La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
I nostri tempi sono VUCA: volatili, uncertain (incerti), complessi, ambigui. Per modificare il nostro destino abbiamo ancora un’ultima possibilità: cambiare.
Da bambino, quando avevo paura, mi stendevo per terra. Ci sono momenti in cui tuttora avverto il bisogno, e forse anche il dovere, di attingere all’essenziale, di rientrare in contatto con la realtà, toccando con le mie mani una base (non più materiale – quanto lo era il confortante pavimento di casa mia – ma di certo altrettanto concreta): e così, seguendo l’insegnamento paterno, mi distendo sulla filosofia. Lì la verità galleggia sul tempo.
I nostri tempi sono VUCA: volatili, uncertain (incerti), complessi, ambigui. E in questo mondo, in cui tutto cambia troppo velocemente, la nostra paura dell’instabilità è ormai diventata intollerabile.
Ma «Time the destroyer is time the preserver, / Like the river […]» («Il tempo che distrugge è il tempo che conserva, come il fiume»), scriveva il poeta T.S. Eliot in uno dei Four Quartets. Nel fluire incontrollabile del tempo, c’è sempre qualcosa – persino ciò che sembra perduto (ce lo insegnano i ricordi) – che resiste alla distruzione. Di fronte alla transitorietà da cui ci sentiamo colpiti, non mi è dunque mai sembrato un paradosso attingere a Eraclito – che, nel nostro immaginario, rappresenta la voce per comprendere il divenire.
Questa volta, però, non attualizzerò le parole del filosofo, tentando di tirar giù, più vicino a noi, quella sua verità galleggiante su ogni epoca; ma, al contrario, proverò a leggerla – e a leggervela – arrampicandomi fino a essa, per guardare da lì il nostro tempo. Un panorama, se osservato dall’alto e da singole vette (e, in questo caso, dai singoli frammenti), può svelare una forma inaspettata.
Non è possibile bagnarsi due volte nello stesso fiume: scorrendo, diversa sarà la sua acqua; ma diversi saremo anche noi. È un grande equivoco pensarci slegati dall’inarrestabile processo di mutamento della realtà: non possiamo sottrarci alla trasformazione – né quella subita per effetto delle acque nuove che continuamente scrosciano verso di noi, né quella che per nostra natura attraversiamo. Per Eraclito, la fede nella fissità è dunque un errore. L’unica permanenza consiste nella continuità della mutazione, l’unica resistenza al cambiamento è il cambiamento stesso.
Con questa consapevolezza avremo la possibilità di dominare il nostro timore: se tutto cambia – intorno a noi, certo, ma anche in noi –, opporsi al cambiamento significa nuotare controcorrente rispetto alla propria esistenza. Dobbiamo accettare di non essere e di non essere stati una cosa soltanto.
Pensateci: l’unico modo per non essere toccati dalle acque del fiume (non scoprendo, in quell’istante, di essere noi stessi diversi) è non entrarci. Ma sottrarsi alla realtà per sottrarsi al cambiamento non è una buona strategia; e non lo è pensare di poter preservare in questo modo la propria identità, temendo di poterla perdere, adattandosi al cambiamento o cambiando. Così come il fiume sarà sempre un fiume, nonostante lungo il suo letto scorrano acque sempre diverse, noi saremo sempre noi, nonostante i numerosi cambiamenti che vorremo o dovremo sperimentare.
Possediamo già dentro di noi ciò che ci serve a padroneggiare il flusso delle nostre vite e di una realtà in continua trasformazione: la condizione per cambiare – carriera, priorità, città, vita.
Secondo Eraclito, la realtà in divenire è attraversata dalla compresenza e dall’opposizione di contrari, un flusso incessante di «intero e non intero, concorde e discorde, armonico e disarmonico».
Per il filosofo, tutte le cose, anche nella loro diversità, si fondono in un’unità. Anzi, la loro identità consiste proprio nel contrasto, nell’opposizione rispetto a un altro polo: se il caldo non si opponesse al freddo, non sarebbe caldo, così come se la notte non si opponesse al giorno, non sarebbe notte.
Certo, questa armonia nascosta è – tuttora – più difficilmente comprensibile rispetto a quella manifesta, ma occorre educarsi alla contraddizione.
Arrampicandomi su questa verità e guardando giù, verso di noi, penso sia necessario tenere a mente che tutto ciò che esiste, esiste come contrario, ma i due contrari devono unirsi affinché qualcosa possa esistere. È il «conflitto il padre di tutte le cose». Senza retorica, ma anzi, attingendo alla filosofia: tutto, anche il momento di vuoto più profondo, si oppone naturalmente a un pieno che, prima o poi, si manifesta.
Talvolta si tratta anche di una questione di prospettiva: «una e la stessa è la via all’insù e la via all’ingiù», ma dipende da che punto la osserviamo o la percorriamo. Un esempio più concreto e più vicino: pensando alla nostra impresa, le attribuiamo il concetto di “piccola” – ma dobbiamo ricordare che una formica, paragonata a un moscerino, rappresenta allo stesso tempo il “piccolo” e il “grande”.
Il lògos, ovvero il pensiero, la ragione, la verità. A tal punto oggettivo e fondato su un’intesa comune tra chi parla e chi ascolta, secondo Eraclito esso rappresenta una ragione comune a tutti, in cui ogni parola trova il proprio senso. Tutti, a eccezione di coloro i quali, volendosi autoescludere dal lògos, nonché da ogni valido scambio comunicativo, ritirandosi in un presuntuoso sapere privato, sono più simili a dormienti, seppure svegli. «Sapere molte cose non insegna ad avere intelligenza» – teniamolo a mente.
È sempre un errore arroccarsi nelle proprie certezze e sottrarsi allo scambio, non affidandosi a una ragione comune che è lo spazio dove ogni conflitto può trasformarsi in consiglio o dialogo: il contatto con gli altri, anche con coloro che non sono nelle nostre corde, può avere un impatto tale nel nostro percorso da influenzare i nostri successivi comportamenti e le nostre scelte – nel bene e nel male.
Secondo Eraclito, l’èthos, il carattere, è per l’uomo il suo dàimon, il suo destino – ciò che determina i suoi comportamenti e i risultati della sua esistenza. Di conseguenza, il destino diventa una sua responsabilità. Apparentemente, una gabbia senza via di uscita.
Invece, occorre ribadirlo: per Eraclito, nulla è fisso – neppure quell’invisibile sorgente della coerenza personale che oggi chiamiamo carattere. Dunque, per cambiare il nostro destino abbiamo ancora un’ultima possibilità: cambiare. E chiunque, scriveva Eraclito, «se non spera, non troverà l’insperato: ne è difficile la ricerca e ardua la via».