Questa terra non è un albergo

Environment


Questa terra non è un albergo

Cosa sono i planetary boundaries? I limiti naturali del nostro pianeta sono una serie di dati importantissimi, ma li conosciamo (e ne parliamo) molto poco.

Prendete una mattina qualunque di un giorno qualunque. Voi uscite di casa e dagli alberi sul vialetto sentite il canto degli uccelli, dall’aiuola dei vicini vedete un glicine, qualcuno che passa in bici – chissà, magari pedala verso l’ufficio – e in lontananza spuntano le cime di grandi cipressi sbilenchi. Una mattina qualunque, appunto. Diamo cose come queste per scontate, no? Non ci sogneremmo mai di definire quello che abbiamo attorno come straordinario. Eppure, straordinario lo è eccome, nel senso letterale del termine: cioè è completamente fuori dall’ordinario. La natura – da ciò che ne sappiamo – esiste su un unico pianeta del nostro sistema solare e della nostra galassia. E noi ora siamo proprio su quell’unico pianeta. Per di più siamo nell’unico periodo storico in cui succede: per 800 milioni di anni la Terra era priva di qualsiasi forma di vita, era un pianeta “morto”.

Insomma, siamo gente fortunata, sia perché nell’universo essere vivi non è una cosa banale, anzi, sia perché noi umani abbiamo l’incredibile capacità di modificare a nostra convenienza gli ambienti naturali. Costruiamo case e ponti, aerei acquedotti e radar, in una parola sola: la natura la “dominiamo”.

Essere bravi a controllare la natura è sicuramente un bene, ma noi forse siamo un po’ troppo bravi. Modifichiamo la natura velocemente, così velocemente che le altre forme di vita non hanno il tempo di adattarsi e sopravvivere. Il problema del riscaldamento globale a ben vedere è questo: non il fatto che il clima cambi perché il clima è sempre cambiato (in Antartide c’erano le foreste pluviali, per dire) semmai che i cambiamenti siano troppo veloci. Le specie animali e vegetali sanno adattarsi a nuove temperature e nuovi ambienti, lo hanno sempre fatto, è solo che ci mettono millenni. Noi, invece, stiamo riscaldando il pianeta nel giro di poche decadi.

Limiti invalicabili

Esistono, però, dei limiti che non dovremmo oltrepassare nel nostro essere così operosi e dominanti rispetto alla natura. Dei limiti naturali, dei “confini” oltre i quali rischiamo di far scattare l’allarme nella nostra stessa casa. Anzi: oltre i quali i danni che facciamo con le nostre modifiche repentine hanno effetti troppo grossi. Sono dei limiti di cui spesso si parla in articoli scientifici e studi con l’inglese “planetary boundaries”. Cioè limiti planetari. Ma che hanno ormai una rilevanza tale che vale la pena conoscerli anche se non si è scienziati o appassionati di scienza, anche perché sono al centro delle contrattazioni politiche e diplomatiche attorno al clima.

Per un bel po’ di tempo i limiti naturali della Terra erano al sicuro. Si può dire che la nostra specie, quella umana, da un po’ di millenni non faccia altro che creare delle condizioni sempre migliori per la propria sopravvivenza: non abbiamo quasi più predatori né pericoli naturali, grazie alla chimica e alla tecnologia viviamo sempre più a lungo e così via. Questi nostri miglioramenti fino all’Ottocento non avevano un impatto eccessivo, anche perché noi umani eravamo pochi (un secolo fa eravamo circa un miliardo e mezzo di persone, oggi oltre 8 miliardi). Poi però in questo nostro “egoismo di specie” abbiamo cominciato a consumare tantissima energia e, anche oggi, una parte consistente di questa energia la produciamo emettendo milioni di tonnellate di gas che rimangono in atmosfera. Questi gas serra sono il primo dei limiti naturali che abbiamo superato. Ce ne sono altri otto.

Pilastri della natura

I primi tre planetary boundaries descritti dagli scienziati sono l’acqua dolce, il suolo e la biodiversità. Sono tre risorse che scarseggiano, e che scarseggeranno ancora di più nel prossimo futuro. Risorse che sono nostre, ma anche delle migliaia di altre specie animali e vegetali. Se le usiamo troppo, o le compromettiamo eccessivamente, i danni sono irreparabili. Poi ci sono altri sei limiti, questa volta però non sono risorse da usare con parsimonia, ma quantità limite di sostanze che noi umani immettiamo in natura. I gas serra di cui parlavamo poco fa; le sostanze chimiche dannose per l’ozono, sostanze che acidificano i mari; azoto e fosforo (che sono nei fertilizzanti che usiamo in quantità massicce) e infine il cemento la plastica e le altre materie lavorate che permangono negli ambienti per lunghissimi periodi, anche per millenni.

Che i planetary boundaries siano proprio nove è una convenzione, ma c’è poco di fantasioso e molto di concreto. Sono, secondo la stragrande maggioranza degli studiosi, i “pilastri” che sorreggono la natura per come la conosciamo, ricca generosa e diversa. Senza questi pilastri, il tetto crolla. E perdiamo diversità, abitabilità, abbondanza e bellezza.

La brutta notizia, quando si vanno a vedere gli studi e le analisi, è che sta già succedendo. Molti di questi limiti li abbiamo già superati. Sei su nove, per essere precisi. Alcuni di poco, altri in misura maggiore. (Ci sono varie soglie di sicurezza e di gravità per cui si possono superare dei limiti causando più o meno danni, e più o meno reversibili). Fatto sta che sono dei limiti “planetari”, appunto, quindi ci riguardano tutti a prescindere da quale zona del mondo abitiamo.

Infine, di brutta notizia ce n’è un’altra: per quanto siano “planetari” lo sforamento di questi limiti si vede soprattutto in alcune aree del mondo, e si tratta spesso di aree del mondo poco popolate e remote. Gli effetti, insomma, non li vediamo. Ai poli, dove si sciolgono enormi quantità di ghiaccio e le temperature aumentano molto più che altrove, non abita nessuno. Per uno strano scherzo del destino i danni che facciamo non si notano abbastanza. O comunque non in tutta la loro gravità. I limiti del nostro pianeta, però, rimangono lì.

Crediti foto: Nasa/Unsplash

Giornalista, ogni settimana scrive per Wired Italia “Non Scaldiamoci”, la newsletter sulle conseguenze politiche e sociali del riscaldamento globale e delle questioni ambientali. Si è occupato soprattutto di ambiente e politica estera, con un’attenzione particolare al continente africano, per varie testate. Tra queste Il Foglio, Wired Italia, Linkiesta, Rolling Stone, Repubblica ed Esquire Italia. Ha scritto reportage dall’Africa, dalla Norvegia, dall’Australia, dalla Polonia, dalla Francia e dal Parlamento europeo. È editor della rivista di saggistica e approfondimento culturale L'indiscreto e dal 2020 al 2022 ha insegnato all’Università degli Studi di Ferrara.