Al lavoro insieme ai robot

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Al lavoro insieme ai robot

La chiamano quarta rivoluzione industriale e sta facendo nascere l’industria 4.0 dove innovazione e occupazione procedono insieme. Al centro restano le idee.

La chiamano quarta rivoluzione industriale e sta facendo nascere l’industria 4.0 dove innovazione e occupazione procedono insieme. Al centro restano le idee. Si parla di lavoro e robot.

L’ultimo nato è Genesis, rotondo come il cugino di Sphero Drone di Guerre Stellari, ma capace di trasformare 200 chili di uva in cento litri di buon vino. Almeno questo promette il padre di questo robot, Donato Lanati, premio Oscar come miglior enologo nel 2015, che nel suo buen ritiro del centro Enosis lavora per mantenere alta la qualità dei vitigni del Monferrato. Benvenuti nella quarta rivoluzione industriale, con lavoro, robot e le stampanti 3D, che mette al centro la condivisione delle idee e delle informazioni con l’obiettivo di arrivare a una produzione del tutto automatizzata e interconnessa. Non a caso Josef Nierling, amministratore delegato di Porsche Consulting, ha spiegato: «La quarta rivoluzione industriale porterà in termini di efficienza, per le aziende che operano nel manifatturiero, una potenziale riduzione dei costi di fabbricazione e di logistica fino al 20%, una riduzione del capitale circolante e dei costi indiretti fino al 30%». Come avvenne con il telaio meccanico alla fine del Settecento in Inghilterra, cambieranno sia il modo di produrre sia quello di lavorare.
In uno studio di recente pubblicazione la società di consulenza McKinsey ha segnalato che saranno quattro i settori trainanti di questa rivoluzione: la lavorazione dei dati svilupperà le attività di big data, open data, Internet of Things, machine-to-machine e cloud computing; nella fase di analytics si lavoreranno le informazioni per ricavarne valore. Maggiore spazio, sul modello Google Glass, all’interazione tra uomo e macchina attraverso le interfacce touch. È decisiva la parte che si occupa della trasformazione da digitale a reale: la manifattura additiva con stampa 3D, robotica, comunicazioni, rapporti machine-to-machine, storage dell’energia. È questo il momento dove il know how ha maggiori cascami e dove si realizzano i margini. Se l’obiettivo è quello di liberare energie, va da sé che il paradigma del mondo del lavoro si spingerà sempre di più verso la soft economy e le conoscenze. E chi può investire in know how e creatività di più, sarà maggiormente competitivo. Di conseguenza, l’impatto sarà molto forte in termini occupazionali, perché le risorse che si libereranno nei comparti meccanici e amministrativi, permetteranno alle aziende di investire sul versante dell’area finanziaria, del management, dell’informatica o dell’ingegneria. Ma non è detto che il saldo sarà positivo.​ 

Robot e lavoro: per l’Italia il problema non c’è​

Uno studio realizzato da Ubs e presentato all’ultimo World Economic Forum di Davos sostiene che nel breve termine aumenterà soltanto la flessibilità del lavoro. Nei prossimi 2 o 3 anni «saranno creati 2 nuovi milioni di posti di lavoro, ma contemporaneamente ne spariranno 7, con un saldo netto negativo di oltre 5 milioni di posti di lavoro». Soprattutto l’automatizzazione esasperata e lo scambio d’informazioni modificheranno anche le direttrici produttive, premiando la qualità e l’innovazione. Non a caso Ubs, nella classifica della competitività, mette sul podio Svizzera, Singapore e Paesi Bassi. Lontano dal vertice c’è la Cina, mentre l’Italia è a fondo classifica​. Ma il nostro Paese al momento non sembra sapere sfruttare le sue grandi potenzialità, legate anche a un sistema universitario che è una ​​fucina di innovazione. Non a caso, nel rapporto tra posti creati e persi, l’Italia rischia meno delle altre grandi economie dell’area, Francia e Germania: 200mila posti creati e altrettanti persi. Eppure il concetto di industria 4.0 è ancora all’inizio nel nostro Paese​. Nonostante sia nata un’apposita struttura congiunta tra i ministeri dell’Economia e dello Sviluppo, uno studio di Staufen Italia ha lanciato un campanello d’allarme sul sistema Paese: il 70% delle aziende italiane non si è ancora posto il problema del passaggio alla quarta rivoluzione industriale, e soltanto il 20% dei dipendenti e del management può contare sulla giusta preparazione per affrontare il passaggio all’Industria 4.0. Giancarlo Oriani, amministratore della divisione italiana della società di consulenza Staufen Italia, ha spiegato: «Il panel ritiene a stragrande maggioranza, per il 78%, che la competitività delle aziende italiane nel loro insieme aumenta. Non è però ben chiaro su cosa si basi questa fiducia, dato che si dice non solo che il livello di preparazione dei dipendenti è molto basso, ma anche che non sia presente un’attività di preparazione del personale alla prossima possibile rivoluzione industriale». ​

Giornalista, 39 anni, napoletano, scrivo da 15 anni, prevalentemente di economia e politica per L'Espresso, il Giornale, il Foglio, Lettera43, il Mattino.