Accendiamo la luce sul futuro
La serie di fantascienza Star Trek è ambientata nell’anno 2264. Gli esseri umani viaggiano nella galassia insieme agli alieni, aiutati da computer, propulsione più veloce d
A cosa vi fa pensare lo spazio? Quasi sicuramente, a un ambiente immensamente vasto in cui si muovono solamente i corpi celesti. Questa immagine non rappresenta però la realtà.
A cosa vi fa pensare lo spazio? Quasi sicuramente, a un ambiente immensamente vasto in cui si muovono solamente i corpi celesti. Questa immagine non rappresenta però la realtà.
A cosa vi fa pensare lo spazio? Quasi sicuramente, a un ambiente immensamente vasto in cui si muovono solamente i corpi celesti. Questa immagine non rappresenta però la realtà. Ciò che fino a pochi decenni fa era un’area completamente immune all’influenza umana è oggi invasa – almeno nell’orbita terrestre bassa (che si trova tra i 160 e i 2000 chilometri dalla Terra) – da quella che viene definita “spazzatura spaziale”.
Com’è possibile? Per capirci qualcosa, bisogna partire da un numero: 500. È la quantità di satelliti che ogni anno viene lanciata nello spazio. Una cifra destinata ad aumentare esponenzialmente nel prossimo futuro, considerando gli sforzi compiuti da sempre più nazioni (in primis India e Cina) per diventare potenze spaziali e dal numero crescente di satelliti che vengono mandati in orbita. Per fare solo un esempio, un razzo indiano ha recentemente disseminato qualcosa come 104 mini satelliti in una volta sola.
Il risultato è che oggi l’orbita terrestre è letteralmente affollata da circa 9 mila satelliti di varie dimensioni. Di questi, circa 4.500 non sono più in funzione, ma vagano comunque attorno alla Terra e continueranno a farlo ancora per decenni. C’è di più: ogni volta che due satelliti si scontrano tra di loro si creano nuovi detriti che, a loro volta, contribuiscono ad aumentare la spazzatura che viaggia sopra le nostre teste.
Nel 2009, per fare solo un esempio, un satellite per le comunicazioni statunitensi e uno russo sono entrati in collisione a una velocità di circa 10mila chilometri all’ora. L’incidente ha lasciato una scia di oltre 2mila detriti che si sono rapidamente dispersi e che sono andati ad accumularsi a tutti quelli che già oggi hanno invaso lo spazio più vicino alla Terra.
Per evitare nuove collisioni, la NASA monitora ogni giorno 19 mila detriti spaziali che possono rappresentare un pericolo: satelliti e altri oggetti di dimensioni almeno pari a quelle di una pallina da tennis. I numeri complessivi della spazzatura spaziale, però, sono di gran lunga superiori: si stima che oggi, nell’orbita bassa, ci siano 500mila detriti delle dimensioni anche di 10 centimetri e addirittura 100 milioni di frammenti grandi come una moneta.
A eliminare questi oggetti ci pensa il campo gravitazionale terrestre, che li attira a sé finché non raggiungono l’atmosfera; dove la maggior parte di essi brucia e si disintegra. Questo processo, però, è estremamente lungo: «Il campo gravitazionale terrestre», si legge sul sito dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, «attira gran parte della spazzatura spaziale in orbite sempre più basse, fino a che non raggiunge l’atmosfera. La maggior parte brucia al rientro nell’atmosfera. Tanto maggiore è l’altezza a cui orbita il detrito, tanto più rimarrà in orbita. La spazzatura spaziale che si trova in orbita più bassa di 600 km normalmente cade sulla Terra entro pochi anni, mentre se si trova oltre i 1.000 km di altezza può restare in orbita oltre un secolo».
Nel frattempo, gli astronauti sono costretti a fare i conti con queste vere e proprie mine vaganti: a una velocità di 28 mila chilometri orari, anche un oggetto del diametro di un solo centimetro può provocare danni enormi. Per il momento, nessun astronauta si è trovato in una situazione pari a quella vissuta da George Clooney e Sandra Bullock in Gravity (il primo film ad affrontare il tema della spazzatura spaziale); ma questo non significa che i detriti non abbiano fatto danni.
«Già quattro volte mi sono trovato alle prese con sciami di detriti che ronzavano attorno alla Stazione Spaziale Internazionale», ha raccontato l’astronauta della NASA Thomas Pesquet. «Quando sono in quella situazione, entro nello shuttle e spero che vada tutto per il verso giusto». Un altro astronauta, Tim Peaker, ha invece condiviso su Twitter i danni causati sulla cupola della Stazione da un oggetto che aveva probabilmente le dimensioni di due soli millimetri. Questo minuscolo frammento è riuscito a scheggiare i quattro pannelli – ognuno delle dimensioni di tre centimetri – che compongono la cupola; lasciando uno sfregio del diametro di sette millimetri.
Non c’è bisogno di essere colpiti da un detrito di grandi dimensioni, insomma, per mettere in pericolo l’integrità degli astronauti: secondo le analisi dell’Agenzia Spaziale Europea, qualunque oggetto più grande di un centimetro può penetrare gli scudi della Stazione Spaziale, mentre un detrito anche solo di 10 centimetri può mandare in frantumi un satellite o una navicella.
Tutto questo non significa che già oggi viaggiare nello spazio sia pericoloso (almeno, non a causa della spazzatura spaziale); ma la situazione sta rapidamente peggiorando. La valutazione del rischio di collisione che viene effettuata dalla Stazione Spaziale già oggi raggiunge facilmente il valore di 1/180. La soglia oltre la quale non si possono effettuare missioni spaziali è invece di 1/60. Un valore molto più elevato, ma che potrebbe essere raggiunto nel giro di qualche decennio. Come sottolineato dallo specialista in sicurezza spaziale David Wright, inoltre, i detriti continuerebbero ad aumentare anche se non venisse più lanciato neanche un singolo satellite; a causa delle collisioni tra satelliti abbandonati.
Gli scenari per il futuro sono abbastanza preoccupanti: secondo le previsioni dell’ex scienziato della NASA Donald Kessler (effettuate già negli anni 70) rischiamo di raggiungere una tale densità di detriti da rendere probabile l’eventualità di una “Nagasaki orbitale”, causata dello scontro tra satelliti nello spazio, che provocano ulteriori detriti che iniziano a schiantarsi con altri rottami; dando vita a una reazione a catena che potrebbe gravemente destabilizzare l’orbita bassa terrestre. Una volta raggiunta una situazione di questo tipo, viaggiare nello spazio diventerebbe impossibile. E quindi, dovremmo dire addio ai progetti relativi al ritorno sulla Luna, a raggiungere Marte e anche al turismo spaziale di cui sempre più spesso si parla.
Come si esce da questa situazione? Le strade sono due: la prima è creare satelliti che, una volta concluso il loro ciclo di vita, siano in grado di rientrare automaticamente verso l’atmosfera; disintegrandosi in tempi rapidi ed evitando di vagare per lo spazio per decenni. A una soluzione di questo tipo sta lavorando l’italiana D-Orbit, che nel novembre 2017 ha effettuato la sua prima missione lanciando il “satellite per il rientro programmato” D-Sat. Nonostante il rientro non sia stato compiuto a causa di problemi tecnici, la strada è sicuramente quella giusta.
Ma come fare invece per ripulire lo spazio dai detriti che già oggi lo affollano? I progetti sono svariati: si va da rimorchiatori dotati di magneti, in grado di attirare gli oggetti metallici che vagano per l’orbita bassa, a vere e proprie reti dispiegate nello spazio per catturare quanti più detriti possibili e poi portarli verso l’atmosfera. Quest’ultimo è il caso del satellite britannico RemoveDebris, che ha dato prova della sua capacità di raccogliere la spazzatura spaziale nel settembre 2018. Tutte queste soluzioni sono però ancora in fase sperimentale: se vogliamo evitare che le funeste previsioni di una “Nagasaki orbitale” si avverino, bisognerà trasformare i progetti in realtà in tempi relativamente brevi.