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Quando si trasferisce ad Istanbul nel 1936 per fuggire al nazismo, prima di andare a vivere negli Stati Uniti il filologo tedesco Erich Auerbach compie un esercizio intellettuale i
Le notifiche, i social e il multitasking tecnologico sono diventati compagni di viaggio costanti. Ma mentre connettono il mondo, rischiano di disconnettere chi ci sta più vicino. Come cambia il ruolo dei genitori.
Essere genitori oggi significa navigare in un terreno complesso e in continua evoluzione dato dall’ecosistema digitale che ha trasformato il modo in cui comunichiamo e costruiamo le relazioni, anche quelle familiari.
Marta, 42 anni, madre di due figli di 8 e 13 anni, lavora come responsabile marketing in una grande azienda. Una sera, dopo una giornata di call e scadenze, si siede finalmente a cena con la famiglia. Ha promesso a sé stessa che non guarderà il telefono, ma proprio mentre il figlio le racconta della recita scolastica, arriva una notifica sul gruppo WhatsApp del lavoro. Istintivamente, prende il cellulare e dà un’occhiata veloce. “Un attimo solo”, dice. Ma il racconto si interrompe. Il figlio abbassa lo sguardo. La cena continua, ma qualcosa si è perso.
Marta non è una madre disattenta, è presente, amorevole e fa di tutto per esserci. Ma quell’“esserci” oggi ha bisogno di essere ripensato. Perché la presenza non è solo fisica, è anche emotiva e attentiva. E l’ecosistema digitale in cui viviamo rende sempre più difficile restare davvero presenti.
L’essere genitori nell’era delle notifiche significa confrontarsi con nuove sfide.
Il rischio non è solo quello di “dare il cattivo esempio”, ma di non riuscire a trasmettere un’educazione affettiva e consapevole sull’uso della tecnologia. Un’educazione che non si basa sul controllo (“non usare il telefono!”), ma sul dialogo e sull’esperienza condivisa.
Non si tratta di demonizzare la tecnologia (che può anche essere una risorsa per informarsi, imparare e giocare insieme) ma di costruire un approccio più consapevole. Educare oggi significa anche:
Oggi il ruolo del genitore non è solo quello di “controllore”, ma di facilitatore della consapevolezza. La vera autorevolezza non nasce dal divieto, ma dalla coerenza e dalla presenza. Quando un genitore riesce a guardare negli occhi suo figlio, ad ascoltarlo senza distrazioni, sta educando senza dire nulla. Sta dicendo: “Tu sei importante”. E questo messaggio vale più di mille regole.
In questo senso, la presenza diventa un atto educativo. Un atto rivoluzionario, se pensiamo al rumore di fondo che ci accompagna ogni giorno.
Per chi vuole approfondire questo tema, consiglio il libro 3-6-9-12. Diventare grandi all’epoca degli schermi digitali di S. Tisseron. Un testo chiaro e profondo che aiuta a comprendere come costruire un’alleanza educativa con i propri figli, partendo proprio dalle sfide del digitale con consigli per tutte le fasce d’età.
Non serve essere genitori perfetti, né esperti di tecnologia. Serve fare spazio. Spazio mentale, emotivo, relazionale. Serve imparare a “spegnere” per potersi accendere davvero. E magari iniziare da un gesto semplice ma potente: mettere il telefono in modalità silenziosa e chiedere, con autentico interesse, «Come è andata oggi?». Perché anche nell’era delle notifiche, l’ascolto resta la notifica più preziosa di tutte.