Alchemy: quando la logica non basta a spiegare l’economia
Alchemy di Rory Sutherland è un libro brillante, pieno di trovate, scritto con la verve di chi la pubblicità non la studia: la vive. La sua tesi è semplice e accattivante: gli e
Da Firenze del Rinascimento alla Silicon Valley degli anni Ottanta, ogni epoca ha avuto un luogo in cui lo zeitgeist si è manifestato e ha cambiato il corso della storia. Ma oggi, in un mondo interconnesso e frammentato, dove pulsa davvero l’anima del nostro tempo?
Ma dove passa oggi, lasciando i suoi semi di futuro? Il fascino della parola tedesca zeitgeist è tutto racchiuso nell’unione di due termini inafferrabili: zeit che significa tempo e geist spirito, che si abbracciano per dare vita ad un’espressione pulsante di storia e di senso.
Si tratta di una parola coniata in Germania tra il Settecento e l’Ottocento per descrivere il fermento culturale ed intellettuale che visse un paese attraversato da tendenze vibranti e fertili per la creatività e l’intelletto.
Oggi la usiamo ormai per definire l’anima di un’epoca, ma com’è possibile farlo senza applicarla ad un luogo? Non la si può declinare senza specificare dove stia lasciando le sue impronte. Dunque, l’anima di un’epoca non vive ovunque, ma in un luogo preciso.
Partito dal romanticismo e dall’idealismo tedeschi di qualche secolo fa, Zeitgeist è un termine decollato dalla filosofia ma è atterrato nella lingua comune: lo usiamo proprio per definire il senso di un’epoca che si radica in un luogo. O che si irradia da esso. Fa vibrare una nazione o terremòta un continente, incendia una città o fa esplodere un quartiere: è da lì che la storia traccia qualcosa di nuovo e duraturo, e nel bene o nel male lascia un solco indelebile, che spesso si espande altrove.
Ho visto l’Imperatore – quest’anima del mondo – uscire dalla città per andare in ricognizione. È una sensazione meravigliosa vedere un simile individuo che, concentrato qui su un punto, seduto a cavallo, si estende sul mondo e lo domina.
È il filosofo Hegel a parlare. Siamo nel 1806 e sta mettendo su carta ciò che ha provato vedendo Napoleone a cavallo che entra a Jena, in Germania; ed è forse in questa frase che si esprime uno degli usi più potenti di questo termine.
Siamo infatti nei primi anni dell’Ottocento e lo zeitgeist è ciò che attraversa l’Europa dove da poco hanno imperversato le rivoluzioni e dove ora si riafferma una forma di potenza già vista, temibile ma in qualche modo rassicurante. Che sia politica o arte, filosofia o scienza, è un vento che passa sempre da un luogo.
Il fascino del termine zeitgeist sta anche nel suo potere retroattivo. Può essere applicato anche a epoche precedenti a quella che l’ha visto nascere. È stato nella Firenze del Rinascimento, quando ha messo l’uomo al centro del pensiero moderno e sono esplosi l’umanesimo, l’arte e l’architettura, le scoperte scientifiche ed un rinnovamento culturale.
È passato da Vienna tra il 1913 ed il 1914, dove si sono incrociate le menti che hanno plasmato nel bene e nel male il 900, da Freud a Hitler, da Francesco Giuseppe a Stalin e Trotsky.
Che dire dell’Olanda del diciassettesimo secolo? Ha giocato un ruolo decisivo piantando il seme futuro della globalizzazione con la sua potenza economica, tra commercio di schiavi e violenza coloniale, ma anche scoperte scientifiche ed una produzione artistica memorabile.
Il cosiddetto Zeitgeist ha lasciato il suo segno anche nella provincia di Londra dal 1938,dove poi, decrittato il codice Enigma, sono state messe le basi per la moderna scienza dei computer. Da lì è poi partito il veloce sentiero che ha condotto lo spirito del tempo nel luogo dove forse l’abbiamo conosciuto meglio e con maggior entusiasmo: la Silicon Valley degli anni Ottanta. E si vede benissimo in una produzione originalissima e quasi sconosciuta.
È il documentario angloamericano The Triumph of the nerds del 1996, che esplora lo sviluppo della produzione dei personal computer con le interviste ai guru planetari del modero digitale: da Bill Gates a Steve Jobs fino a Steve Wozniak.
E oggi? A leggerlo così, lo spirito del tempo sembra qualcosa di positivo. Con tutti i suoi difetti, era ottimistica la Golden Age olandese così come la Rivoluzione Industriale; era positiva la Belle Époquecome la rivoluzione digitale degli anni 2000. Così come erano super-ottimistici gli anni dei Brics in cui la globalizzazione sembrava portare frutti anche nei paesi in via di sviluppo, o gli anni post Muro di Berlino e quelli dell’allargamento europeo a est…
È stata ottimistica la Cina degli ultimi anni, tutta economia, green e tecnologie. Ma cosa determina il suo inarrestabile passaggio? Come vederlo arrivare? Le sue impronte sono nel successo economico o forse in quello scientifico? In quello militare ed espansivo, quello della potenza? Oppure sono l’arte e l’intelletto, la politica e la democrazia a segnarne la presenza?
Se fosse una formula potremmo forse scriverla così:
NOVITÀ X TEMPO X LUOGO = ZEITGEIST
Ma non c’è mai la certezza che sia sempre positiva. Come non lo sono state le banlieues di Parigi e le Primavere Arabe.