Lo sviluppo del software con la GenAi
Alcune considerazioni sull’impatto della GenAI negli ambienti di sviluppo collaborativo: dall’Hackathon alla pratica quotidiana degli sviluppatori software. Hackathon
Siamo immersi nel Cyberspazio che pone una serie di questioni etiche e di sicurezza. Nel nuovo numero di Changes verranno esaminate le prospettive, con visioni, come al solito, pluraliste.
Ti sei mai fermato un attimo ad osservarla? Ad ammirare la sua bellezza? La sua genialità? Miliardi di persone che vivono le proprie vite, inconsapevoli. Tu sapevi che la prima Matrix era stata progettata per essere un mondo umano ideale? Dove non si soffriva, e dove erano felici tutti quanti, e contenti. Fu un disastro. Nessuno si adattò a quel programma, andarono perduti interi raccolti. Tra noi ci fu chi pensò a… ad errori nel linguaggio di programmazione nel descrivere il vostro mondo ideale, ma io ritengo che, in quanto specie, il genere umano riconosca come propria una realtà di miseria e di sofferenza. Quello del mondo ideale era un sogno dal quale il vostro primitivo cervello cercava, si sforzava, di liberarsi. Ecco perché poi Matrix è stata riprogettata così. All’apice della vostra civiltà. Ho detto “vostra civiltà” di proposito, perché non appena noi cominciammo a pensare per voi diventò la nostra civiltà, e questa naturalmente è la ragione per cui noi ora siamo qui. Evoluzione, Morpheus. Evoluzione. Come per i dinosauri. Guarda dalla finestra: avete fatto il vostro tempo. Il futuro è il nostro mondo, Morpheus. Il futuro è il nostro tempo.
Da MATRIX – L’agente Smith parla a Morpheus
Le questioni che almeno da dieci anni ruotano attorno al nostro nuovo Iperuranio, il Cyberspazio, mi sembrano sostanzialmente quattro. La prima riguarda l’equità economica dello scambio di informazioni personali con i servizi disponibili in rete. La seconda questione è morale e riguarda il pericolo di manipolazione psicologica delle collettività. La terza concerne la vulnerabilità dei sistemi informatici sottoposti al “fuoco” di un nutrito arsenale di armi dai nomi evocativi: Trojan (ehh sempre Omero docet…), Cryptolocker, Ransomware, l’apparentemente bucolico Phishing, etc. etc. Infine, la quarta, la questione delle questioni: viviamo ancora in un solo mondo (reale) o abbiamo un gemello digitale che vive parallelamente a noi? Nel Cyberspazio, appunto. In questo numero di Changes verranno esaminate tutte e quattro le prospettive, con visioni, come al solito, pluraliste. Di seguito alcune suggestioni.
La supposta iniquità dello scambio tra le persone che mettono a disposizione le informazioni sulla propria vita e gli operatori economici che se ne avvantaggiano per formare cluster di potenziali clienti cui fornire servizi personalizzati, è un falso problema. Primo, perché il singolo riceve consapevolmente vantaggi che il suo avo anche immediatamente precedente non si sarebbe sognato in dieci vite. Secondo perché la tecnologia ha solo facilitato la relazione con i clienti, aumentando le potenzialità di scelta. Diverso e assai delicato è il tema etico: questo riguarda l’eventuale utilizzo dei dati a scopo di controllo e condizionamento della vita sociale, politica, religiosa o per determinare decisioni o per conoscere comportamenti che attengono a valori primari e a diritti fondamentali della persona, quale ad esempio la salute, che è cosa diversa dal “condizionamento” nell’acquisto di questa o quell’altra scarpa da ginnastica. L’eticità dei comportamenti riguarda in primis chi detiene i dati, ma poi anche chi è chiamato a stabilire le regole e a vigilare che siano usati nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone e infine le persone stesse che usano il web e che non vanno deresponsabilizzate. La questione della sicurezza dei sistemi è naturalmente cruciale. Ma la tecnologia per fortuna assiste non solo i malintenzionati, ma anche i guardiani, rinnovando secondo nuovi schemi, virtuali, la continua lotta tra predoni e potenziali prede. Con successi alterni. Nulla di nuovo. Invece, ecco appunto l’aspetto che crea inquietudine. La realtà parallela. Credo che non molti di noi, quando sono alle prese con lo smartphone o il pc, immaginino il paesaggio tecnologico che c’è dietro. Non ci si sofferma su questo panorama apparentemente vuoto, etereo, evanescente, imprendibile e invisibile, ma denso invece di onde elettromagnetiche, connessioni plurime, linguaggi matematici che si trasformano in parole. Lì per lì non pensiamo che nel vuoto c’è un altro mondo in cui agiscono macchine che non si limitano a attuare la connessione, ma elaborano e imparano, mettono da parte informazioni e poi ce le restituiscono aumentate. Quello che conta è che queste macchine ci restituiscono un nuovo spazio abitabile e confortevole in cui ci siamo sempre noi, ma in un certo senso anche un altro da noi. Per un po’ di ore della giornata viviamo in un altro mondo, distaccati dal nostro spazio fisico, così limitato. Ci sentiamo più potenti, in qualche caso (come i cittadini di Matrix) anche più felici. E abbiamo tutto a portata di mano, ma quando proviamo a toccare le persone o le cose che circondano questo ambiente confortevolmente espanso, sentiamo la freddezza dello schermo. E allora spegniamo la macchina. O almeno… così speriamo…