Lavoro: cresce la soddisfazione fra i giovani italiani
La situazione lavorativa ed economica delle nuove generazioni italiane è notoriamente critica: tassi di disoccupazione elevati, entrata ritardata nel mercato del lavoro, precariat
Il 13 febbraio è la giornata che l’Unesco dedica al mezzo radiofonico, vediamo qual è lo stato di salute di un medium immortale. E per farlo vediamo il suo rapporto con alcuni dei fenomeni mediatici dei nostri giorni.
C’è una parola spesso abusata negli ultimi anni, che però ha la straordinaria capacità di raccontare la forza della radio. Questa parola è resilienza. La radio è il mezzo resiliente per antonomasia, dato per morto ad ogni cambio di paradigma mediatico è stato capace di sfruttare a proprio vantaggio tutti i media che via via hanno cercato di fagocitarla. È successo col video, con il primo web ed oggi con i social e i media digitali.
No, i The Buggles non avevano ragione: nessun video ha mai ucciso le radio star. Certo, la pandemia ha avuto effetti anche sull’ascolto radiofonico, ma secondo Claudio Astorri, station manager e consulente radiofonico, la radio ha sofferto meno del previsto «tanto che secondo i dati TER, tra il 2020 a il 2021 la perdita è stata del 3,7% su base settimanale. Un calo completamente rientrato nel secondo semestre dell’anno scorso. Tuttavia, i colpi maggiori per le radio sono arrivati dal business, con minori investimenti pubblicitari delle aziende che hanno sovrastimato i cali d’ascolto».
Quello che la pandemia ha sicuramente mutato è stata la modalità di ascolto della radio. I dati TER relativi all’ultimo semestre 2021 hanno visto calare l’utilizzo dell’apparecchio tradizionale o dell’autoradio (penalizzata dalle limitazioni alla mobilità), ma aumentare l’ascolto delle trasmissioni via internet.
Ma come sta la radio oggi? Per capirlo dobbiamo vedere i suoi rapporti con gli altri fenomeni mediali in atto, a cominciare dal medium-rivale per eccellenza: la televisione.
Storicamente il rapporto tra i due mezzi è stato di contaminazione, più che di aperta concorrenza. Oggi questa contaminazione si concretizza soprattutto con la visual radio o radiovisione, cioè la possibilità di guardare sullo schermo televisivo o in streaming le trasmissioni radiofoniche. «La radiovisione è stata spesso interpretata come una perdita di magia della radio, ma non è così. La radio ha saputo allargare i suoi orizzonti senza snaturarsi», dice Stefano Chiarazzo, docente e consulente di comunicazione nonché founder del Social Radio lab. La radio in Tv non rappresenta nessuna sottomissione al video, né alcun tradimento della propria identità, ma, secondo Chiarazzo «è stata una concreta espansione verso territori nuovi». E i dati lo dimostrano. Ad oggi, infatti, come sottolinea Claudio Astorri «su oltre 33 milioni di ascoltatori radiofonici stimati dall’indagine TER nel primo semestre 2021, crescono a 4.179.000 chi ascolta la radio dalla TV attraverso la Visual Radio e a 1.232.000 gli ascoltatori che usano la TV con solo audio».
C’è una caratteristica che distingue nettamente il medium radiofonico da quello televisivo: il suo forte legame con il territorio. La radiofonia locale è un fenomeno che si consolida e che in termini di contatti ha un peso nettamente superiore rispetto all’emittenza televisiva locale. «Basti pensare che la Tv locale vale il 2% dell’intero ascolto televisivo, mentre la radio vale il 30%. La radio è insomma un mezzo target per antonomasia e questo avviene a livello territoriale o a livello di community musicali, sportive, politiche, religiose». Un aspetto che non passa inosservato in termini di investimenti pubblicitari e di comunicazione.
I podcast sono il fenomeno mediatico degli ultimi anni. Giunti dagli Stati Uniti, in Italia oggi hanno numeri crescenti con 9,3 milioni di ascoltatori (fonte Ipsos, “Digital Audio Survey 2021“) e un aumento di oltre 1 milione di utenti annui.
Con i podcast sembra accelerarsi quella rivoluzione che ha posto l’audio nuovamente al centro della scena mediatica. Una sorta di riflesso degli utenti, come sottolinea Astorri, «che prediligono la fruizione dei media mentre fanno altro, senza dedicarvi tempo esclusivo. Tuttavia, le radio hanno solo recentemente iniziato a produrre podcast indipendenti dalle proprie trasmissioni di palinsesto. I podcast sono dei prodotti diversi dalla radio tradizionale, prediligono l’aspetto narrativo e divulgativo a quello dell’intrattenimento. Ma i crescenti numeri d’ascolto dei podcast corrispondono ad un giro di affari tutto da verificare». E proprio in quest’ottica va probabilmente letto il recente lancio di iniziative come Rai Play Sound della Rai o One Podcast del Gruppo Gedi.
I social network rappresentano per la radio una sua naturale estensione, perché come sottolinea Stefano Chiarazzo «la radio ha una caratteristica in comune con il mondo social: quella di essere sempre stata una community con i propri particolari gusti musicali, con i propri temi-caldi» e con speaker che possono essere definiti, come dice Claudio Astorri, «degli influencer ante-litteram». «Ma la community della radio ormai non è attivata solo dalle trasmissioni on air – osserva Chiarazzo – ma anche dai podcast prodotti, dagli eventi collaterali (si pensi al Festival di Sanremo per Rai Radio Due o a Battiti Live di Radionorba), dalle iniziative promosse (la corsa Deejay TEN di Radio Deejay) e anche dalle loro community social. Per questo le aziende oggi non vedono più le radio come dei semplici spazi pubblicitari da acquistare, ma community con cui entrare in relazione per ottimizzare la profilazione, rafforzare le brand identity e il posizionamento».
Ma come è la presenza delle radio sui social? «Ormai tutte le radio si stanno strutturando per essere presenti sui social network, anche se le 5 major radiofoniche italiane (Radio 105, Radio RTL 102.5, Radio Deejay, RDS, e Radio Italia) sono anche quelle maggiormente attive», dice Chiarazzo.
Secondo le osservazioni di Social Radio Lab, le piattaforme più usate dalle radio «sono Instagram, dove le emittenti sperimentano di più, Facebook dove invece si cerca di favorire il traffico verso i propri siti internet e Twitter, dove con i live tweeting le radio raccontano le dirette in corso. Tra i nuovi social, inoltre, le radio stanno iniziando a usare Telegram, TikTok (soprattutto per le radio giovanili) e Linkedin». La storia, dunque, si ripete. Dalla vecchia tv in bianco e nero monocanale a Tiktok, la radio è ancora pronta a rimettersi in gioco, cercando di conservare intatta la sua atavica magia.