Giovani e famiglia: addio al “modello unico”, viva le differenze

Famiglia tradizionale addio. Anche l’edizione 2025 di GenerationShip mostra con la forza dei dati la profonda evoluzione nel sentire dei più giovani nei confronti di questa isti
La musica è uno degli strumenti più efficaci nella lotta per i diritti LGBTQIA+. Una nuova generazione di artisti avanza e mette al centro la persona.
La musica pop è sempre stata un incubatore formidabile di cambiamenti sociali e culturali. Almeno dall’inizio dell’era della musica registrata (ma in realtà anche da prima), molte trasformazioni che avrebbero in seguito investito la società nel suo complesso sono state annunciate, e per certi versi sperimentate, da cantanti, musicisti e performer. Nella maggior parte dei casi si è trattato di istanze definibili come progressiste: dal pacifismo e la non-violenza all’auto-affermazione femminile e delle minoranze di ogni tipo, dall’atteggiamento non proibizionista nei confronti delle droghe a un rapporto libero con la sessualità, dal rifiuto del razzismo a quello dei dogmi ideologici. Tutto ciò all’interno di un rapporto intimamente contradditorio con l’industria musicale e dello show business, realtà che per loro natura da un lato tendono a banalizzare e svuotare di significato idee, cause e stili di vita alternativi a quelli dominanti, ma dall’altro – proprio in ragione della loro potenza e pervasività nell’immaginario collettivo – contribuiscono enormemente alla diffusione e all’accettazione di ciò che in ogni epoca si pone in antitesi al mainstream.
Non stupisce, quindi, che negli ultimi anni uno degli strumenti più efficaci nella lotta per i diritti delle persone trans, gender fluid, non binarie sia proprio la musica. Più per quanto riguarda gli ambiti pop, r&b, dance, elettronici che per il rock, un genere che – con tutte le eccezioni del caso – sconta ancora una tradizione di machismo e maschilismo difficile da cancellare. L’elenco di artist* ascrivibili alle categorie appena citate (anche se “categoria” è un termine che di per sé implica una limitazione, quando invece la motivazione principale è proprio quella di oltrepassare qualunque steccato di genere) sarebbe lungo e variegato. Da Anohni a Kae Tempest, dalla purtroppo scomparsa produttrice SOPHIE a Demi Lovato, da Arca a Sam Smith, da Janelle Monáe alla star Miley Cyrus, per proseguire con decine di altri esempi. Biografie diverse, atteggiamenti diversi nei confronti della propria sessualità e del modo di esporla e rappresentarla anche artisticamente, stili musicali diversi.
E tuttavia, senza voler fare un calderone unico che non tiene conto delle differenze – specificando inoltre che trans (o in transizione), non binario, pansexual, queer non sono per niente la stessa cosa, pur rientrando tutte queste definizioni nella più ampia causa LGBTQIA+ – nel suo insieme questa ondata di musicist* rappresenta una potente, e storicamente inedita, riformulazione dei parametri sessuali nel contesto della musica pop.
Da questo punto di vista, un salto di paradigma e una accelerazione rispetto non solo al tradizionale dominio nell’industria musicale del concetto di binarietà dei generi – gli artisti uomini che si conformano a ciò che ci si aspetta dagli uomini in termini di vocalità, temi delle canzoni, fisicità sul palco; idem per le donne, ovviamente in posizione perennemente secondaria rispetto ai maschi – ma anche alla rappresentazione dell’omosessualità che spesso nel pop assumeva contorni esageratamente camp (si pensi al glam rock, o a certa discomusic) che riflettevano in realtà la stereotipata visione eterosessuale del mondo gay. In sostanza: gli uomini dovevano essere assolutamente uomini, le donne assolutamente donne e i gay assolutamente gay. E quindi rassicuranti.
Oggi, grazie soprattutto a questa nuova generazione di artisti, assistiamo invece a una decisa riappropriazione e orgogliosa affermazione del proprio posto nella società – e nel mondo dello spettacolo – da parte di persone che rivendicano appunto il più banale ma indispensabile dei diritti: quello di essere considerati appunto persone, non cliché, figurine o nel peggiore e più oscurantista dei casi delle “stranezze”. Non manca l’aspetto politico, come è naturale che sia: la presa di coscienza definitiva che la binarietà di genere non esaurisce la pluralità di opzioni esistenti nella realtà può passare anche da una canzone, da un video musicale o da una esibizione a un festival (questi ultimi sempre più attenti non solo alla parità di genere nei cartelloni ma anche alla apertura e alla rappresentatività di tutti i generi e tutte le identità).
Nello specifico musicale, come si dispiega la sfida alla concezione binaria del gender? Ci sono più aspetti. Molto importante, per cominciare, è quello dei testi. Oltre agli inni queer che fortificano il senso di comunità, abbiamo sempre più canzoni con testi gender-neutral, nei quali mancano riferimenti specifici al maschile o al femminile. Si tratta di un modo inclusivo di accogliere il pubblico nelle proprie storie, permettendo a chiunque di identificarsi a prescindere dalla propria identità di genere. Qualcosa che nel tempo potrà sicuramente favorire comprensione e – ci si augura, anche se la strada è lunga – eliminazione di pregiudizi.
C’è poi tutto ciò che ha a che fare con l’uso della voce e lo stile nel canto: il range delle tonalità e dei timbri è ampio e non conforme alle abituali aspettative su come dovrebbero cantare una donna o un uomo. Dal punto di vista dell’espressione di sé si entra quindi in una vera propria zona liberata, nella quale spesso gioca un ruolo determinante la tecnologia (si pensi all’utilizzo diffuso dell’auto-tune, strumento che sfuma le tradizionali differenze tra voci femminili e maschili creando un ibrido a volte difficile da identificare). Anche lo stile, il look, gli outifit, l’aspetto visivo della performance ridefiniscono le norme comunemente accettate su come ci si presenta su un palco, e soprattutto di come si può utilizzare in modo meno banale la molla della attrazione sessuale, che da sempre connota il rapporto tra le star e i/ le loro fan. Infine, ma non meno importanti, ci sono gli effetti sull’industria musicale e sulla società in generale.
La spinta a una maggiore inclusività rispetto a questi temi da parte del mercato discografico, dei giornali, di chi organizza concerti è qualcosa che, proprio perché non si tratta di una moda passeggera ma dell’emergere di una nuova sensibilità e di nuove soggettività, produrrà un cambiamento dal quale non si torna indietro. Allo stesso tempo, cantanti e popstar non binari, trans, queer possono diventare un modello di ruolo e un esempio di “influencer” una volta tanto utili per una generazione di ragazzi e ragazze in grado di mettere in discussione preconcetti e storture patriarcali. E che potranno, forse, costruire un mondo più aperto e tollerante.