Fuga dalle fake news

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Fuga dalle fake news

A difesa della corretta informazione scende in campo anche la tecnologia e con la blockchain ora è già possibile certificare gli autori dei contenuti.

​La tribù dei Mkodo in Madagascar era spietata: chiunque commetteva reati veniva dato in pasto a piante carnivore assassine, che divoravano i malcapitati con violenza inaudita. Questa che avete letto è una notizia pubblicata nel 1874 dal New York World. Una notizia sorprendente e terribile, ma anche clamorosamente falsa. Si tratta, infatti, di una delle prime fake news della storia, smontata solo nel 1955, quando lo storico della scienza Willy Ley dimostrò l’inesistenza di queste piante killer e persino della tribù dei Mkodo. Una vera e propria bufala 1.0, dovuta ai rudimentali mezzi di informazione del tempo. Ed oggi? I Mkodo, in qualche modo, sono ancora vivi.

Le fake news come minaccia ai processi democratici

Nell’era dei social network e dell’informazione sempre più disintermediata, le bufale passano di pagina in pagina, di contatto in contatto, di chat in chat. E il loro potere aumenta, tanto che l’allarme-fake news è ormai quotidiano. In Europa, secondo Eurobarometro, nel 2018 i temi più sensibili dell’agenda politica sono stati al centro della maggiore diffusione di fake news: criminalità, immigrazione e disoccupazione sono gli argomenti con le percentuali di bufale più alte: dall’11 al 15%. «La diffusione delle false notizie» – ha sottolineato a Changes Paolo Attivissimo, giornalista e scrittore informatico noto online come “cacciatore di bufale” – «ha motivazioni spesso di propaganda politica o ideologica, ma non solo. Ci sono, infatti, imprenditori che costruiscono siti ricchi di notizie false allo scopo di attirare visitatori e monetizzare grazie alla pubblicità».
In Italia, secondo AGCOM nel 2018 la disinformazione ha interessato l’8% del totale dei contenuti informativi online e ha riguardato soprattutto argomenti di cronaca e politica (nel 53% dei casi) e notizie di carattere scientifico (18% dei contenuti).

Cosa fanno i social network contro le Fake News?

Facebook, Instagram, Twitter, Google hanno ben compreso che abbassare la guardia sul tema delle notizie fake significa pregiudicare la loro stessa reputazione. Facebook ha deciso di allertare gli utenti che accedono ai gruppi dei cosiddetti no-vax, con un messaggio ad hoc, che rimanda alle informazioni scientifiche diffuse dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Sempre il social di Zuckemberg, ha bannato i contenuti riconosciuti come deepfake, tecnica basata sull’intelligenza artificiale che combina audio, labiale e comunicazione non verbale per manipolare video e dichiarazioni.
Instagram ha deciso di segnalare automaticamente alcuni post valutati come fake dalle procedure di fact checking. Twitter, dal canto suo, sta testando una nuova funzione per risalire all’identità dell’autore di un tweet fonte di conversazione: l’utente che pubblica per primo un post sarà etichettato come ‘Original Tweeter’, per meglio risalire all’origine di una notizia e verificarne la veridicità.

AI e Blockchain contro le Fake News

L’impegno delle varie piattaforme, tuttavia, non può bastare. La tecnologia, oltre che una minaccia, può rappresentare anche un valido alleato nella lotta alle fake news. Prendiamo la blockchain, la catena di blocchi che funge da registro digitale garantito e condiviso. Sulla sua utilità nella certificazione delle notizie si è concentrato il giornalista Marco Piccaluga, che sta studiando un modo per certificare gli autori delle notizie e le notizie stesse.

«Con l’avvento dei social» ha spiegato Piccaluga a Changes, «chiunque può scrivere ciò che vuole senza nessun controllo. La blockchain potrebbe garantire tre livelli di certificazione: autore, editore e notizia. Ad oggi possiamo già iniziare a certificare l’autore del contenuto. Facendo ciò il lettore potrà distinguere una notizia scritta da un giornalista, soggetto a regole deontologiche e al potere sanzionatorio di un Ordine Professionale, da una notizia scritta da una persona qualunque, che può essere anche un Bot, oppure una intelligenza artificiale. Già oggi la firma di un articolo può prevedere un QR Code che rimanda all’articolo e all’ identità del giornalista. Questa certificazione è una sorta di bollino di qualità che premia chi ce l’ha – e quindi è certificato – da chi ne è privo». Un bollino di qualità comunque camuffabile? «Certo la truffa è difficile ma possibile, per questo è importante certificare anche il contenuto. Un articolo caricato su una piattaforma blockchain è legato ad alcuni parametri: identità dell’autore, luogo di scrittura della notizia, data, ora, ecc… Immaginate l’importanza di questo sistema nel caso di deepfake o di foto taroccate. Se scatto una foto e la carico in blockchain, quella foto avrà caratteristiche immutabili nella catena di blocchi. Se un hacker modifica quella foto è facilmente scovabile: basterebbe andare a risalire alla prima foto registrata».

Blockhain, ma non solo. Il Mit di Boston, assieme al Qatar Computing Research Institute (QCRI) sta sviluppando un algoritmo di Intelligenza Artificiale per comprendere la veridicità della fonte sin dal suo URL (l’indirizzo web), mentre il Progetto FANDANGO dell’Unione Europea combina algoritmi sintattici e semantici per indagare sulla veridicità dei contenuti.

Ma cosa può fare l’utente singolo per orientarsi in questa giungla di false notizie? Secondo il rapporto “Infosfera” dell’Università Suor Orsola Benincasa l’82% degli italiani non è in grado di riconoscere una notizia bufala sul web. «Tutti noi tendiamo a credere a ciò che conferma la nostra visione del mondo. Siamo esposti a migliaia di notizie e perciò crediamo a quello che ci fa comodo» ha sottolineato Attivissimo. Nel dubbio, insomma, preferisco condividere e la bolla delle notizie false si allarga. Come dire: va bene la ricerca tecnologica e l’impegno degli attori dell’informazione social e online, ma educare l’utente allo spirito critico e alla consapevolezza è ormai obbligo non più rinviabile. Il rischio dietro l’angolo è quello di tornare a credere alla spietata tribù degli Mkodo.

Giornalista, pugliese e adottato da Roma. Nel campo della comunicazione ha praticamente fatto di tutto: dalle media relations al giornalismo. Brand Journalist e conduttore radiofonico, si occupa prevalentemente di economia, energia ed innovazione. Oltre la radio ama la storia e la politica estera.