Il sogno di vivere su Marte

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Il sogno di vivere su Marte

Elon Musk, Jeff Bezos e Richard Branson hanno creato un’economia intorno al progetto di colonizzare il Pianeta Rosso entro il 2030. Perché ogni euro investito vale almeno 7 euro di guadagni.

Elon Musk, Jeff Bezos e Richard Branson hanno creato un’economia intorno al progetto di colonizzare il Pianeta Rosso entro il 2030. Perché ogni euro investito vale almeno 7 euro di guadagni.

Elon Musk ha espresso un desiderio: «Vorrei morire su Marte, basta che non sia al momento dell’atterraggio». Il fondatore di Space X, con cui sperimenta da anni l’invio di razzi nello spazio, e di Tesla a cui ora ha aggiunto Solarcity, sogna di finire i suoi giorni sul Pianeta Rosso e pensa che già entro il 2026 su M​arte potranno stanziarsi le prime colonie umane. E non è l’unico. Conquistare Marte era una delle promesse di Barack Obama, che è stata disattesa dopo le brusche frenate e i progetti abbandonati da parte della Nasa. Adesso c’è Musk a rilanciare il sogno. Entro 10 anni è convinto di riuscire a lanciare la prima missione per portare un centinaio di uomini sul Pianeta Rosso. Per rendere il sogno più convincente quando ha presentato il progetto al 67esimo International Astronautical Congress in Messico, a settembre 2016, è stato chiaro: «La storia prevede la fine del mondo. Una delle alternative è trasformarsi in una civiltà che viaggia nello spazio, in una specie che può vivere su altri pianeti», ha detto. Viaggiare nello spazio è da tempo il sogno di Richard Branson, fondatore di Virgin e della controllata Virgin Galactic che ha proprio l’obiettivo di portare i turisti in orbita. Branson è stato il primo, una decina di anni fa, a sostenere che l’uomo, prima o poi, colonizzerà Marte e ha scelto l’Italia come base per sperimentare i suoi voli verso lo spazio.
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A inizio dicembre 2016, infatti, Virgin Atlantic ha siglato un accordo con ALTEC spa, società partecipata dall’Agenzia Spaziale Italia (ASI) e Thales Alenia Space, per utilizzare uno spazioporto Italiano da cui eseguire voli sperimentali suborbitali, addestramento astronauti e piloti, con scopi didattici e di turismo spaziale. Un visionario Branson, tanto quanto Jeff Bezos, fondatore di Amazon, a cui i droni per consegnare la merce a domicilio non bastano più e ha deciso di puntare più in alto, conquistare lo spazio. Anche lui. Bezos sta lavorando a un suo progetto per mandare in orbita satelliti e persone. Per questo ha fondato la società Blue Origin e lanciato il progetto del razzo New Glenn che, con un’altezza di 95 metri, è il più grande di sempre, perfino più imponente di quelli di Musk.
Quanto tempo ci vorrà per vedere questo sogno avverarsi e, soprattutto, quali saranno i costi? Secondo Musk, se tutto va come prevede, l’investimento da qui al 2026 potrebbe essere di circa 10 miliardi di dollari, mentre un singolo viaggio verso il Pianeta rosso dovrebbe durare 6 mesi e costare 100 mila dollari a persona, con un’avvertenza: prima di partire bisogna accettare il rischio di non arrivare mai e anche quello di non tornare più. Quanto c’è di concreto in questi sogni? Molto se si guarda al programma White Cosmics lanciato dall’International Academy of Astronautics con l’obiettivo dichiarato di portare l’uomo su Marte. A capo del progetto di ricerca c’è l’italiano Giancarlo Genta, docente al Politecnico di Torino e autore del libro Next stop Mars – The why, how and when of Human Missions.

La conquista di Marte non è verosimile fino al 2030

Il panel di scienziati coordinato da Genta sta lavorando da un paio di anni al progetto di ricerca di una missione umana su Marte per spiegare le motivazioni di un’impresa del genere, gli aspetti umani e tecnologici e la ricerca ancora necessaria per costruire la tecnologia richiesta. Lo scopo è un viaggio esplorativo su Marte che non ha ancora una data prevista, ma Genta ha un’idea precisa del costo della conquista del Pianeta: circa 500 miliardi per 20 anni di lavoro. Fare previsioni temporali in questo campo è un esercizio complicato, e si rischia di fare la fine di Mars One, il progetto avviato nel 2012 dagli olandesi Bas Lansdorp e Arno Wielders che avevano promesso di creare una colonia su Marte entro il 2022 con l’obiettivo di non tornare più sulla Terra. Ma proprio dopo il debutto alla Borsa di Francoforte, la start-up olandese Mars One ha rimandato di almeno 9 anni le sue missioni marziane, dal 2022 al 2031, fissando per il 2022 “solo” il lancio del primo lander dimostrativo. «Non sono sorpreso di questo rinvio perché la colonizzazione è l’ultimo atto di una serie di missioni preparatorie, che hanno durata, operabilità scientifiche ed esplorative diverse», ha detto a Changes Fabrizio Capaccioni, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), al secondo posto assoluto nella classifica mondiale sulle collaborazioni internazionali e la produzione scientifica stilata dalla rivista Nature, e direttore dell’IAPS di Roma (uno degli istituti di ricerca dell’INAF). «Ritengo verosimile pensare che si possa prelevare campioni del Pianeta Rosso, con sonde automatiche, entro il prossimo decennio e questo è il passo immediatamente precedente a una qualsiasi forma di colonizzazione che però è un obiettivo realistico a lungo termine, direi ben oltre il 2030».

Dopo il posticipo delle missioni di Mars One, i più vicini a far atterrare un lander, ovvero una sonda teleguidata su Marte, sembrano essere i cinesi. Il direttore dell’amministrazione spaziale cinese Xu Dazhe pensa di poter esplorare il Pianeta nel 2020, condensando in un’unica missione quello che di solito si fa in tre: invio, atterraggio ed esplorazione. Del resto, la Cina è in ritardo rispetto a Stati Uniti ed Europa che hanno già lanciato in orbita sonde attorno al Pianeta rosso. «Si sa poco delle capacità tecnologiche dei cinesi, ma si può ipotizzare che manderanno in orbita un lander automatico», ha commentato Capaccioni. Esattamente come ha fatto finora la missione Exomars che è stata appena rinnovata fino al 2020 dall’Agenzia spaziale europea con un rifinanziamento di 440 milioni, 167 dall’Italia mentre 100 saranno messi a disposizione dal bilancio ordinario dell’Esa. La missione, che è già costata fin qui 1,3 miliardi di euro, è finanziata da tutti e 22 i Paesi che aderiscono all’Agenzia spaziale europea e ha l’obiettivo, entro 4 anni, di portare un rover, ossia un robot capace di esplorare la superficie di Marte per sondarne con una trivella il sottosuolo. «Atterrare è la manovra più complessa su Marte, perché l’atmosfera del Pianeta rosso è molto tenue e non fornisce una spinta sufficiente a rallentare efficacemente la sonda; si debbono perciò usare sistemi misti (ad esempio aerobraking, paracadute e retrorazzi) che complicano le procedure di atterraggio», ha detto Capaccioni. «Dal 1960 a oggi sono state almeno 40 le missioni lanciate dalla Nasa, Dall’Agenzia Spaziale Russa e dall’Agenzia Spaziale Europea. Il 40% sono riuscite, ma solo la Nasa è riuscita a fare atterrare tutte le proprie sonde».

La conquista del Pianeta Rosso ed in genere tutte le missioni spaziali sono soprattutto un affare sulla Terra, perché sono un volano per lo sviluppo di nuove tecnologie e non debbono quindi spaventare i costi di sviluppo apparentemente elevati. E la conquista di Marte è prima di tutto un business ​​se si guarda allo sviluppo di nuove tecnologie. «Si calcola che per ogni euro investito nello spazio ci siamo almeno 7 euro di ritorno economico per nuove tecnologie che possono essere impiegate sulla Terra» ha detto Capaccioni. Le tecnologie che dovranno rendere il Pianeta Rosso simile alla Terra e consentire una vita agiata sono, però, ancora tutte da sviluppare e sono il nuovo business su cui i Big della Silicon Valley come Musk e Bezos adesso puntano.

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Sono responsabile delle attività di editoria aziendale e di content marketing di Lob Pr+Content. Giornalista, appassionata di economia e nuove tecnologie, ho la stessa età di Internet e non riesco​​​ più a vivere senza.