Sei consigli per difenderci dalla plastica
La plastica è presente nella nostra vita quotidiana da oltre settant’anni ed è così fondamentale che la diamo per scontata senza renderci conto della sua pervasività. Secondo
Perché l’aumento della temperatura e la globalizzazione favoriscono malattie infettive dove finora erano assenti. Changes ne ha parlato con Giovanni Rezza, direttore del dipartimento Malattie infettive dell’Iss.
Perché l’aumento della temperatura e la globalizzazione favoriscono malattie infettive dove finora erano assenti. Changes ne ha parlato con Giovanni Rezza, direttore del dipartimento Malattie infettive dell’Iss.
Il pericolo si nasconde dove meno ce lo aspettiamo. Gli effetti del cambiamento climatico non passano inosservati: alluvioni, lunghi periodi di siccità, scioglimento delle calotte polari e dei ghiacciai di alta montagna, non sono più materia di riviste scientifiche ma occupano prepotentemente le cronache quotidiane. Si tratta di fenomeni macroscopici sotto gli occhi di tutti che, ormai, non è possibile ignorare e a cui dobbiamo, nostro malgrado, abituarci. Eppure ci sono altri effetti, molto meno evidenti, ma altrettanto pericolosi, legati allo sconvolgimento climatico provocato dalle attività umane e fra questi uno molto subdolo e invisibile: la diffusione di malattie infettive.
Secondo una ricerca pubblicata qualche mese sulla rivista Scientific Reports «fra cambiamento climatico e queste patologie c’è una connessione comprovata». Un vero e proprio allarme lanciato da Marie McIntyre, responsabile dello studio firmato dall’Università di Liverpool, in Gran Bretagna. L’analisi dell’ateneo inglese ha scoperto che il 63 per cento dei microorganismi presenti nel Vecchio continente responsabili di trasmettere patologie subisce gli effetti del clima. Prevedibile, si potrebbe dire, ma ancora oggi non sono numerosi gli studi scientifici che hanno evidenziato con tanto di numeri questo nesso.
«È ormai indubbio che esiste un legame fra cambiamento climatico e diffusione di queste patologie – ammette anche Giovanni Rezza, direttore del dipartimento Malattie infettive dell’Iss, l’Istituto superiore di sanità, e uno dei maggiori esperti italiani di questi temi – ma vanno considerati anche altri fattori come la globalizzazione. Questo fenomeno è fra le principali cause di diffusione dei virus perché caratterizzato dall’alta mobilità di uomini e di merci favorita dai moderni mezzi di trasporto. La zanzara tigre, per esempio, è arrivata in Italia negli anni Novanta con un carico di pneumatici provenienti dagli Usa. La zanzara poi si è adattata perfettamente da noi, proprio per colpa del cambiamento climatico: possiamo parlare di un combinato disposto fra globalizzazione e climate change. Quel che è certo è che siamo di fronte a scenari nuovi per molti aspetti ancora da indagare».
Senza andare troppo lontano da casa si pensi all’emergenza Chikungunya in corso nel Lazio. Il virus di origini tropicali trasmesso proprio dalle zanzare tigre ha comportato il blocco delle donazioni di sangue nel vasto territorio dell’Asl 2 di Roma e ad Anzio: si tratta di un’area dove gravita una popolazione di circa due milioni di abitanti. Una situazione simile si era verificata nel 2007 a Ravenna quando il virus si accanì su Castiglione, colpendo 250 persone su 2mila residenti, con una percentuale superiore al dieci per cento. Anche allora dell’emergenza si occupò Rezza.
«In Europa negli ultimi anni sono stai segnalati non solo casi di Chikungunya, per esempio in Francia in misura anche maggiore rispetto all’Italia, ma addirittura di malaria, come accaduto Grecia. Il fattore scatenante – continua lo scienziato – è la proliferazione delle zanzare condizionata dall’aumento della temperatura e soprattutto dal prolungamento delle condizioni adatte alla loro riproduzione. Le estati, infatti, durano più a lungo. Alle nostre latitudine, per fortuna, esiste ancora la stagione invernale, anche se ormai viviamo in una sorta di zona tropicale part time. Terminata la stagione più calda, quindi, un focolaio epidemico tende a esaurirsi con il netto abbassamento delle temperature».
L’attenzione, a ben guardare, è alta non solo in Europa, dove queste malattie sono una novità, ma anche in aree in cui nomi come Dengue, febbre della Rift Valley, sono la norma nei bollettini medici. Mentre il virus Zika, particolarmente pericoloso se contratto in gravidanza perché potrebbe causare gravi anomalie cerebrali nei feti, è arrivato ormai a minacciare anche il Sud degli Usa, non si può non guardare con crescente preoccupazione alla diffusione a macchia d’olio di malattie tropicali in aree dell’Africa. Negli altipiani etiopi e kenioti, per esempio, prima ritenuti immuni dalla malaria a causa dell’altitudine, è stata rilevata per la prima volta la presenza delle zanzare che trasmettono la malattia. Secondo l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, la malaria uccide oggi qualcosa come 600mila persone ogni anno, in particolare bambini africani sotto i 5 anni.
Alcune patologie più che diffondersi dal punto di vista geografico, diventano ancora più contagiose. Secondo una ricerca pubblicata dalla rivista medica American Journal of Tropical Medicine and Hygiene, l’aumento medio della temperatura notturna di appena un grado, sarebbe in grado di raddoppiare i casi di colera nelle zone colpite dalla malattia, nei quattro mesi successivi. Questo dato è emerso analizzando le epidemie che hanno colpito Zanzibar nel periodo compreso fra io 1999 e il 2008.
«Tutti questi segnali – continua Rezza – sono inequivocabili prove che i cambiamenti climatici hanno appena iniziato a condizionare le nostre esistenze anche sul fronte della salute. Adesso dobbiamo indagarli in maniera approfondita e con metodo scientifico per comprenderne le dinamiche ed approntare le migliori contromisure. Di certo questo è un fenomeno di cui dovremo sempre più farci carico».