Smart working: l’Italia è un’eccellenza

Society 3.0


Smart working: l’Italia è un’eccellenza

La legge sullo smart working, approvata in via definitiva lo scorso 10 maggio dopo un iter di 15 mesi, sta per compiere un anno. L’impianto della norma risulta adeguato perché enuncia principi e non inserisce vincoli troppo stretti.

La legge sullo smart working, approvata in via definitiva lo scorso 10 maggio dopo un iter di 15 mesi, sta per compiere un anno. L’impianto della norma risulta adeguato perché enuncia principi e non inserisce vincoli troppo stretti.

La legge sul lavoro agile sta per compiere un anno: risale allo scorso 10 maggio l’approvazione finale della legge, che ha segnato la chiusura di un iter approvativo durato circa 15 mesi. L’impianto della legge risulta adeguato perché enuncia principi e non inserisce vincoli troppo stretti. Le nuove norme hanno l’importante ruolo di contribuire a superare gli ostacoli di natura culturale alla diffusione dello smart working come leva per una nuova organizzazione del lavoro e come stimolo alla trasformazione delle relazioni industriali.

La norma enuncia e disciplina alcuni aspetti come il principio di volontarietà e la necessità di un accordo scritto concordato tra datore di lavoro e lavoratore, che espliciti l’esecuzione della prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali, la durata dell’accordo, il rispetto dei tempi di riposo e del diritto alla disconnessione e le modalità di recesso. Altri elementi rilevanti sono la parità di trattamento economico e normativo, il diritto all’apprendimento permanente e gli aspetti legati alla salute e alla sicurezza; i lavoratori agili sono tutelati in caso di infortuni e malattie professionali per quelle prestazioni che decidono di effettuare all’esterno dei locali aziendali sia quando si trovano in itinere.

L’evoluzione normativa va sicuramente incontro alle esigenze di piccole e medie aziende e pubbliche amministrazioni, settori in cui sono ad oggi poco diffuse iniziative di smart working soprattutto per via di un forte pregiudizio culturale oltre che a timori e perplessità legate all’assenza di un riferimento normativo.

Nel settore pubblico, in particolare, l’approvazione della legge congiuntamente alle iniziative promosse dal Dipartimento Pari opportunità e la direttiva della riforma Madia hanno contribuito a sviluppare maggiore sensibilità e conoscenza sul tema. Non stupisce pertanto che, nell’ultima rilevazione dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, sono pochi gli enti che dichiarano di non conoscere per nulla il concetto di Smart Working e che quasi la metà del campione (48%) dichiari interesse per una prossima introduzione. Le iniziative presenti sono però molto limitate e spesso in fase sperimentale e vedono il coinvolgimento di una popolazione molto contenuta.

Nelle grandi organizzazioni private, invece, il fatto che le sperimentazioni attivate nel corso degli anni non solo siano rimaste attive, ma siano sempre più diffuse e pervasive all’interno delle imprese è un evidente segno che, al di là di un effetto moda, queste portino benefici concreti alle aziende e alle persone. Oltre la metà delle grandi imprese coinvolte nella rilevazione dell’Osservatorio si è già mosso o si sta muovendo in questo senso: la maggior parte delle organizzazioni ha già dato il via a iniziative strutturate di smart working (36%), altre hanno adottato questa modalità gestendola in modo informale (7%), oppure hanno intenzione di introdurre lo Smart Working entro i prossimi 12 mesi (9%).

Al di là della normativa vigente, è importante ricordare che lo smart working rappresenta una grande opportunità di contribuire a ripensare il lavoro del futuro, per avere imprese e pubbliche amministrazioni più produttive e intelligenti, lavoratori più motivati e capaci di sviluppare i propri talenti e le proprie passioni e una società più giusta, sostenibile e inclusiva.

In futuro si dovrà lavorare affinché la progressiva estensione dello smart working coinvolga nuove attività e nuovi profili professionali ad oggi esclusi. Con la crescente diffusione di nuove tecnologie digitali e l’evoluzione delle professionalità che avverrà grazie all’Industria 4.0, il bacino di potenziali smart worker diventerà sempre più ampio, andando ad includere mestieri che ad oggi paiono ancora molto distanti da questo nuovo approccio, come ad esempio gli operai o i manutentori. Affinché ciò sia possibile la tecnologia non basta, bisognerà porre una grande attenzione alla formazione e allo sviluppo di competenze, considerando che i comportamenti digitali sono una condizione essenziale di cittadinanza e di inclusione nel mondo del lavoro. Il sistema educativo deve occuparsi di tutti quei lavoratori che hanno bisogno di acquisire una serie di competenze, di abitudini, di strumenti di collaborazione che permetteranno loro di essere inclusi e di potere essere parte di questo fenomeno di innovazione e trasformazione.  

Responsabile dell'Osservatorio della ricerca Smart Working e coordina le banche Intranet dell'Osservatorio in collaborazione con ABI Lab. Laureata in Ingegneria Gestionale, Executive Master presso MIP. ​