Gli spazzini del web

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Gli spazzini del web

Chi sono e come lavorano gli spazzini del web, che scoprono i contenuti Internet che disturbano gli utenti o infrangono la legge. Cosa c’è dietro The Cleaners - Quello che i social non dicono, documentario firmato da Hans Block e Moritz Riesewieck.

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Chi sono e come lavorano gli spazzini del web, che scoprono i contenuti Internet che disturbano gli utenti o infrangono la legge. Cosa c’è dietro The Cleaners – Quello che i social non dicono, documentario firmato da Hans Block e Moritz Riesewieck.

Video di adolescenti che tentano il suicidio. Filmati di prigionieri dell’ISIS decapitati. Immagini pedopornografiche. E foto che inneggiano alla pulizia etnica, o all’odio razziale. «Questo non è un lavoro per tutti», ha scritto Facebook qualche mese fa, annunciando l’ultima massiccia campagna di reclutamento per moderatori. È un lavoro sporco, ma qualcuno lo deve pur fare, potremmo sintetizzare noi. Algoritmi e intelligenza artificiale non sembrano in grado di rendere piacevole e confortevole la nostra permanenza sui social. Servono persone in carne e ossa, che rilevino i post sgradevoli, offensivi e lesivi della sensibilità comune, eliminandoli dalla circolazione. Ma tutto questo ha un costo per dipendenti e consulenti coinvolti, che a quanto pare sarebbero costretti a convivere con i postumi della loro esperienza. Entrare in contatto con materiale a sfondo pedopornografico e violento, infatti, può lasciare tracce a livello mentale.  

I numeri, intanto, possono aiutare a quantificare la rilevanza del fenomeno. A dicembre 2018 il totale dei dipendenti di Facebook a livello globale era pari a 36 mila unità. Tra questi gli addetti alla sicurezza dei dati erano ormai più di 30 mila, tra dipendenti e consulenti. Lavoratori talvolta affetti dal disturbo da stress post-traumatico (PTSD), alla pari dei soldati coinvolti in conflitti bellici di particolare drammaticità. I casi si moltiplicano. Il 30 dicembre 2016 Greg Blauert e Henry Soto, ex dipendenti Microsoft, hanno citato in giudizio l’azienda affermando che i contenuti che erano chiamati a visualizzare per svolgere il loro lavoro di moderatori li avevano portati a sperimentare un disturbo da stress post-traumatico. Nel settembre 2018 l’ex content manager di Facebook Selena Scola ha intentato una causa contro il social network, sostenendo che l’esposizione costante a immagini estremamente inquietanti le aveva causato un tipico disturbo PTSD.​

Insomma, non è un lavoro per tutti fare lo spazzino del web e non si diventa nemmeno ricchi. La loro missione? Individuare e visualizzare video sconvolgenti pubblicati dagli utenti in rete, per mantenere le piattaforme di riferimento libere da contenuti che avrebbero disturbato altri utenti, o infranto la legge. Ma a che prezzo? Lo racconta The Cleaners – Quello che i social non dicono, documentario firmato da Hans Block e Moritz Riesewieck per I Wonder Pictures. La pellicola racconta le vite dei moderatori assoldati nelle Filippine dai social network più famosi al mondo. Lavoratori a contratto, bombardati quotidianamente da video di abusi su minori e suicidi trasmessi in diretta.

Manila, la capitale delle Filippine, è diventata di fatto il quartier generale per la moderazione dei contenuti di alcuni dei più grandi social media e piattaforme come Facebook, Instagram, YouTube, Google, Twitter e altri. Ma esternalizzare il lavoro sporco da San Francisco, Palo Alto e Menlo Park a Manila, non cancella il problema. Ne riduce il costo, eventualmente, dal momento che la coppia di registi tedeschi racconta come cinque ex moderatori filippini di contenuti online percepissero non più di 3 dollari l’ora, per filtrare i contenuti inappropriati per conto di piattaforme da diversi miliardi di utenti nel mondo.

Al compenso, basso, si deve aggiungere che l’insorgere di eventuali disturbi post-traumatici sarebbe totalmente a carico dei lavoratori, secondo quanto documentato qualche mese fa dalla rivista specializzata The Verge in un reportage da Phoenix. La città degli Stati Uniti ospita il quartier generale di Cognizant, società di consulenza informatica in cui lavorano moderatori di contenuti per conto di Facebook. Una dozzina di ex dipendenti di Cognizant ha raccontato, previa garanzia d’anonimato, di aver accusato sintomi di disturbo da stress post-traumatico subito dopo aver lasciato l’azienda, ma di non aver ricevuto tuttavia alcun supporto da Facebook o Cognizant. Non solo: alcuni dipendenti avrebbero cominciato ad abbracciare le teorie cospirazioniste dei video e delle foto che avrebbero dovuto semplicemente moderare. Gli ex dipendenti hanno confermato che nella sede di Cognizant a Phoenix lavorerebbero un terrapiattista, un negazionista dell’Olocausto e un teorico delle verità “alternative” sull’attentato terroristico dell’11 settembre 2001.​

Oltre a causare disturbi psicologici da stress post-traumatico, insomma, in alcuni casi i contenuti inappropriati pubblicati sui social network finirebbero per influenzare i moderatori stessi, costretti, come documentato da The Vergea fumare marijuana durante le pause, per smorzare la loro inquietudine. E in netto contrasto con i benefit offerti ai dipendenti di Facebook, a subire il controllo dei manager sui minuti trascorsi in bagno mentre lavorano per conto di Facebook e a percepire 28 mila e 800 dollari l’anno da Cognizant, nonostante lo stipendio medio di un dipendente Facebook superi i 240 mila dollari l’anno.

Eppure, se da un lato le denunce sulle condizioni lavorative e sui disturbi psichici dei moderatori dei social si moltiplicano, dall’altro i numeri riportati dall’ultimo Global Digital Report pubblicato da Hootsuite dimostrano come le future campagne di reclutamento di content manager potrebbero aumentare vertiginosamente, anziché cominciare a flettere. L’edizione 2019 del Global Digital Report dà infatti un quadro dettagliato del comportamento degli internauti di tutto il mondo. Secondo lo studio i più assidui frequentatori della rete sono proprio i filippini, con una media di 10 ore 2 minuti al giorno spesi online, seguiti a ruota dai brasiliani con 9 ore e 29 minuti e dai thailandesi con 9 ore e 11 minuti. Solo 6 ore e 4 minuti per gli italiani, che restano sotto la media mondiale di 6 ore e 42 minuti. Chiude la classifica il Giappone, con una media giornaliera 3 ore e 45 minuti. ​

Ma come spendiamo tutto il tempo che passiamo online? Non sorprende più di tanto scoprire come la parte del leone la facciano i social network: più del 45% degli utenti internet ha almeno un account social (+9% rispetto all’anno precedente) e dedica una media di 2 ore e 16 minuti a scorrere feed, condividere contenuti, piazzare like qua e là. Sotto la media, con 1 ora e 51 minuti, gli italiani. Ma se il binomio web e social network non sembra conoscere crisi, l’auspicio è che non continuino a farne le spese coloro che provano a rendere le piattaforme un posto migliore per tutti.​

Giornalista, lavora ad Agorà (Rai3). È autore di Play Digital (RaiPlay). Scrive per il Corriere della Sera, le testate RCS, Capital e Forbes. È autore di saggi per l'Enciclopedia Italiana Treccani e ha lavorato in qualità di regista e autore per Quante Storie (Rai3), Codice (Rai1), Tg La7 (La7), Virus (Rai2), Night Tabloid (Rai2), Il Posto Giusto (Rai3), Web Side Story (RaiPlay). È autore del libro: “Guida per umani all’intelligenza artificiale. Noi al centro di un mondo nuovo" (Giunti Editore, Firenze, 2019). Ha vinto i premi giornalistici "State Street Institutional Press Awards" e "MYllennium Award”. ​