La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
Una risposta netta non c’è. Cerchiamo di capirne di più con l’aiuto dello psicologo statunitense Edgar Schein e delle teorie del cambiamento.
Questo dilemma siede in tutte le aziende, a tutti i piani: la cultura organizzativa, fondamentale per ciascuna realtà, rappresenta un aiuto oppure un ostacolo al cambiamento continuo di cui si parla tanto oggi ai tempi della ripartenza dopo la pandemia? La risposta è semplice: la logica dell’“aut aut” non è applicabile a questo ambito, essendo piuttosto valida quella dell’“et et”. Cerchiamo di capirne di più con l’aiuto dello psicologo statunitense Edgar Schein e delle teorie del cambiamento per arrivare, dribblando la teoria delle minacce di Macchiavelli, a una soluzione pratica.
Di cosa parliamo:
La cultura organizzativa come giacimento secondo Edgar Schein
Il nostro punto di partenza devono essere le riflessioni di Schein. Secondo questo studioso la cultura organizzativa rappresenta un “giacimento” che, giorno dopo giorno, cresce e si sviluppa. Essa è l’insieme delle ipotesi e delle teorie che un’azienda individua e condivide. Tre i livelli in cui essa si manifesta: gli artefatti ossia le espressioni evidenti come ad esempio il codice di abbigliamento, il layout della sede di lavoro o le pratiche aziendali e le interazioni sociali formali o informali; a seguire, troviamo i valori espliciti che consistono in tutti quei principi che guidano i comportamenti delle persone; infine, ci sono gli assunti di base ovvero i pilastri della cultura organizzativa, che influenzano il modo di agire all’interno dell’impresa. Come tutte le eredità, gli artefatti, i valori espliciti e gli assunti di base costituiscono l’ormeggio della compagnia e, allo stesso tempo, il più grande impedimento a cambiare. Difficile, infatti, è modificare i nostri comportamenti quando il modus operandi è consolidato.
I principi del miglioramento continuo elaborati in Europa
È a questo punto che, in tema di cambiamento, ci vengono in aiuto le riflessioni elaborate, oltre che in Giappone da Toyota e negli Stati Uniti, anche in Europa. Secondo John Bessant i capisaldi del miglioramento sono lo “strategic framework” o “quadro strategico”, la gestione e la misurazione del processo, la cultura dei valori (con l’accettazione dell’errore considerato come un’occasione per imparare), la coerenza organizzativa e, infine, gli strumenti di organizzazione e pianificazione. «Il miglioramento continuo – spiega Filomena Canterino, docente del MIP Politecnico di Milano – deve essere vissuto come un processo pervasivo da gestire e misurare. Spetta in particolar modo al “middle management” definire piani, milestone e indicatori per il monitoraggio. La misura dei risultati ha un valore fondamentale per il progresso e, proprio per questa ragione, gli indicatori devono essere resi trasparenti e disponibili a tutti».
Come stimolare il progresso nella nostra azienda senza seguire Macchiavelli
L’ultimo passaggio su cui riflettere è relativo alla modalità con cui stimolare il miglioramento in azienda. La nostra storia e le procedure acquisite costituiscono, come abbiamo detto, un freno a cambiare le nostre abitudini. Se le riflessioni dello psicologo tedesco Kurt Lewin circa le fasi di scongelamento, cambiamento e ricongelamento ci aiutano a capire che per sterzare è necessario “scongelare” i processi acquisiti, è John Paul Kotter, docente di leadership alla Harvard Business School, a indicarci la chiave di volta della guida al cambiamento: per modificare lo status quo è fondamentale creare il senso di urgenza.
Non è certo il caso di innescare il clima di paura, di cui parlava Niccolò Machiavelli, secondo il quale in assenza di timore il cambiamento incontra «nemici tra tutti quelli che traggono profitto dal vecchio ordine e solo tiepidi difensori tra quelli che dovrebbero trarre profitto dal nuovo». Un’azienda non cambia se al suo interno non si crea un senso di insoddisfazione che – come dice Mariano Corso, docente alla business school del Politecnico di Milano – «si deve tradurre in un’attesa verso il cambiamento. Questo può essere fatto in diversi modi: cercando, ad esempio, di far leva in modo positivo sulle opportunità che il nuovo modello offre alle persone».
È prospettando nuovi orizzonti, dunque, che sta il segreto del “grilletto” del miglioramento: laddove in azienda saranno condivisi i vantaggi che deriveranno dall’adozione di un nuovo modo di agire, il team si unirà per farli propri. È questo uno dei segreti del cambiamento migliorativo sul posto di lavoro. Serve, in sostanza, alimentare la condivisione attraverso la comunicazione interna.