Accendiamo la luce sul futuro
La serie di fantascienza Star Trek è ambientata nell’anno 2264. Gli esseri umani viaggiano nella galassia insieme agli alieni, aiutati da computer, propulsione più veloce d
I social network stanno cambiando. Il grande successo di piattaforme come TikTok ha convinto anche i “social tradizionali” a modificare i propri algoritmi. E il futuro potrebbe essere meno social e più intrattenimento.
TikTok Algo 101 è un documento interno di TikTok, popolare social network frequentato soprattutto (ma ormai non solo) dai teenager. In quel documento si svelava la modalità di selezione e suggerimento dei video da parte della piattaforma, in base alle preferenze degli utenti. In pratica lì dentro c’era scritto l’algoritmo di TikTok, svelato in un articolo del New York Times del 5 dicembre 2021. Il titolo di quell’articolo era forte e portava con sé una diffidenza nei confronti del social network probabilmente preconcetta. Anche perché tutti i social network “leggono la nostra mente”, o meglio sono guidati da un sistema di machine learning che orientato dai dati adegua la selezione dei contenuti in base all’utente e ai suoi gusti.
«Quello che però quel documento svelava al mondo era il funzionamento diverso dell’algoritmo di TikTok rispetto a quello di Facebook o Instagram», spiega a Changes Andrea Boscaro, esperto di social media e Partner di The Vortex. «Il social cinese non si basa, infatti, solamente sui like o sulle reazioni ai contenuti, ma offre molto spazio anche al tempo di fruizione dei video». I contenuti su TikTok, dunque, vengono promossi, selezionati e diffusi in base alla loro capacità di essere guardati a lungo. Una caratteristica all’apparenza scontata, ma che nasconde una grande rottura rispetto a quanto fatto dagli altri social sin dal principio. Oltre ai like, insomma, c’è molto altro.
«Nell’algoritmo di TikTok ci sono due elementi fondamentali: il tasso di completamento della visione dei video e la capacità di monetizzare e quindi attirare i creatori di contenuti». Sempre nel documento pubblicato dal New York Times, infatti, emergeva come TikTok favorisse i contenuti monetizzati rispetto a quelli postati per solo intrattenimento. Il cosiddetto content creator, insomma, è per TikTok al centro. Il perché è intuitivo: più video di qualità, significa più visualizzazioni e una maggior percentuale di completamento della visione dei prodotti.
Stiamo andando dunque verso social network meno soggetti alla dittatura del like? Forse è presto per dirlo, ma come sottolinea sempre Andrea Boscaro «il tasso di completamento della visione di un video è una metrica presente in Youtube, ma non in Facebook e Instagram, che hanno sempre prediletto il tasso di engagement ovvero il numero di like, condivisioni e commenti rilasciati». Una delle principali conseguenze di questa diversa logica è la proliferazione delle cosiddette gabbie cognitive, in cui spesso sui social si finisce intrappolati: ovvero quella capacità della piattaforma di farci vedere i contenuti che approviamo maggiormente, più vicini alle nostre idee o alle nostre cerchie sociali, oppure i contenuti che ricevono più reazioni, dunque più divisivi e provocatori. «È un classico effetto negativo dei social network, dove a vincere sono le opinioni più forti, spesso però costruite artificialmente basandosi su fake news, la cui diffusione rischia di essere accelerata proprio dall’algoritmo dei social», commenta Boscaro.
La predilezione dell’engagement da parte dei social della galassia Zuckerberg (ormai nota come Meta) è stata rinforzata negli anni, come testimonia l’introduzione nel 2016 dei tasti di reaction (le emoticon che esprimono affetto, rabbia, sorpresa, divertimento). Recentemente però il vento pare stia cambiando. «Facebook e Instagram hanno iniziato a inseguire TikTok e lo dimostra per esempio l’introduzione delle Stories e recentemente dei cosiddetti Reels, video dalla durata di 15 secondi a cui è possibile aggiungere effetti grafici o audio».
Ma quindi possiamo dire che l’algoritmo di TikTok prediligendo altre metriche oltre ai like favorisce una maggiore profondità, tanto da convincere gli altri social a inseguirlo? «Sicuramente favorisce una maggiore personalizzazione dei suggerimenti dei video, diminuendo il cosiddetto effetto-bolla. Anche su TikTok le community esistono, ma il social le mette meno in evidenza. A questo è legato il fenomeno della diffusione di vere e proprie tribù come quella contraddistinta dall’hashtag #Alttok, un TikTok parallelo che ospita contenuti alternativi, non mainstream o addirittura di controcultura. Tuttavia, c’è da sottolineare come queste modalità di funzionamento dell’algoritmo attenuino le caratteristiche di socializzazione delle piattaforme».
TikTok sarebbe insomma una piattaforma che bada più all’intrattenimento e meno all’esperienza conversazionale. Un social capace, secondo Boscaro, di farci prefigurare le caratteristiche delle piattaforme del futuro. «L’esperienza dei social network nei prossimi anni avrà sempre più una dimensione di intrattenimento, con una più marcata centralità dei creatori di contenuti. In questo un grande ruolo sarà esercitato dal gaming che si coniugherà con le caratteristiche del Metaverso». E in questo scenario potrebbe anche inquadrarsi il momento di difficoltà in cui versano i social di Meta, che nel febbraio scorso ha comunicato un calo dei suoi utenti attivi da 1,930 miliardi a 1,929 nell’ultimo trimestre del 2021. «Un freno fisiologico dovuto alla frammentazione del panorama social e alla differente fruizione generazionale – osserva Boscaro – che però si lega anche all’aumento dei costi sostenuti dai social Meta in termini di regolamentazione e lotta al cosiddetto hate speech. Un costo economico, ma anche di reputazione, che potrebbe aver suggerito a Facebook e Instagram lo spostamento dei propri algoritmi dal predominio dei like a nuove dimensioni più vicine a quelle fatte proprie da altri social network (le metriche relative ai video, per esempio». Un elemento non di poco conto per il funzionamento del dibattito pubblico, troppo spesso inquinato negli ultimi anni da troppi discorsi d’odio, basati su fake news e vere e proprie bufale, che nei nostri feed social hanno trovato terreno troppo fertile. Pandemia docet.