La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
La costante ondata di notizie negative che ci circondano ci mette alla prova, crea assuefazione e ipersensibilità. Ascoltare ed elaborarle risponde al nostro bisogno primario di sopravvivenza. Come resistere quando diventano troppe?
Persino gli esseri unicellulari come l’ameba o una muffa, nel loro piccolo, sono attrezzati per esplorare l’ambiente, fiutarne i pericoli e poi scambiarsi informazioni. Figuriamoci quanto può essere sensibile ed attrezzato per farlo l’uomo. Eppure, con la grande e costante ondata di notizie negative proveniente dall’ambiente circostante, il contesto informativo attuale ci mette davvero alla prova. Ma la soluzione per superarla c’è.
Il numero delle notizie negative a cui siamo quotidianamente sottoposti è in aumento. È vero? Una prima risposta razionale ci direbbe di no. Pensiamo, infatti, che il numero di notizie a cui siamo sottoposti non è aumentato, perché non accadono molte più cose da raccontare. Siamo solo esposti a molti più canali informativi.
Questa risposta avvalora l’idea che sia aumentata semplicemente la frequenza con cui le riceviamo, grazie anche alla globalizzazione informativa consegnataci dalle tecnologie: anche un’informazione lontana, oggi arriva fino a noi. Ma è una riposta parziale, seppur razionale.
Ci sono infatti milioni di persone che ora comunicano, producono informazioni o pseudo-informazioni in forma di contenuti, che in qualche modo aumentano il numero totale di elementi che l’ambiente fa arrivare a noi. Non cadono molti più alberi nella foresta, ma ci sono molte più persone che lo raccontano. Così, un evento climatico, un incidente, un conflitto, l’inflazione, e tutti i rischi – nucleari e finanziari compresi – possono produrre un ciclone di notizie negative capaci di circondarci così efficacemente da darci un’idea generale di sopraffazione.
Che sia lo scioglimento di un ghiacciaio, la prossima scomparsa dell’orso polare o un’eruzione in Islanda, è ormai provato l’effetto del susseguirsi di informazioni negative sul nostro stato emotivo, ed anche cognitivo. Il sovraccarico di notizie piene di emergenza ci può portare ad una ipersensibilità verso di esse, ed anzi ad una sorta di ansia premonitrice. Uno stato di allerta costante. E quali sarebbero gli ingredienti di questa supposta ipersensibilità? Nell’ansia da notizie possiamo trovare due elementi importanti. Il primo è il senso di perdita del controllo, perché ci sentiamo i soggetti passivi di un ambiente soverchiante, ed il secondo è la perdita di lucidità, perché tutto sembra importante.
Siamo quindi attaccati da cicloni informativi incontrollati e generatori di ansia. E quali altre conseguenze possono avere sulla nostra capacità di elaborare gli stimoli dell’ambiente circostante? Per rispondere proviamo prima a pensare alle logiche che alimentano i social media: tra i profili degli utenti e tra i produttori di informazioni e notizie c’è una concorrenza finalizzata alla cattura di attenzione, alla ricerca di click.
Questa si manifesta sempre più frequentemente in due modi: l’iniezione di sensazionalismo e l’iper-esposizione di notizie drammatiche. Si cavalca la notizia negativa del momento, perché è capace di mobilitare l’attenzione degli utenti.
E il risvolto cognitivo dov’è? Consiste nel percepire – erroneamente – che stia accadendo una cosa sola, poiché è quest’ultima a dominare la scena, a governare completamente l’attenzione, ed anche il nostro stato emotivo. Il rischio maggiore, in questo caso, è l’assuefazione. Quello a cui forse voleva riferirsi il filosofo Paul Virilio nel suo libro Città panico (2004) quando parlava dell’indifferenza per l’orrore diffusasi dopo i traumi della Prima Guerra Mondiale a cui tutta la popolazione era esposta.
Oltre all’intolleranza ad ogni minima notizia traumatica e all’insensibilità a ognuna di esse, c’è una terza possibile conseguenza all’esposizione continua a questo tipo di informazioni. Nel 2020 l’Oxford Dictionary ha inserito il termine doomscrolling tra le parole dell’anno, che consiste nella ricerca ossessiva di notizie negative sul web, con tanto di effetti indesiderati sulla salute. Dunque, tra le ipotesi elencate, l’aumento di notizie negative può avere anche effetti importanti sulle nostre capacità cognitive, tra cui la creazione di dipendenza.
E quali soluzioni ci sarebbero? Per trovarne qualcuna potremmo fare qualche passo indietro nel tempo, ed andare alle origini della nostra esistenza. La più animale possibile. Il motivo per cui siamo attratti da queste informazioni è infatti ancestrale e sanissimo, e da ricondurre alla nostra fisiologica necessità di sopravvivere. È proprio la sopravvivenza ad agganciare la nostra attenzione in quel punto lì. Le ricerchiamo per prepararci alla fuga e in generale per allestire una risposta efficace ed immediata a situazioni di pericolo attuale o prossimo, per noi e per la nostra comunità.
A questo punto ci si para davanti un bel problema: se catturare ed elaborare informazioni e notizie negative è fisiologico e risponde razionalmente al nostro bisogno di sopravvivenza, come affrontarlo in quantità così massive? Lo scrisse il poeta Giuseppe Bonaviri parlando della paura: il miglior modo sarebbe contenere, filtrare, rapidamente, metabolizzare tutti i fattori paurogenici che da ogni lato ci investono.
Un programma costoso ed impegnativo. Che richiede lo sviluppo di una nuova intelligenza informativa, adeguata ad una offerta di notizie che cambia con la spinta tecnologica, ma resta sempre solidamente agganciata ad una domanda umana, anzi animale.