A Natale la plastica non va in tavola

Well being


A Natale la plastica non va in tavola

Via ai decreti di attuazione che mettono al bando i prodotti monouso che inquinano. I danni per la terra e la nostra salute sono già rilevanti. Changes ne ha parlato con il biologo marino Silvestro Greco.

Natale è sinonimo di atmosfera e di tradizione ma anche di calore, spiritualità e riunioni allegre fra famigliari e amici. Un’occasione magica il Natale che si rinnova anche per imbandire le nostre tavole di Natale e gustare piatti prelibati anche tradizionali. Tavole allestite con candele, rami, fiori, frutta secca e fresca e tutti quegli elementi classici di Natale che sono utilizzati nei centrotavola natalizi come da tradizione. E sopra a molte tavole di Natale degli italiani e del mondo non mancheranno ciotole di plastica ma anche bottiglie, palline natalizie colorate, pupazzetti, Babbetti di Natale, omini di neve. Ce n’è per tutti e per tutti i gusti. Ma siamo sicuri che tutta questa plastica resti davvero fuori dal nostro piatto di Natale? Il problema è proprio questo. «Quando la plastica, anzi le plastiche entrano nel nostro piatto, il problema si trasforma in emergenza per la salute nostra oltre che quella del nostro ambiente dal quale dipendiamo perché la salute, lo abbiamo capito anche con l’esperienza della pandemia, è unica», afferma Silvestro Greco biologo marino dirigente di ricerca della stazione zoologica A. Dhorn, docente universitario e autore del libro La plastica nel piatto edito da Giunti editore nel 2020

Ma c’è una buona notizia: il 4 novembre 2021 il Consiglio dei Ministri ha approvato 18 decreti di attuazione di specifiche norme europee. Tra questi la direttiva Ue Single Use Plastic (SUP) 2019/904 sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente. La direttiva SUP mette al bando alcuni prodotti in plastica monouso. Mai più posate e piatti di plastica, cannucce e agitatori per bevande, aste per palloncini, contenitori per alimenti e per bevande o tazze in polistirene espanso e bastoncini cotonati con l’asticella in plastica per pulire le orecchie. Saranno vietate la produzione e l’utilizzo di questi prodotti nella gastronomia e nei ristoranti ma anche la loro commercializzazione da parte di supermercati e negozi. Il decreto ora segue il percorso necessario per la regolamentazione e speriamo che questo processo si compia velocemente. Già dal prossimo anno quindi non vedremo più questi prodotti che ci accompagnano da sempre.

La natura è pervasa da oggetti creati da questi materiali che i tecnici chiamano con nomi specifici che ne declinano il composto chimico di base “polimero sintetico” e le sue caratteristiche. Ci spiega Greco che l’avvento di questi materiali risale alla fine dell’800 e non è stato un processo semplice. Molta confusione ha contornato i primi esperimenti e le prime definizioni. A cominciare dal nome plastica. «Ma il vero corto circuito lo abbiamo avuto quando negli anni 70 i produttori di plastica hanno introdotto la plastica usa e getta». Ad oggi l’impatto della plastica è molto rilevante ovunque. Addirittura nel luogo più profondo del nostro pianeta. Una busta di plastica è stata ritrovata nella Fossa delle Marianne a 11.000 metri. Ed è soprattutto in mare dove domina l’emergenza rifiuti dai tropici ai poli, dalla superficie degli oceani, agli abissi più profondi.

La plastica che arriva nella nostra alimentazione anche a Natale

Ma come mai la plastica che entra negli organismi marini, finisce nelle nostre tavole anche in quelle che prepariamo con molta cura e attenzione alla selezione dei cibi che cuciniamo per le persone che amiamo? Come mai la troviamo anche nell’acqua che beviamo? Il problema della plastica è reale e non possiamo girare la testa altrove perché il tema è scomodo. Diamo un po’ di numeri allora e subito capiremo. Secondo le analisi e gli studi scientifici citati da Greco, il 70 e l’80% di tutto l’inquinamento ha fonti terrestri. Che siano frutto di dispersione intenzionale o involontaria sulle discariche, sul deflusso superficiale dei fiumi in ambiente urbano o sulle rive fluviali in campagna, i rifiuti plastici finiscono per affondare sul letto dei fiumi, essere depositati a valle e quindi entrare nell’ambiente marino. La densità del tipo di plastica determina la profondità a cui si deposita. La quantità annua di rifiuti di plastica mal gestita e generata dalle popolazioni che vivono entro 50km dalla costa è stata stimata in 31,9 milioni di tonnellate. Di questi da 1,1 a 8,8 milioni di tonnellate annue sono generate dai Paesi con un pessimo livello di gestione e conversioni dei rifiuti plastici. Sono paesi capaci di produrre potenzialmente dal 15 al 40 % del totale globale di plastica dispersa. E se la Cina si colloca al primo posto secondo uno studio pubblicato dalla Banca Mondiale di dieci anni fa con circa 3,53 milioni di tonnellate annue di input di detriti in plastica, seguita dall’Indonesia con 1,29 milioni, anche in Europa i dati sono drammatici.
Alcune stime indicano che 4,2 tonnellate al giorno di rifiuti di plastica vengono introdotti in mare dal solo Danubio. Più di 1500 tonnellate all’anno. Ci rendiamo conto? E da dove proviene questa plastica? Dopo due anni di monitoraggio si è notato che, nel caso del Danubio, la maggior parte di questi polimeri erano particelle provenienti dalle industrie di resine situate lungo il secondo fiume europeo. Ma non solo l’uomo è responsabile dello sversamento dei rifiuti plastici nei fiumi e negli oceani che poi finiscono anche nei pesci che mangiamo. Ci sono anche agenti atmosferici capaci di trasportare grandi quantità di rifiuti e detriti di ogni sorta negli oceani. Inondazioni, cicloni, tsunami. Di tutti gli impatti biologici dell’inquinamento da plastica, la minaccia più seria per la conservazione delle singole specie e il funzionamento degli ecosistemi marini, è l’ingestione di plastica perché colpisce tutte le specie viventi.

I detriti plastici in mare sono infatti scambiati dalle tartarughe come meduse, i tappi colorati per molluschi dagli uccelli marini. E ancora reti, palloncini, cannuccie, frammenti di teli di plastica utilizzati in agricoltura, vengono mangiati. Addirittura pesci che vivono in profondità di 200 fino ai 100 metri (mesoplagici) sono stati trovati con microplastiche e macroplastiche ingerite dal Nord del Pacifico al Nord Atlantico, ma anche nel Mare dei Sargassi, nel Mare della Manica, nel Mare del Nord e anche nel nostro mare Mediterraneo la situazione è critica. E se da una parte l’assorbimento di plastica da parte di molte specie di organismi marini avviene in modo diretto perché viene scambiato per cibo tradizionale, anche le nanoparticelle di plastica possono finire negli organismi. Per non parlare dei contaminanti chimici. Un bel mix insomma. E non è solo la catena alimentare marina a essere “farcita” da plastica. Gli studi hanno riscontrato particelle polimeriche di ogni dimensione e tipo in tanti altri ecosistemi e habitat anche sulla terraferma. Particolare attenzione viene dedicata al settore agricolo, zootecnico e alle bevande e al cibo che ingeriamo.

Ricorda Greco che nel giugno del 2019 l’Università di Newcastle in Australia ha evidenziato un dato davvero preoccupante. Ciascuno di noi potrebbe in media ingerire fino a circa 5 grammi di plastica ogni settimana. Il peso equivalente a una carta di credito, per avere un’idea. E il peso maggiore di plastica ingerita che pesa sul consumo umano, deriva dall’acqua imbottigliata. Seguono i frutti di mare che non venendo eviscerati come i pesci comportano l’assunzione della plastica nell’apparato digerente. Anche la nostra acqua potabile presenta una elevata percentuale di microplastiche. Ma mentre per altri prodotti come il sale marino, i prodotti ittici ma anche la birra e il miele, i danni si riducono limitandone il consumo, dell’acqua non si può fare a meno.

Quali sono le conseguenze della plastica nel nostro piatto? Le tossine potrebbero comportare danni fisiologici che vanno dallo stress o​ssidativo a effetti cancerogeni, mentre le microplastiche disperse nell’aria possono produrre infiammazioni alle vie respiratorie. Ridurre l’uso significa modificare quasi ogni segmento dei nostri consumi e degli acquisti. ​

Storica, saggista e specialista in comunicazione ambientale. Parte sempre dalla catalogazione di fonti autorevoli per ottenere dati e informazioni attuali che poi rielabora per offrire contenuti divulgativi a prevalente valenza sociale e ambientale. Catalogare e selezionare per lei sono la premessa essenziale per il riconoscimento di un valore che è il fondamento della conoscenza. Ha competenza più che trentennale nella ideazione di progetti formativi, divulgazione e disseminazione di progetti scientifici. Conta su un ampio raggio di relazioni maturate in ambito scientifico, tecnico e istituzionale che avallano i suoi contenuti e forniscono spunti per ulteriori approfondimenti. Crede nell'importanza della conoscenza e nella condivisione di esperienze e saperi. Ama la montagna e passeggiare nei boschi.