Lo sviluppo del software con la GenAi
Alcune considerazioni sull’impatto della GenAI negli ambienti di sviluppo collaborativo: dall’Hackathon alla pratica quotidiana degli sviluppatori software. Hackathon
Qualcosa di promettente sta succedendo: con o senza Greta Thunberg, l'uomo econimico si sta accorgendo che il clima è un problema serio e che riguarda ognuno di noi.
Qualcosa di promettente sta succedendo: con o senza Greta Thunberg, l’uomo economico si sta accorgendo che il clima è un problema serio e che riguarda ognuno di noi.
C’è una svolta nel pensiero umano che si percepisce in queste settimane. Stiamo capendo che il clima è la somma delle nostre scelte personali – non le leggi, i governi o l’ONU – e che siamo noi che possiamo fare la differenza fra un’estinzione di massa che ci travolgerà o un futuro molto migliore. Possiamo farcela – lo certificano gli scienziati – eppure, temiamo ancora di non essere in grado di salvare noi stessi e il pianeta. Strano e irragionevole… Perché? Forse a causa di un’idea sbagliata che abbiamo di noi stessi.
Non sarebbe sbagliato considerare attore razionale colui che “cerca la massima soddisfazione dei propri bisogni”, se questi avesse una visione veramente razionale di quello che gli serve e di ciò che invece gli fa del male, e l’onestà di riflettere su cosa realmente motiva le sue scelte. Costui dovrebbe identificare lucidamente, e veramente perseguire, la creazione di migliori condizioni di vita per sé stesso.
Tuttavia, ci sembra l’unico uomo possibile corrisponda a un modello di noi stessi che abbiamo adottato: è l'”uomo economico”, che mira a massimizzare i guadagni materiali (il cosiddetto profitto) invece di prosperare – anzi anche al costo di una vita meno prospera, sicura e piena. Se è così, allora godiamoci gli ultimi residui di stabilità: siamo destinati a tornare alle caverne, se riusciamo a schivare l’estinzione come specie.
Se l’unico modello possibile è l’uomo economico , rischiamo l’estinzione. Possiamo anche riconoscere che la sua è l’unica prospettiva realistica – l’essere umano è così, e basta – ma almeno smettiamo di definirlo “attore razionale”. Questo è un idiota suicida vittima di comportamenti compulsivi, e che, anche in prospettiva egoistica, fa del male a sé stesso e comprime la propria soddisfazione nel tempo, quando invece potrebbe ingigantirla semplicemente misurando l’impatto delle proprie scelte sull’insieme.
Non possiamo arrenderci a questo tipo di essere umano. È ora di scendere in campo e ingaggiare un’altra guerra, diversa, per cambiare le cose. Dobbiamo andare al fronte anche perché abbiamo finalmente individuato chi è il nemico da combattere: è l’uomo economico. Salviamoci da lui, attacchiamolo, annientiamolo! Tenendo però presente che si nasconde dentro ciascuno di noi.
È così chiaro e ragionevole; ma continua a sembrarci un’utopia. Ma non bisogna scoraggiarsi: possiamo contare su un recente salto di qualità nella comprensione dell'”uomo economico” e del suo giocattolo preferito, il mercato. Un’era diversa è cominciata, per la sfida dell’economia e dello sviluppo, nel 2016. Una nuova “Agenda”, approvata dalle Nazioni Unite e incentrata su 17 obbiettivi, traccia la rotta delle strategie mondiali di sviluppo fino al 2030, innestandosi sul piano di sviluppo globale 2001-2015, noto come “Obbiettivi del Millennio”. Questi ultimi, 8 ambizioni basilari e facili da comprendere, cedono il passo all’Agenda 2030: un’architettura molto più articolata in cui i più numerosi obbiettivi sono ulteriormente specificati in 169 traguardi puntuali. Tuttavia, l’articolazione più complessa è solo l’aspetto esteriore di un radicale cambio di prospettiva portato dalla nuova Agenda. La sua vera novità non è che i nuovi obbiettivi sono più numerosi e meglio specificati, bensì che essa riflette una nuova consapevolezza sul mondo in cui viviamo: l’equilibrio globale. Rispetto al passato, l’Agenda 2030 si caratterizza per almeno tre innovazioni:
– i suoi obbiettivi sono qualificati come “sostenibili”,
– dalla prospettiva di un flusso di aiuti per i paesi poveri da parte dei paesi “ricchi”, passa all’orizzonte di un interesse comune e condiviso a svilupparsi tutti assieme in modo migliore,
– acquisisce finalmente l’idea che i diversi obbiettivi sono interconnessi e sinergici, piuttosto che in concorrenza gli uni con gli altri.
Un altro modo per descrivere tutte queste novità è dire che l’Agenda 2030 integra l’ambiente nello sviluppo, più di quanto facevano gli Obbiettivi del Millennio. A parte il fatto che 4 dei 17 obbiettivi si riferiscono direttamente alla salute della biosfera, l’inclusione dell’ambiente implica tutte le novità della nuova Agenda. Introdurre l’ambiente, infatti, è una cosa diversa dall’aggiungere un nuovo ventaglio di obbiettivi supplementari; significa piuttosto che gli obbiettivi di sviluppo umano di sempre devono essere ridefiniti entro un sistema reattivo che ci circonda. Si tratta di un cambio di prospettiva profondo, con cui iniziamo a guardare al futuro dell’umanità non come un assoluto, bensì nel contesto di interdipendenze ed equilibri che reggono il funzionamento di un sistema più ampio di cui siamo parte: un sistema condiviso che dobbiamo pertanto gestire tutti assieme e che, come la casa di ogni famiglia, deve essere mantenuto in equilibrio in tutti i suoi elementi, sia umani che fisici, e nel modo in cui questi elementi interagiscono.
In questo senso, l’Agenda 2030 ha oltrepassato – forse involontariamente – le più alte ambizioni ed è diventata un nuovo paradigma economico, ispirato a nuovi valori, per tutta l’umanità. Questa nuova economia vorrebbe incorporare tutti gli imperativi dell’equilibrio globale, ben oltre quelli dello sviluppo produttivo. Deve quindi imbrigliare la complessità dell’equilibrio planetario, anche perché averlo finora ignorato ci sta portando sull’orlo di una fase di instabilità che un po’ tutti sentiamo incombere nell’insicurezza crescente che ci circonda. Tendiamo a dare per scontato l’equilibrio, e l’umanità vibra per traguardi diversi, come la crescita, o l’espansione. Dimentichiamo così che senza equilibrio non ci può essere crescita e nemmeno organizzazione sociale: nella sfera umana, gli squilibri – compresa la gigantesca iniquità nella distribuzione delle ricchezze – portano instabilità, ingiustizia e conflitti; sul piano dell’ecosistema, l’equilibrio ci dà la prevedibilità di tutti quei servizi della natura – stagioni regolari o la ragionevole aspettativa che un certo campo produrrà del grano – senza cui è impossibile organizzare le società e le economie. Questi due equilibri sono in realtà tutt’uno, e l’uno si degrada al degradarsi dell’altro.
Ma è anche vero il contrario, l’equilibrio di cui siamo parte è coerente. Ovvero, se consideriamo come sviluppo l’insieme dei veri bisogni dell’essere umano – invece di concentrare tutti gli sforzi solo sui valori di accumulo materiale considerati dal mercato tradizionale – ci si accorge che lo sviluppo dell’umanità protegge l’ambiente e viceversa. Non esiste una contraddizione fra lo sviluppo dell’uomo e il generoso equilibrio della natura; non è vero che l’ecosistema, non essendo infinito, pone un limite al progresso, se nel progresso includiamo anche beni che prima non contabilizzavamo, come la pace sociale e internazionale, il tempo per la famiglia, aria, acqua e cibo salubri, e tant’altro.
La coerenza dell’equilibrio ci consente anzitutto di comprendere in profondità cos’è sostenibile: ciò che sprigiona un ciclo risuonante di benessere umano e salute ambientale. Non un limite, quindi, e neanche un trade-off fra natura e progresso, bensì una sinergia. E ciò ha implicazioni molto concrete nella pianificazione locale, regionale e globale. Se davvero l’equilibrio è coerente, sappiamo che un’iniziativa di protezione della natura finirà per nuocere alla natura stessa se non sprigiona maggior benessere per l’umanità, poiché spinge nella direzione sbagliata una delle variabili dell’equazione: se, ad esempio, sottraiamo terreni alla produzione di cibo per il pur lodevole obbiettivo di produrre biocombustibili, non dobbiamo sorprenderci che ciò contribuisca a far aumentare i prezzi degli alimenti creando povertà; che questa induca instabilità e cicli regressivi che, a loro volta, impediranno alle società colpite di guardare al futuro e occuparsi dell’ambiente, sospingendole anzi a depredare la natura, con un risultato cumulativo finale nocivo alla stessa natura che si voleva proteggere. Viceversa, una pur onesta iniziativa di sviluppo e giustizia può alla fine del ciclo trasformarsi in povertà, violazione dei diritti umani e violenza se degrada l’ambiente e gli impedisce di offrirci i suoi generosi servizi: la canalizzazione che ha sottratto acqua ai fiumi Syr Daria e Amu Daria in Asia centrale, portando il mare di Aral a restringersi di 13 volte in 50 anni, alla fine ha distrutto quell’agricoltura, quello sviluppo e quel progresso che mirava a favorire. Questa coerenza – che non frena lo sviluppo, ma lo sospinge nel suo significato migliore – ci invia un messaggio profondo: la crescita, il progresso, non sono nemici dell’ambiente; è l’ingiustizia che lo distrugge.
Quindi, a livello politico, nazionale e internazionale, qualcosa si sta muovendo nella direzione giusta. E la stessa via è stata tracciata da Papa Francesco nella sua Enciclica “Laudato sì”: la coerenza dell’equilibrio vi viene rappresentata come “ecologia integrale”. Questa nuova visione rappresenta un progresso molto promettente. Ma c’è un problema: se rimane solo nel mondo dei politici, se l’uomo comune non si impegna facendo ciascuno il suo, non serve a niente. Tocca a tutti noi impegnarci, tutti siamo essenziali e senza di noi, gente comune, il peggio è inevitabile.
La foresta prese fuoco e tutti gli animali, disperati poiché sapevano che non c’era posto per loro al di fuori, si misero comunque a fuggire. Solo uno, un colibrì, andava e veniva portando nel becco gocce d’acqua che prendeva dal lago e gettava sul fuoco. Ma cosa credi di fare? Gli chiese il giaguaro. La mia parte – rispose il colibrì – e se la facessimo tutti avremmo ancora una casa.
Una leggenda dell’Amazzonia