Verso il tramonto del dollaro?
«L’abbandono del dollaro come valuta di scambio nelle transazioni commerciali e finanziarie internazionali». Che anche la Treccani lo inserisca fra i neologismi, è la prova ch
Dagli agricoltori fino allo scaffale del supermercato il nostro modo di consumare gli alimenti ha modificato la competizione globale. Ecco da dove viene davvero il nostro cibo.
Dagli agricoltori fino allo scaffale del supermercato il nostro modo di consumare gli alimenti ha modificato la competizione globale. Ecco da dove viene davvero il nostro cibo.
La popolazione mondiale cresce e di conseguenza i consumi alimentari. Da qui al 2020, si prevede un aumento del 50% della domanda di proteine animali. Ma già oggi la carne è uno dei cibi più adulterati e spesso all’origine di epidemie devastanti, come nel caso dell’aviaria. Le tracce di carne di maiale trovate l’anno scorso nelle lasagne di alce dell’Ikea o la carne di cavallo scoperta negli hamburger venduti al supermercato in Gran Bretagna sono solo due episodi di alimenti contaminati da elementi che non ci dovevano essere. Questi episodi hanno fatto scalpore per le ovvie reazioni di una parte della popolazione: chi per motivi religiosi o altro non vuole mangiare carne di maiale o di cavallo è giustamente insorto. Ma non sono certo casi isolati. Il miele e lo sciroppo d’acero vengono spesso “tagliati” con lo sciroppo di mais e nessuno se ne accorge. L’olio d’oliva è uno degli alimenti più esposti alle contraffazioni: può essere allungato con olio di semi o di arachidi, con esiti anche letali per chi soffre di allergia alle noccioline. L’anno scorso solo negli Stati Uniti 325 mila persone sono finite in ospedale e 5000 sono morte per aver mangiato cibo contaminato.
Malgrado la crescita enorme dei cibi preconfezionati, infatti, quasi la metà dei produttori mondiali ammette di non avere visibilità oltre il primo livello di fornitori, in base al Global Manufacturing Outlook di Kpmg. In altre parole, metà del cibo confezionato che finisce sugli scaffali del supermercato non si sa da dove venga. Le imprese che lo producono hanno verificato gli standard dell’ultimo anello della catena, ma non sanno nulla di quelli precedenti. Eppure le contraffazioni costano dai 30 ai 40 miliardi di dollari ogni anno all’industria alimentare, in base ai conti della Global Food Safety Initiative.
Non a caso, cresce la preoccupazione nelle istituzioni che dovrebbero garantire la sicurezza dei cibi serviti sulle nostre tavole. Le frodi spaziano dagli additivi inappropriati – come la tintura nelle spezie per aumentare il colore o gli ormoni iniettati nei polli per nascondere le malattie – alla diluizione come nel caso dell’olio, alla sostituzione, come nel “latte al cuoio” cinese per falsare gli esami sul contenuto di proteine, o alla contraffazione dei marchi e delle etichette, come nel caso dell’anice stellato tossico giapponese venduto come anice stellato cinese. Se per ogni alimento fosse obbligatoria l’origine controllata, naturalmente, la tracciabilità diventerebbe più semplice. E in prospettiva è probabile che ci si arrivi, se non per legge almeno grazie al valore aggiunto che l’origine controllata offre ai produttori. Il mercato globale delle tecnologie per la tracciabilità degli alimenti, secondo Allied Market Research, è destinato a crescere dell’8,7% all’anno, fino a raggiungere i 14 miliardi di dollari nel 2020.
Già oggi ci sono tecnologie che aumentano la trasparenza, dai codici a barre all’identificazione in radio-frequenza, ma l’avvento della blockchain potrebbe completamente rivoluzionare la supply chain alimentare. Una startup a San Francisco, ripe.io di Raja Ramachandran, la sta già applicando ed è stata eletta da Forbes fra le 25 start-up più innovative del settore agrotech nel 2017. Raja, un banchiere diventato imprenditore della blockchain con ripe.io, ha spiegato che la sua Blockchain of Food punta a costruire un «sistema dinamico di schede che registrano le condizioni di crescita, trasporto e stoccaggio dei singoli alimenti per trasmettere a tutta la catena i dettagli della loro provenienza, allertare l’ecosistema in caso di deterioramento e consentire l’acquisto automatico di alimenti basato sulla loro maturazione». Con una schedatura impossibile da manomettere, che mantiene in modo continuo una lista crescente di registrazioni da parte di tutti gli attori, si porrebbe un argine alle contraffazioni, ma anche agli sprechi alimentari.
Gli attori che potrebbero essere interessati a partecipare alla cosiddetta Blockchain of Food sono distribuiti lungo tutta la catena: dagli agricoltori che vogliono mettere in evidenza la qualità dei loro prodotti o efficientare le vendite, ai distributori che chiedono più trasparenza, ai trasformatori che faticano a convalidare l’origine dei prodotti, ai confezionatori che potrebbero aumentare il loro valore aggiunto nella catena, ai commercianti che faticano ad offrire prodotti garantiti a chilometro zero, ai ristoratori, soprattutto quelli di fascia alta, che tendono a fornire sempre più assicurazioni al cliente sull’origine controllata di quello che mettono nel piatto.
Per gli agricoltori, il problema fondamentale è che generalmente hanno un 20% di terra non utilizzata e in media buttano almeno il 10% della loro produzione in alta stagione. Con la blockchain questi sprechi potrebbero essere eliminati, facendo nascere un nuovo mercato di prodotti locali in tempo reale, garantiti da una tracciabilità di alta qualità, che consente di accorciare la catena.
I distributori sono spinti dai consumatori a procurarsi più prodotti agricoli locali, ma sono limitati dall’incapacità degli agricoltori di fornirli. La blockchain darà loro accesso a un nuovo mercato di produttori locali garantiti. «I distributori sono un anello chiave della catena per l’adozione della blockchain e per lo sviluppo di un’agricoltura più sostenibile», ha spiegato Raja. «Dai test che abbiamo condotto, solo la forte pressione dei consumatori finali li ha incoraggiati a modificare alcuni elementi delle loro pratiche. Crediamo che alla fine non avranno altra scelta, ma saranno lenti e riluttanti ad adottare i nuovi standard», ha precisato.
Chi si occupa del confezionamento potrebbe aumentare il proprio valore nella catena attraverso l’uso di contenitori intelligenti, con l’etichettatura smart del prodotto e con l’inserimento di altri dettagli sul cibo al momento dell’imballaggio. Ma come per i grandi distributori, chi confeziona per l’industria alimentare massificata «non adotterà questi standard finché non sarà costretto a farlo dai consumatori o dall’ingresso di nuovi entranti in questo mercato, impegnati in una nuova implementazione locale della catena», ha sostenuto Raja.
I trasformatori sono a loro volta al centro di questa contraddizione. La fiducia dei consumatori nella qualità di un prodotto trasformato dipende dalla capacità di comunicare non solo i dati di elaborazione, ma anche le informazioni di origine sul prodotto, il che implica una robusta tracciabilità, ma i costi di questo requisito, oggi, sono proibitivi, mentre la capacità di motivare i coltivatori a fornire queste informazioni è molto ridotta. La Blockchain of Food consente invece al coltivatore e al trasformatore di condividere le informazioni in modo sicuro e privato, ma anche di convalidare la catena di approvvigionamento senza violare la fiducia dei singoli partecipanti.
Commercianti e ristoratori hanno un rapporto diretto con il consumatore finale e quindi sono sottoposti alla pressione maggiore. La tendenza a fornire maggiori informazioni sul cibo che vendono o servono nei piatti (locale, biologico, ruspante) continua ad aumentare. Le ordinazioni online e le app per smartphone dei negozi e dei ristoranti amplificano ulteriormente la domanda di dati alimentari. I consumatori sono disposti a pagare premi significativi per il cibo garantito di buona qualità. I listini e i menu intelligenti possono essere collegati in tempo reale con la Blockchain of Food per fornire la cronologia effettiva di prodotti specifici utilizzati in un determinato giorno nel negozio o nel ristorante.
Da qui si arriva facilmente al “sacro Graal” della personalizzazione del cibo. «Facciamo l’esempio di un ristorante di hamburger vegani che compra il pane da un fornaio locale usando la Blockchain of Food. Il fornaio usa la Blockchain of Food per affermare pubblicamente che il suo pane è vegano. Il ristorante pubblica il contratto intelligente programmato per identificare gli ingredienti non vegani, grazie ai dati presenti sulla blockchain. Il fornaio espone privatamente la lista di ingredienti come prova per il contratto intelligente del ristorante. Vedendo l’elenco degli ingredienti, il contratto intelligente può certificare le affermazioni del fornaio, con un monitoraggio continuo a disposizione del consumatore, senza svelare i dati sensibili a monte», ha spiegato Raja. I partecipanti non hanno bisogno di conoscersi o di fidarsi per riunirsi sulla Blockchain of Food: i contratti intelligenti possono valutare le loro asserzioni e notificare i titolari dei rispettivi account quando si verificano corrispondenze, con un sistema semplice ed economico.
La via che porta alla buona alimentazione passa inevitabilmente per l’economia della conoscenza. Ma ci vorrà una spinta dal basso per rendere le buone pratiche uno standard irrinunciabile nella competizione globale.