Sono dunque mangio

Well being


Sono dunque mangio

Una celebre frase del gastronomo settecentesco Jean-Anthelme Brillant Savarin recita: «Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei». Oggi grazie alle ricerche della psicologia possiamo rovesciare l’assunto in: «Dimmi chi sei e ti dirò cosa mangi». Perché serve una comunicazione nutrizionale personalizzata.

Definisci la tua personalità e i tuoi valori e ti dirò cosa metti in tavola. L’Indice Psychological Food Involvement Scale elaborato all’EngageMinds HUB dell’Università Cattolica di Cremona diretto dalla professoressa Guendalina Graffigna, fa proprio questo: ci consente di conoscere le motivazioni spesso inespresse che stanno dietro alle scelte alimentari delle persone. «La scala indaga, per esempio, quanto il cibo sia considerato dal singolo come un mezzo attraverso il quale provare emozioni positive o per essere accettati dagli altri, o se serve per rafforzare i legami familiari» ha spiegato Graffigna.

Attraverso questa scala costruita sulle preferenze di 512 persone è emerso che:

  • per il 45% degli interpellati il cibo rappresenta non tanto una fonte alimentare quanto un mezzo per rafforzare il legame affettivo con le persone care e tenderanno a scegliere pietanze di “tradizione familiare”;
  • per il 40% è uno strumento per migliorare il proprio benessere e privilegeranno piatti salutari o meno elaborati

Siamo sicuri di sapere come scegliamo gli alimenti?

La verità è che esse difficilmente riguardano solo la sfera privata dell’individuo, e le sue motivazioni, bensì al contrario avvengono in contesti sociali, che le influenzano, senza che l’individuo se ne renda conto, secondo il parere di Patrizia Catellani, docente di Psicologia Sociale presso l’università Cattolica di Milano e direttrice del Centro di Ricerca PsyLab. «Ogni volta che selezioniamo certi piatti o ne rifiutiamo altri rispondiamo a motivazioni solo parzialmente note, che ci spingono marcare una distanza, più o meno estesa, tra noi e gli altri, facendo distinzioni non tanto di tipo gastronomico, quanto (e a volte soprattutto) di tipo culturale o ideologico» ha detto Catellani.

Ecco allora che alla scelta di un piatto può indurci non una decisione ponderata ma indotta da diverse influenze esterne. In particolare: Alimenti di moda come nel caso dei latticini senza lattosio; l’età anagrafica (difficilmente un anziano si innamora del sushi) o l’educazione (la sostenibilità di un cibo è rilevante per i giovani più che per i boomers).
Queste influenze spesso sono così invisibili che chi le subisce neppure se ne accorge: basta pensare ai numerosi studi che hanno dimostrato come
i membri della stessa famiglia durante un pasto operano un tale “modellamento sociale” che inconsapevolmente sintonizzano addirittura tempi e numero dei bocconi consumati. Riprese video hanno indicato infatti che circa nel 30% dei casi un commensale mangia un boccone entro cinque secondi da quando l’ha fatto un altro familiare; nel caso di bambini, tale comportamento è ancora più probabile (giungendo fino al 40% dei casi).

La comunicazione del cibo fa la differenza

Il punto fondamentale però non è tanto che ignoriamo perché scegliamo un certo piatto: piuttosto è che, se non conosciamo le nostre più profonde motivazioni, non possiamo cambiare le nostre abitudini alimentari e fare scelte più salutari, se necessario. Ed è in quest’ambito invece che la professoressa Catellani crede che la psicologia possa fare la differenza, perfezionando la cosiddetta “comunicazione felice”, ovvero una modalità di consigliare e descrivere il cibo che prevedibilmente determini precise reazioni.

Una dimostrazione dell’efficacia di questo approccio è ricavata dalla sperimentazione condotta dalla docente tramite PsyMe, una app sviluppata con l’università di Pavia e ora acquisita dall’Università Cattolica di Milano, che consente una forma di educazione alimentare “personalizzata” (la docente ne parlerà al Ted x Unicatt in programma a Milano il 16 aprile 2023).

La app presuppone una profilazione iniziale degli utenti, effettuata mediante le risposte degli utenti ad alcune domande. In seguito, un chatbot invia messaggi agli iscritti modellando la comunicazione in base alle risposte fornite, che rispecchiano specifici fattori emotivi. Per esempio:

  • Una persona “a bassa autoefficacia alimentare“, ovvero incapace di fare dieta, reagisce maggiormente a suggerimenti che enfatizzano il benessere apportato da certi stili di vita e alimenti rispetto a messaggi negativi, che prefigurano conseguenze sulla salute se non si cambia regime. A questa tipologia di soggetti, il chatbot, anziché messaggi allarmistici, scriverà testi motivazionali come: «Essere più attivo può aiutarti a sentirti più energico e a dormire meglio. Una doppia vittoria!».
  • Sui soggetti sicuri di sé la paura di malattie fa invece più presa dell’elemento edonistico, mentre a chi è più propenso al rischio occorre parlare di alimentazione puntando sull’avversione alla perdita, con messaggi tipo: «Se non segui una sana alimentazione, danneggerai la tua salute».

Stop al pregiudizio: mangiare sano mortifica il gusto

Una comunicazione efficace è utile anche per debellare il pregiudizio secondo cui mangiare sano voglia dire mortificare il piacere della tavola. Infatti, è possibile cercare di accrescere la percezione che i cibi sani siano anche appetibili descrivendo le verdure o i prodotti con pochi grassi in un modo che enfatizza il loro sapore, colore e piacevolezza.

Per esempio:

  • Un esperimento condotto per un mese e mezzo in una grande caffetteria universitaria ha visto la proposta quotidiana di un piatto di verdura, etichettato però in quattro modi diversi: con una descrizione standard (verdura cotta), descrizione salutare restrittiva (informazioni sul basso apporto calorico), descrizione salutare positiva (informazioni sui nutrienti salutari, come le vitamine) o descrizione edonica (informazioni su aspetti sensoriali come consistenza o gusto).
  • I risultati hanno mostrato che la descrizione edonica delle verdure ha aumentato del 25% il numero di persone che selezionavano la verdura rispetto alla descrizione standard, del 41% rispetto alla descrizione salutare restrittiva e del 35% rispetto alla descrizione salutare positiva.

È la conferma di un presupposto della psicologia sociale dell’alimentazione: il cambiamento dei comportamenti si costruisce in interazione e con il supporto degli altri, ma solo quando chi vuole esercitare un’influenza entra in sintonia con i bisogni dell’interlocutore, con i suoi desideri, le sue motivazioni, e in ultima analisi con quello che, più o meno consapevolmente, vuole. Anche se magari in un questionario ha affermato tutt’altro.

Mantovana, giornalista da oltre 15 anni in Mondadori, collabora a numerose riviste nazionali su temi di attualità e stili di vita. Ha collaborato a una monografia sul cinema di Steven Spielberg e curato la traduzione dall’inglese di un saggio sul Welfare State. ​