Il muro digitale italiano

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Il muro digitale italiano

In che cosa consiste il digital divide che attanaglia l’Italia? E da dove partire per non sprecare la chance del Recovery Fund europeo?

Pagamenti elettronici, informazione social, televisione on demand, musica in streaming e poi ancora Internet of things, scuola a distanza, smartworking. Sono svariati gli ambiti impattati dall’esponenziale crescita della rete e dal ricorso sempre più frequente e pervasivo al web. Eppure in Italia, secondo l’OCSE, circa il 26% della popolazione, tra i 16 e i 74 anni d’età, non ha mai navigato in rete e solamente il 24% dei cittadini sfrutta il web per accedere ai servizi pubblici.

È il digital divide, un fenomeno composito e lungi dall’essere superato in un Paese che durante il recente lockdown ha potuto constatare la centralità dell’utilizzo della rete nella vita privata, in quella lavorativa e nel rapporto sempre complesso con la Pubblica Amministrazione.

Le dimensioni del digital divide in Italia

«Si parla di digital divide – spiega a Changes Francesco Sacco, docente di Digital Economy all’Università dell’Insubria e alla Bocconi di Milano – quando la popolazione non accede alla rete, oppure lo fa con una velocità non sufficiente. In Italia, seppur sempre più gente accede ai servizi internet, si registrano ancora grosse differenze di velocità». Internet, infatti, non è un monolite e non tutto si può fare con gli stessi mezzi. Pensiamo allo streaming online o alla didattica a distanza: sono servizi questi che non possono essere pienamente accessibili senza una velocità di rete adeguata. «Nella seconda e terza ondata di internet, il traffico voce, tradizionalmente il prodotto principale delle telecomunicazioni, è diventato sempre meno importante, mentre il traffico dati è esploso, facendo diventare determinante il fattore velocità della connessione».

Ma c’è una terza dimensione del digital divide che in Italia esercita tutto il suo peso: quella culturale. Probabilmente gran parte di quel 26% di italiani, che secondo l’OCSE non ha mai navigato online, ignora il perché sarebbe necessaria una connessione. Molti nostri concittadini, insomma, non saprebbero neanche cosa farne di una rete internet. «Accanto a un digital divide di tipo infrastrutturale – ci dice il Prof. Claudio Leporelli dell’Università La Sapienza di Roma – in Italia ce ne è uno socioeconomico e culturale, che impoverisce la domanda dei servizi digitali. Inoltre, solo il 34% delle famiglie composte da soli anziani dispone di un accesso ad Internet».

Ma cosa succede negli altri paesi europei?

Anche nel campo del digital divide il confronto con i nostri principali competitors europei è impietoso. Secondo i dati Eurostat, infatti, il nostro paese è stato caratterizzato negli ultimi anni da una preminenza di un utilizzo internet inferiore ai 100 Mbps (la velocità tipica della fibra), con una domanda, sino ad anni recentissimi, di connessione che non supera i 10 Mega Per Secondo. «Se confrontiamo l’Italia con gli altri paesi UE – ci spiega ancora Francesco Sacco – emergono tre eclatanti differenze. La prima riguarda la tardiva partenza delle connessioni superiori a 100 Mbit/s; la seconda, è l’altrettanto lenta partenza rispetto agli altri Paesi delle connessioni comprese tra 30 e 100 Mbit/s e infine, la sproporzionata prevalenza delle connessioni comprese tra 2 e 10 Mbit/s, che nel 2011 rappresentavano ancora il 90% delle connessioni, quando a livello UE erano appena il 43%». La domanda di internet veloce in Italia è stata dunque lenta, ritardata e tutt’ora di scarsa penetrazione, soprattutto se ci confrontiamo con Francia, Germania e Spagna. «E questo avviene in maniera più significativa per quel che riguarda le famiglie – aggiunge Sacco – che perdono il confronto con l’Europa in maniera ancora più netta rispetto a quanto avviene per il mondo delle imprese».

Arriva il Recovery Fund: un’occasione di riscatto?

Nell’Italia lenta e poco digitale, ma uscita dal lockdown con un bagaglio di digitalizzazione sicuramente aumentato, una nuova opportunità è per fortuna all’orizzonte: i 209 miliardi che l’Europa metterà a disposizione con il suo Next Generation Eu, il piano che tra trasferimenti e prestiti si propone di supportare la ripartenza dei paesi dopo la crisi del coronavirus.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza del Governo italiano pone come primo obiettivo quello della digitalizzazione da conseguire attraverso «ilcompletamento della rete nazionale in fibra ottica, la digitalizzazione delle filiere strategiche e della Pubblica Amministrazione e con interventi contro il digital divide». Parole importanti da tradurre però anche in atti concreti.

Da dove partire quindi? Probabilmente da quel digital divide culturale che abbiamo visto essere molto penalizzante per il nostro paese e dall’investimento in infrastrutture che possano abilitare una nuova domanda di servizi digitali all’altezza dei nostri competitors.

«Occorre promuovere politiche che innalzino le competenze digitali del Paese – osserva Claudio Leporelli – La formazione scolastica deve sfruttare in tutti i campi gli strumenti digitali, sviluppare specifiche competenze e per farlo occorre agevolare economicamente l’acquisto di device necessari alla formazione per le famiglie. Il mondo delle imprese poi deve puntare non solo su giovani, ma anche su lavoratori senior da accompagnare nello sviluppo delle competenze digitali utili per non rimanere ai margini del mercato del lavoro. E questo vale ancor di più per il settore pubblico, dove la digitalizzazione, accompagnata dalla semplificazione, è la strada obbligata per aumentare l’efficienza della Pa». E gli impatti dal punto di vista economico, sociale e occupazionale potrebbero davvero essere rilevanti. Parola d’ordine, insomma, è non sprecare questa nuova ed ennesima occasione.

Giornalista, pugliese e adottato da Roma. Nel campo della comunicazione ha praticamente fatto di tutto: dalle media relations al giornalismo. Brand Journalist e conduttore radiofonico, si occupa prevalentemente di economia, energia ed innovazione. Oltre la radio ama la storia e la politica estera.