bes (Benessere equo e sostenibile) sviluppato da Cnel e Istat. Già dal 2005, invece, è attiva l’Associazione nazionale dei Comuni Virtuosi, focalizzata in particolare sulla gestione appunto virtuosa del territorio, ma anche su efficienza e risparmio energetico e sulla promozione di stili di vita sostenibili nella cittadinanza. Mentre Green City Network è l’iniziativa della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile per promuovere nelle città italiane, grandi, medie e piccole, attività e interventi ispirati alla sostenibilità (risparmio di suolo, economia circolare, mitigazione e adattamento alla crisi climatica), riassunti nel modello del Green City Approach.
Tornando alla messa al bando della pubblicità di prodotti dannosi per il clima, sull’esempio di Amsterdam la Francia è diventata l’estate scorsa il primo Paese al mondo a vietare, su stampa, radio e televisione, pubblicità che promuovono i combustibili fossili. Una legge che, sebbene sia stata criticata dagli ambientalisti per le scappatoie lasciate aperte, ha segnato un importante precedente a livello mondiale. Mostrando chiaramente che si può fare, cioè che l’azione a favore dell’ambiente e soprattutto per il contrasto all’emergenza climatica può essere radicale e innovativa, oltre che urgente. E che l’esempio che proviene dalle città può davvero smuovere le montagne, cioè gli Stati, a fare di più. E più in fretta.