Esiste l’empatia digitale?
Per parlare di empatia nell’era digitale ti racconto una cosa che mi è successa la settimana scorsa, anzi in realtà mi è successa tante volte e credo valga lo stesso per te. E
Ogni generazione è costretta a gestire l’ignoto, anche se qualcuna sembra esserlo più delle altre. Eppure, abituarsi ad affrontarlo è possibile, e ha molto a che fare con il sapere.
Dopo anni di terrorismo, crisi economiche e finanziarie, non ci si aspettava una pandemia in grado di portare uno strato ulteriore al disordine globale. Tuttavia, se n’è subito aggiunto un altro, il conflitto tra Russia e Ucraina, che porta ad un livello estremo l’incertezza sul futuro.Ma c’è un modo per abituarsi ad affrontarla, e magari trarne vantaggio?
Da sempre, è difficile comprendere se una generazione sia effettivamente più sfortunata delle precedenti. Periodicamente si sviluppa la percezione che quella attuale debba infatti affrontare un numero maggiore di difficoltà. Cesare Marchi, nel libro Siamo tutti latinisti (Rizzoli, 1986) parlando della nota frase latina mala tempora currunt – corrono tempi cattivi – descriveva quasi come una regola il fatto che una generazione denigri sé stessa per rimpiangere quelle precedenti, intese come migliori e più fortunate.
L’impressione di dover vivere in un tempo storico particolarmente complesso è dunque un’abitudine diffusa.
La troviamo in qualche modo espressa dal monito dolciniano penitenziàgite citato ne Il nome della Rosa di Umberto Eco, e ispirata probabilmente dal Vangelo di Matteo, fate penitenza, il regno dei Cieli è vicino. Poi la ritroviamo anche in tempi più recenti e in contesti più leggeri e non meno affascinanti, come nella serie tv Game of Thrones, dove è rappresentata dalla frase L’inverno sta arrivando. In ogni caso, quasi sempre si tratta di una percezione smentita dalle generazioni successive, che finiscono per passarsela ancora peggio. Infatti, mala tempora currunt continua con sed peiora parantur – se ne preparano di peggiori.
Con l’idea di conoscerla ed affrontarla meglio, è possibile misurare l’incertezza? Generalmente lo si fa valutandola con due fattori, come per i terremoti. Il primo è l’intensità: quanti danni fa, quanto è profonda. Se ne misura la forza, l’impatto: quanto è grave l’incertezza prodotta da un evento improvviso e avverso?
Il secondo è il tempo. Ed è particolarmente importante anche per quella che qui stiamo chiamando incertezza estrema. Il tempo ne valuta infatti la durata. E per l’incertezza estrema è la frequenza degli eventi avversi in uno spazio di tempo, a dirci quanto un periodo sia effettivamente difficile da superare.
Più se ne aggiungono, in questo intervallo, e più l’incertezza diventa una costante, e si estremizza. Sono elementi un po’ teorici, ma indispensabili a capire che quando parliamo di incertezza il nostro pensiero si focalizza sulla sopravvivenza e su tutte quelle variabili che la rendono complicata.
Perché, dunque, il modo in cui affrontare l’incertezza ha a che fare con il sapere? Prendiamo le fonti dell’incertezza: sono infinite. Dicevamo che possono essere le guerre, una pandemia, le crisi di borsa, ma se entriamo nel dettaglio di questi ultimi venti anni troviamo anche il terrorismo e gli attentati, e poi la crisi delle filiere produttive, oggi l’inflazione, e domani chissà…forse qualche grave evento climatico o un’improvvisa carenza di una fonte energetica.
Si tratta di variabili: sono domande impreviste di cui non abbiamo una risposta, sono l’incognita di un’equazione. Più incognite si presentano in uno spazio di tempo, più risposte bisogna trovare, e più la situazione diventa complessa.
Navigare l’incertezza estrema significa quindi trovare un modo per affrontarle quando si presentano insieme, e quando sono veloci nel presentarsi. Ma significa soprattutto trovare nuove informazioni, che prima non erano necessarie.
Proviamo infatti a confrontarla con la certezza. Quest’ultima è un faro, un elemento di stabilità da considerare come punto di riferimento per prendere decisioni. E generalmente è un fattore di continuità, contribuisce a mantenerci sulla stessa rotta senza farci cambiare improvvisamente. Invece, l’incertezza si presenta spesso sotto forma di un messaggio inatteso, di un’informazione differente, che ci costringe ad approfondire, a sapere di più.
Quando ci confrontiamo con altre persone, per esempio, chi esprime certezza esprime sapere, dà l’idea di essere più informato.
L’incertezza porta invece con sé l’ammissione dell’ignoranza: è ben documentato, infatti, che così come la certezza spinge le persona ad agire, l’incertezza le spinge a pensare.
«Se le cose vanno bene significa che non stai innovando abbastanza» ha scritto in fondatore di Tesla, Elon Musk, e in qualche modo descrive quella tensione verso la conoscenza dell’ignoto che è il primo carburante per l’innovazione. Una situazione estremamente complessa – come quella attuale – può quindi portarci ad un cambiamento positivo, perché ci costringe ad una condizione rara e inusuale, ma soprattutto preziosa, di apprendimento continuo.
Perché la luna non cade sulla terra? Perché una mela cade da un albero? Perché alle Isole Galapagos ci sono così tante specie che non ci sono altrove? A cosa assomiglierebbe l’universo se potessi attraversarlo su un raggio di luce?
L’incertezza estrema si può dunque trasformare in una spinta preziosa a farci domande, com’è stato per Newton, Darwin, Einstein.