Sei consigli per difenderci dalla plastica
La plastica è presente nella nostra vita quotidiana da oltre settant’anni ed è così fondamentale che la diamo per scontata senza renderci conto della sua pervasività. Secondo
Siamo tutti equilibristi della perfezione che ci fa correre meccanicamente e costantemente verso una meta. Il rimedio è la mediocrità nella sua vera accezione: stare nel mezzo.
«Pattinando sopra un ghiaccio sottile, la sola speranza di salvezza sta nella velocità», scriveva Ralph Waldo Emerson, teorizzatore del pragmatismo, molti anni prima di un’epoca – quella odierna – in cui l’unica possibilità di sopravvivenza è diventata la frenesia. Possiamo provare a ignorarlo, come Ulisse con le sirene; ma la realtà intorno a noi continua a cantare meccanicamente, costantemente, e monotonamente che dobbiamo correre, correre, correre. E verso un’unica meta: la perfezione.
Oggi, il costo di un ritardo è maggiore di quello di un errore: perché se persino chi si affanna a essere perfetto non riesce a ottenere il futuro desiderato, chi non lo è, allora, è definitivamente chiamato fuori dai giochi. La Multidimensional Perfectionism Scale – un test della University of British Columbia per misurare il perfezionismo – registra un significativo aumento dei tassi di questa ossessione negli ultimi decenni, con un’ascesa tra il 2006 e il 2022. Le cause? Quelle facilmente immaginabili: l’aumento delle aspettative sociali, professionali e personali; la crescente competizione nel mondo accademico e lavorativo; il mutamento dei metodi educativi e delle norme culturali; l’ampio uso di tecnologie digitali che hanno trasformato radicalmente il modo in cui interagiamo e ci confrontiamo con noi stessi e gli altri.
Vogliamo-dobbiamo essere i migliori a scuola, all’università e a lavoro. I migliori nella vita sociale e in quella privata. I migliori equilibristi sul filo delle scelte e del tempo. A dominare è la performance che, strisciando dal palcoscenico dei teatri, si è insinuata infimamente nella nostra quotidianità, imponendoci il ritmo della produttività e il traguardo della perfezione. Pur sapendo che quest’ultimo non sarà mai davvero raggiungibile, continuiamo a rincorrerlo perché rimanere indietro non è più un’opzione. Sia chiaro, nessuno ci obbliga a farlo; ma la pressione del non poter essere più imprecisi o irregolari (in un’altra parola, umani) è talmente pesante che il fallimento ha assunto le fattezze di un lusso letale. Il timore di essere come gli altri o inferiore agli altri ci terrorizza a tal punto da farci inseguire in modo ossessivo una chimera che può facilmente portarci all’autodistruzione. Il dazio di questo meccanismo è difatti la perdita di noi stessi: perché concentrati a essere di più, ci dimentichiamo di essere; e ci contorciamo per superarci, punendoci ogni qual volta emergono, timide, l’insoddisfazione e la frustrazione.
La realtà odierna ci sta imponendo un dettato: ma, come quando eravamo bambini, se la voce del maestro è troppo veloce rispetto alla nostra capacità di scrittura, allora il risultato sono tante parole mancanti, molti battiti accelerati e una sbavatura di inchiostro sul lato della nostra mano che segna in maniera indelebile il foglio; una macchia della nostra inefficienza.
Ma è possibile divincolarsi da questa impasse? Fa paura solo a pronunciarlo: ma l’unica speranza di salvezza, distorcendo le parole di Emerson, oggi, sta nella mediocrità – una parola che, deformatasi nel corso del tempo a livello semantico, etimologicamente significa solo «stare nel mezzo». Forse è davvero questo l’unico modo per sottrarsi alla tirannia dell’eccellenza: stare a distanza dai grandi e dai migliori, per accomodarsi in un’imperfezione che, paradossalmente, ci rende diversi dall’esercito omologato dei perfetti.