La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
Tornare non è sempre come morire. I nostri nostoi non sono semplici: scontrarsi con il cambiamento, non lo è mai. Una piccola guida per non perdersi.
“Nostoi”: così si definiscono i ritorni in patria degli eroi greci da Troia. Il più celebre fu quello di Odisseo, costretto a viaggiare per dieci anni prima di rivedere Itaca.
Come si legge nell’Odissea, la sua identità non si impone immediatamente come un’evidenza: tornato nel suo regno, l’eroe si mostra agli altri così come si era presentato a Polifemo – come Nessuno. Incapaci di scorgere tra i panni da vecchio mendicante quell’eroe «simile a un dio», tutti – escluso il cane Argo, l’unico dall’«infallibile fiuto» – chiedono a Odisseo un segno che attesti la sua identità. Il definitivo ritorno dell’eroe si compie solo con un graduale percorso di riconoscimento: tramite una cicatrice, un segreto, un ricordo; con una progressiva anagnorisis – è così che si indicava il riconoscimento –, che è sempre un passaggio dall’ignoranza alla conoscenza, un ritorno cosciente davanti a ciò che si osservava senza vedere.
Nel 2018, dopo 12 anni, sono tornato in Italia. Come me, molti: tornando dall’estero o semplicemente dalle grandi metropoli, rientrando nelle città o nei paesi di origine. Posso affermarlo con piena consapevolezza: tornare non è un atto di rinuncia della ricerca di un’altra “casa”, ma un superamento del “tradimento” che, inizialmente, percepivamo provenire dalla nostra.
Ho viaggiato a lungo e vissuto (bene) in molte città, ma dopo essere stato «sbattuto fuori rotta», ho cercato la «salvezza di vita» e, dunque, il «ritorno»: io e le mie proprietà siamo cambiati e, cambiando, abbiamo perdonato la nostra terra. Il viaggio in avanti verso il luogo di origine non dev’essere considerato come un viaggio all’indietro verso ciò che siamo stati, ma come una forma di conoscenza, ri-conoscenza e riconoscenza verso noi stessi e verso i luoghi che abbiamo amato e abitato. Siamo tornati, ma consapevolmente e volontariamente: il nostro non è stato un movimento senza un fine che non fosse quello di tornare al punto di partenza. Al contrario di Odisseo, che non dovette riconoscere Itaca, preservata da qualsiasi offuscamento perché meta costante del suo vagare, noi abbiamo bisogno di conoscere per una seconda volta la nostra casa, di passare dall’ignoranza alla conoscenza, di tornare consciamente davanti a ciò che osservavamo senza vedere.
Non biasimo il viaggio, ma elogio il ritorno.
Come Odisseo, però, anche noi, tornando, subiamo una mancata anagnorisis: non siamo riconosciuti come eroi, ma come sconfitti, come mendicanti di fortune non ottenute altrove. Il nostro Argo ci riconoscerà immediatamente e i nostri affetti, indaffarati fino ad allora a disfare la tela del tempo affinché passasse in fretta e giungesse il momento di rincontrarci, ci chiederanno per lo più un segno che attesti che siamo ancora noi, nonostante il lungo vagare.
Gli altri – o la maggior parte di loro – considereranno il nostro ritorno poco eroico, valutandolo come un fallimento. Loro non ci riconosceranno né si impegneranno a farlo. Ma arriva sempre il momento in cui Polifemo apprende che Nessuno è in realtà qualcuno.
I nostri nostoi non sono semplici: tornare, e scontrarsi con il cambiamento, non lo è mai.
Ma, a mo’ di utile paradigma, dobbiamo leggere gli sviluppi di quelli della tradizione mitografica.
Alcuni eroi, sbagliando rotta, o costretti ad allontanarsi nuovamente dalla loro patria d’origine, giunsero presso altre coste e diedero vita a nuove entità politiche e sociali.
Un ritorno dall’esito apparentemente negativo (o – tornando a noi – difficile, anche nella nostra stessa terra) può volgersi a grande opportunità, se avremo la risolutezza di fondare una realtà più simile a quella che desideravamo, in termini di equilibrio personale e opportunità lavorative.
Prendiamo il caso del south working: il ritorno al Sud – inteso simbolicamente come luogo in grado di far coesistere la flessibilità e la qualità di vita – sarà solo temporaneo, se non accostato a investimenti in infrastrutture tecnologiche e alla fondazione di una comunità. Se non lo hanno fatto gli altri, prima del nostro ritorno, dobbiamo farlo noi: i limiti non sono muri, ma vuoti da riempire con la nostra esperienza da eroi viaggiatori.
Odisseo, al suo ritorno, fu costretto a combattere contro i Proci per ristabilire la pacificazione di Itaca. Ovviamente parlo di impugnare archi metaforici per ottenere lo stesso risultato: farsi riconoscere, avere il coraggio di scardinare i vecchi paradigmi (soprattutto politici), palesare i propri valori e stabilire quell’ordine che molti anni fa, quando andammo via, desideravamo, ma non avevamo la forza, la volontà e l’esperienza di imporre.
Seppure dopo otto anni, Menelao rientrò in patria e trascorse insieme a Elena un’esistenza tranquilla.
Dopo anni, sono tornato a Bari, consapevole del divario tra chi ero e chi desideravo essere, tra cosa avevo e cosa avrei voluto. È inutile negarlo: uno dei motori propulsori del ritorno è rappresentato dalla serenità personale. Anche in tal caso, tornare indietro significa andare avanti.