Intelligenza artificiale: dove nascono i robot

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Intelligenza artificiale: dove nascono i robot

A Genova, Parma e Pisa i centri di eccellenza della ricerca italiana che compete a livello mondiale. Dalla logistica alla sanità, i robot che aiutano l'uomo.

Intelligenza artificiale: a Genova, Parma e Pisa i centri di eccellenza della ricerca italiana che compete a livello mondiale. Dalla logistica alla sanità, i robot che aiutano l’uomo.

Bracci meccanici lavorano freneticamente e con gesti sapienti e rapidi realizzano scatole in cartone mentre altri colleghi robotici le riempiono di merci sotto gli occhi stupiti e un poco preoccupati del personale umano. Parma, siamo nei capannanoni di Number1 Logistic Group, leader italiano nella logistica integrata per i beni di largo consumo e qui i robot antropomorfi fanno ormai parte della forza lavoro in un settore che fino a qualche anno fa sembrava immune dalla contaminazione tecnologica. Secondo uno studio condotto dalla società di consulenza internazionale Roland Berger sui robot adoperati in questo settore strategico per l’economia, emerge che una di queste macchine ha un costo di 18-20 euro all’ora. Un operaio, invece, arriva al massimo a 15 euro. Quindi è ancora piuttosto competitivo, ma quanto ci vorrà perché la situazione muti in maniera radicale? Pochissimo secondo l’analisi, appena quattro anni. Già fra 24 mesi il prezzo di un robot per la logistica arriverà sotto la soglia dei 100 mila euro e nel 2020 una macchina di questo tipo costerà qualcosa come 10 euro all’ora a un’azienda attiva sul territorio dell’Unione europea. Al contrario il costo dei lavoratori rimarrà stabile oppure aumenterà, e quindi, fra appena quattro anni, la robotizzazione sarà la scelta economicamente più sostenibile anche per la maggiore produttività che è in grado di garantire. Il percorso è già tracciato come conferma Giorgio Metta, il vicedirettore scientifico dell’IIT, l’Istituto Italiano di Tecnologia, uno dei laboratori di robotica più famosi al mondo, attivo dal 2009 a Genova: «I robot costano meno, sono più affidabili, e con l’intelligenza artificiale diventano semplici da usare e sicuri per l’uomo». Ecco spiegato il motivo per cui la robotica è una scienza del futuro con le radici già ben radicate nel presente. Lo sanno bene le migliaia di scienziati che fanno a gara per superarsi a colpi di invenzioni sempre più eccezionali che spesso in pochi anni escono dalle mura dei laboratori.
Un esempio di eccellenza è iCub, il robotino umanoide più completo del pianeta, realizzato proprio da Metta e dal suo team all’IIT. Con i suoi 104 centimetri di altezza e 25 chili di peso si distingue dalle altre macchine in circolazione per la sua capacità di imparare, esattamente come un bambino, grazie alla sua mano, un vero gioiello. iCub è capace di afferrare le cose ma non sempre riesce al primo colpo: a differenza di altri robot, però, riprova e si corregge, un passo avanti considerato impossibile fino a poco tempo fa. È in grado di capire anche semplici comandi vocali ed esprimere emozioni verso i suoi interlocutori. La macchina è inoltre dotata di una pelle con migliaia di sensori che sono utilizzati per evitare di urtare gli ostacoli. Metta ne è convinto, iCub è solo il punto di partenza, presto «i robot usciranno dalle fabbriche e dai laboratori di ricerca. Li troveremo in prima battuta negli ospedali, centri commerciali, negli aeroporti, come receptionist, assistenti e magari in 10-15 anni ne avremo anche uno personale, al nostro servizio, nelle nostre case. Sarà una necessità dovuta al generale invecchiamento della popolazione».

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Sempre in Italia, a Pontedera (Pisa), nel cuore della Toscana, opera un’altra eccellenza: stiamo parlando della Scuola Superiore Sant’Anna, assurta agli onori della cronaca per la sua robotica soft, ovvero per l’uso di materiali morbidi. Anche qui si sta costruendo il futuro ma con un occhio al presente. Ne sa qualcosa la professoressa Cecilia Laschi, inserita da RoboHub, la maggiore comunità scientifica internazionale degli esperti di robotica, fra i 25 geni che hanno dato un contributo decisivo a questa disciplina. È stata lei a firmare Octopus, il polpo meccanico capace di variare la sua forma allungandosi, accorciandosi o schiacciandosi. Laschi non ha dubbi: «I robot saranno sempre più protagonisti e presenti nella vita di tutti i giorni. Già oggi sono indispensabili in ambito industriale e lo diventeranno anche nelle esplorazioni di ambienti ostili come le profondità marine, settore in cui siamo all’avanguardia. Nei nostri laboratori», ha detto ancora la scienziata, «siamo molto focalizzati sulle ricadute in ambito biomedico». Octopus, infatti, rappresenta il punto di partenza per la realizzazione dei nuovi robot chirurgici, ormai presenza comune nelle sale operatorie. «Deriva da lui lo strumento per endoscopie che stiamo sviluppando e per rimanere sempre in ambito sanitario stiamo lavorando a una mano che aiuterà gli anziani non autosufficienti a compiere semplici operazioni come lavarsi» ha aggiunto Laschi.




In Giappone invece Pepper robot, un umanoide che nel paese del Sol Levante è venduto a 1500 euro, è ormai una presenza comune in ambito commerciale. La famosa catena di grandi magazzini Loft lo ha scelto come consulente per la vendita di prodotti cosmetici nei suoi negozi e un uso del tutto simile ne fa anche Nestlè in alcuni punti vendita nipponici. Negli Usa, invece, la ricerca ha fatto passi da gigante nella realizzazione degli esoscheletri, robot indossabili in grado di amplificare di decine di volte le prestazioni fisiche del corpo umano. Le prime sperimentazioni partirono negli anni Sessanta, oggi gli esoscheletri sono una realtà: HULC (Human Universal Load Carrier), realizzato dall’Università di Berkeley, in California, è stato acquistato da Lockheed Martin, una delle più importanti aziende specializzate nella difesa. Il dispositivo è stato ideato per abbattere quello che in gergo si chiama «costo metabolico dell’organismo» nel trasporto di un carico massimo di 100 chili. In pratica, chi lo usa è in grado di spostare, anche su lunghe distanze, materiali pesanti senza sentire la fatica. Ovviamente questa invenzione avrà ricadute importanti sia in ambito militare sia in quello civile: si pensi alla possibilità per un singolo soldato di trasportare munizioni e armamenti pesanti ma anche alla logistica, da cui siamo partiti, e a un eventuale utilizzo da parte delle squadre di soccorso nel caso di calamità naturali, come i terremoti. 

Giornalista, vivo di e per la scrittura da quattordici anni. Cresco nelle fumose redazioni di cronaca che abbandono per il digitale dove perseguo, però, lo stesso obiettivo: trasformare idee in contenuti.​