Consumi: il codice a barre lascia il posto al Qr

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Consumi: il codice a barre lascia il posto al Qr

Di qui al 2027 i vecchi codici a barra potrebbero sparire. La novità è un vantaggio per i consumatori che possono accedere a più informazioni ma aumenta anche il rischio di truffe specialmente via smartphone.

Poco più di 50 anni fa, il 26 giugno 1974, il codice a barre veniva passato per la prima volta dalla cassa del supermercato Marsh nella città di Troy, in Ohio, su una confezione di chewing-gum Wrigley’s da 0,61 cent. Da allora il codice a barre è stato adottato come metodo universale per identificare i prodotti di largo consumo. Dal 2027 tuttavia le cose potrebbero cambiare perché, in alternativa al tradizionale codice identificativo, sui prodotti confezionati potremmo trovare un QR code, detto più precisamente QR code standard GS1, da inquadrare con il telefono.

Perché e chi vuole la rivoluzione del Qr code

La proposta proviene da GS1, l’organizzazione globale che si occupa di codici standard, tra cui appunto quelli che troviamo sugli alimenti, e da 22 aziende leader mondiali del largo consumo (tra cui Barilla, Carrefour, L’Oréal, Procter & Gamble, Nestlé). Queste società, responsabili dell’88% del Prodotto interno lordo (PIL) mondiale, hanno prodotto una dichiarazione congiunta per chiedere a rivenditori e altri produttori di adottare entro dicembre 2027, il nuovo tipo di codice.

«Il motivo è che il Qr code presenta diversi vantaggi per il consumatore», dice Emanuela Casalini, senior standard specialist di GS1 Italia. Il principale è il fatto che, oltre a fornire indicazioni operative sul venduto, ovvero a inventariare cosa e quanto è stato acquistato dai consumatori, in modo da supportare la logistica e i rifornimenti, esso può essere collegato a una pagina web che fornisce molte più informazioni di quelle generalmente indicate in etichetta. «Si possono aggiungere gli allergeni, che ora mancano, per esempio, sul vino ma anche indicazioni più generali, come i possibili abbinamenti di un certo vino, le ricette legate a un prodotto, le modalità di smaltimento del relativo packaging e prossimamente anche le informazioni sulla tracciabilità di un bene lungo tutta la filiera di produzione e la sua impronta di carbonio».

Il problema è che occorre adeguare gli scanner delle casse perché questa novità si diffonda in modo massiccio. Di qui la scadenza proposta per il 2027 che non è un termine di legge, ma è un tempo congruo per fare in modo che la distribuzione su larga scala possa adottare nuovi lettori di cassa. Resta, comunque, possibile per chi lo preferisce continuare con il tradizionale codice a barre. Un sicuro vantaggio del QR code è che favorisce la sostenibilità economica ed ambientale della produzione alimentare. «Basti pensare alla scadenza degli alimenti che, spesso, è scritta in piccolo: un’indicazione chiaramente accessibile su un sito aumenta la sicurezza del consumatore e riduce la quantità di cibo buttata», sottolinea Casalini.

I punti deboli

L’introduzione del nuovo codice presenta, però, diverse criticità. Per esempio, la maggior parte dei consumatori legge le informazioni sul packaging mentre fa acquisti e il rimando a un sito per approfondire le informazioni significa perdere tempo prima o dopo l’acquisto e può scoraggiare l’acquisto. Ma non solo. Il nuovo sistema di scansione non sarebbe inclusivo. Le persone più anziane o meno abili con lo smartphone farebbero fatica a leggere informazioni sui prodotti anche se, con la pandemia, ci siamo abituati a scannerizzare i menù al ristorante. Queste sono ordinarie criticità che possono essere superate con l’utilizzo nel tempo del codice. Più seria, invece è la denuncia del governo inglese che ha avvisato i cittadini dei pericoli impliciti nella scansione di QR fraudolenti con il telefono personale, che potrebbe non avere le stesse protezioni di sicurezza di un computer. La ragione? Non esiste un metodo per verificare l’autenticità di un codice prima di scansionarlo.

Con la tecnologia avanzata e gli strumenti disponibili, i truffatori possono facilmente sostituire il codice QR originale incollandone uno falso o, peggio, possono creare un intero packaging contraffatto con un codice QR falso che sembri legittimo. «Ciò espone i consumatori al rischio di diventare vittime di un attacco di phishing o di una truffa. Infatti, il 71% delle persone non riesce a distinguere un codice QR falso da uno reale», secondo l’analisi di AlpVision, leader mondiale nelle tecnologie digitali anticontraffazione per l’autenticazione dei prodotti e la protezione dalla contraffazione citando un avviso dell’FBI che già nel 2021 metteva in guardia sulla sicurezza dei codici QR. Insomma, come sempre, ogni innovazione comporta dei pro e contro, da qui al 2027, abbiamo ancora qualche anno per valutarla.

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Mantovana, giornalista da oltre 15 anni in Mondadori, collabora a numerose riviste nazionali su temi di attualità e stili di vita. Ha collaborato a una monografia sul cinema di Steven Spielberg e curato la traduzione dall’inglese di un saggio sul Welfare State. ​