A Cop26 le nuove generazioni sono presenti per discutere su diversi tavoli. Ecco quali sono le questioni più importanti.
La ventiseiesima edizione della Conferenza delle Parti (COP26) si sarebbe dovuta tenere nel 2020, ma a causa della pandemia è stata rimandata a quest’anno, con grande amarezza e con la consapevolezza che un anno sprecato in questo modo è una perdita inestimabile per il nostro futuro nel contrastare la crisi climatica, siccome è un anno di obbiettivi non raggiunti, né tantomeno aggiornati.
Se quindi abbiamo capito bene, la COP26 avrà un impatto non indifferente sul futuro delle nuove generazioni, che saranno rappresentate all’evento da varie delegazioni, più o meno informali. La domanda interessante da porsi ora è: quali sono le istanze e le questioni che verranno presentate dai giovani durante le due settimane di incontri? Negli scorsi anni le Conferenze delle Parti sono state costellate da eventi collaterali e spettacolari che rendono difficile prevedere le mosse degli attivisti di quest’anno, ma le richieste che sono portate avanti sono tendenzialmente sempre le stesse.
- Loss and damage. Le popolazioni più colpite dalla crisi climatica, nel presente e nell’immediato futuro, sono anche quelle più povere, e faticheranno dunque ad affrontare gli effetti del cambiamento climatico senza supporto economico e tecnologico. I paesi industrializzati devono fornire gli aiuti necessari per far sì che nessuno stato sia lasciato solo ad affrontare la crisi climatica.
- Giustizia climatica e sociale. I paesi meno responsabili della crisi climatica saranno quelli più colpiti da essa: mentre i grandi inquinatori (nazioni industrializzate) continuano ad emettere, tra emissioni indirette e produzione delocalizzata, i paesi che non hanno grandi industrie e non contribuiscono in modo significativo all’aumento della temperatura globale sono quelli che ne subiscono maggiormente i danni. Pensiamo all’Etiopia che è sempre più spesso colpita da intense siccità e che emette 16 gigatonnellate di CO2, rispetto alle 337 gigatonnellate prodotte dall’Italia, che è grande un terzo del territorio etiope e che non è lontanamente colpita da simili conseguenze della crisi climatica. La giustizia climatica è giustizia sociale: chi inquina deve pagare.
- Transizione ecologica. Non si può pensare di continuare a sussidiare le fonti fossili quando la scienza parla chiaro e dice che bisogna ridurre ora le emissioni di gas serra, prodotte principalmente dalla combustione di carbone, petrolio e gas naturale. È necessario investire tutto sulla transizione ecologica, ancora una volta assicurandosi di non lasciare indietro nessuno. I paesi che basano la propria economia sull’esportazione di combustibili fossili (come ad esempio l’Arabia Saudita e il Kuwait), non possono essere lasciati a gestire la transizione ecologica da soli, con il rischio di esacerbare conflitti in situazioni già poco stabili. Per questo motivo i paesi più ricchi devono fare la transizione ecologica e fornire l’esempio per tutti gli altri, incentivando la costruzione di impianti rinnovabili, l’implementazione di una buona rete di trasporti pubblici elettrificati e lo stop ai sussidi alle fonti fossili.
- Maggiore rappresentanza di giovani e comunità indigene. Un sogno di molti attivisti è quello di poter avere un reale impatto sulla politica. Quale modo migliore di farlo, se non venendo direttamente inclusi nei lavori? Quest’anno la Conferenza delle Parti viene preceduta dalla YouthCOP, ovvero un modo per cercare di includere voci giovani nei processi decisionali dell’UNFCCC riunendo 400 giovani da tutto il mondo per discutere di clima e ambiente. Senza ombra di dubbio, da amplificare è anche la voce delle comunità indigene di tutto il mondo, a cui è attribuibile – in modi diversi – l’unico vero modo di vivere sostenibile e da cui i paesi industrializzati avrebbero molto da imparare.
- Obiettivi ambiziosi. Sembra scontato, ma paradossalmente non lo è: è necessario chiedere obiettivi e target climatici ambiziosi per poter evitare il collasso climatico, mettendo da parte gli interessi economici più profittevoli sul breve termine e conciliando quelli sul lungo termine con la salute della popolazione globale e del Pianeta intero.
- Ascoltare la scienza. Da anni la comunità scientifica fa uscire report su report che confermano i modelli climatici e le previsioni del cambiamento climatico. L’ultimo rapporto dell’IPCC dà l’ultimatum: la strada che stiamo percorrendo non è in linea con il raggiungimento dei target che permettono di contrastare efficacemente la crisi climatica. È necessario fare tutto il possibile per limitare l’aumento di temperatura globale a +1.5°C, e per questo bisogna agire prima di subito.
La COP26 deve essere un successo.