Nostalgia di un tempo mai vissuto?

Society 3.0


Nostalgia di un tempo mai vissuto?

Alcune parole sembrano segnate da un anatema senza possibilità di riscatto. La morte, la rinascita e la metamorfosi delle ideologie.

Quando alla fine del Settecento, il filosofo Destutt de Tracy coniò il termine “ideologia”, intendeva indicare una scienza che studiasse l’origine, la formazione e le caratteristiche delle idee. Tuttavia, questa parola dal significato neutro fu presto colpita da Napoleone: “ideologo”, in senso dispregiativo, avrebbe indicato un intellettuale dottrinario, perso nell’astrazione, privo di qualsiasi capacità di riflessione radicata alla realtà. Insomma, la connotazione negativa del termine, che tutti oggi conosciamo, ha preso forma secoli fa.

Nel Novecento, il concetto di “ideologia” ha assunto progressivamente un significato ancor più preoccupante, applicato a quelle dottrine che pretendono di dare una spiegazione esaustiva dei processi storici e di trasformare radicalmente la società secondo il loro modello; che hanno elaborato una falsa coscienza tramite cui legittimare la loro posizione. Inoltre, in senso altrettanto spregiativo e molto vicino alle idee napoleoniche, con quel termine si è indicato un complesso di idee astratte e mistificatorie di cui spesso viene accusata la politica.

C’è però un’accezione di “ideologia” che – insieme alla sua applicazione – è spesso ignorata: l’insieme di valori, di riferimenti ideali (politici, sociali, religiosi, culturali) che caratterizza una visione del mondo, che orienta le nostre scelte. Un alveo dentro cui, agendo, acquisiamo una coscienza individuale e collettiva. Insomma, la verità non è necessariamente contrapposta all’ideologia: quest’ultima può senz’altro essere un’espressione pratica della prima.

Tendiamo spesso a dimenticarlo, ma un’azione sarà tanto più efficiente e coerente quanto più sarà costruita su una determinata teoria (sia essa un’idea, una concezione del mondo, un sistema di valori). Pensateci: è un assunto che vale in ogni campo – lavorativo, formativo, sociale… e persino sentimentale.

Le ideologie ci spaventano

Eppure, sembriamo ormai terrorizzati dalle ideologie. A tal punto da tacere persino i componenti che le formano: le idee e gli ideali a cui aspiriamo rimangono timidamente custoditi nelle nostre menti o relegati in una conversazione e nei social.

Viviamo in un’epoca, definita post-ideologica, che supera ogni decisiva contrapposizione a favore del compromesso. Con il politically correct in ogni situazione, ad esempio. O, in politica, con un atteggiamento tutto sommato flessibile, per così dire “moderno” e aperto al dialogo, anche rispetto a temi che dovrebbero essere fondanti di una determinata visione del mondo. Non più partiti con un quadro ideologico (e ideale) coerente e definito, semmai “leader” con più fascino. E dunque, diluendosi le idee e gli ideali che compongono le ideologie (attenzione: uso il termine nel significato dimenticato), è quasi del tutto scomparsa l’aggregazione intorno a valori sui cui orientare le nostre azioni e scelte.

Contrariamente ai nostri genitori, le cui camere e vite erano tappezzate di idee, rappresentate politicamente in modo organico, noi sviluppiamo un’identità a prescindere dalle categorie ideologiche. Possiamo essere fedeli a un insieme di valori, ma dobbiamo affannarci per avvertire rispetto a questi un senso di comunità non solo concettuale, per riconoscerci in un sistema coerente che metta in pratica le teorie in cui crediamo. Faccio solo un esempio: non basta che un partito sia attento alla questione climatica per indurci a votarlo.

Fine della passione

La principale causa della morte dell’ideologia in politica è imputabile alla scomparsa della passione. Scrivo queste parole con convinzione, ma per giustificarle dovrò scomodare un grande autore. Spiegando il titolo di un suo scritto, Passione e ideologia, Pasolini scriveva che va letto come una «graduazione cronologica», ovvero «“prima passione, ma poi ideologia”»: il primo movimento di interesse verso qualsiasi oggetto dev’essere passionale; ma poi, l’ideologia deve dare forma alla passione, creando un sistema definito, sensato, coerente. Anni dopo, in un’altra sua raccolta, Transumanar e organizzar, l’autore già denunciò qualcosa che avvertiamo distintamente ora: si era passati a parlare senza dire davvero la verità, senza alcuna ribellione né dissenso nei confronti di idee e ideali opposti. La passione aveva cambiato il suo volto: se prima credere in qualcosa significava già agire, ora bisognava agire per credere veramente in qualcosa. E, concludeva Pasolini, siccome la «Verità» non si può più soltanto «dire», non resta che «manifestar», perché solo manifestando si può «rifare il mondo».

È vero, oggi non siamo rappresentati politicamente più da nessuna passione che prende forma in ideologia, né tantomeno in azioni che rivelino la passione, per ricostituire il mondo. Ma non abbiamo taciuto né abbiamo accettato il compromesso, assumendo che i tempi fossero cambiati, e noi con loro. Piuttosto, abbiamo cambiato la forma e l’essenza della nostra ideologia.

Manifestiamo da soli e in modo diverso il nostro dissenso, la nostra «Verità», la nostra passione per il mondo: marciamo per il clima, ci inginocchiamo per l’uguaglianza, parliamo all’unisono per le violenze di genere. Abbiamo reso palpabile ed esposta agli occhi di tutti (manifèstus) la nostra passione per il mondo, dando vita ad un’ideologia globale, creata da tante monadi nostalgiche non di un tempo mai vissuto, ma di ideali e comunità.

Economista, consulente strategico e corporate trainer. Si è formato all’Università Bocconi di Milano e all’INSEAD di Fontainebleau, e ha girato il mondo per lavoro e per passione: Head of Business Development Unit di Finmeccanica in Russia, Senior Manager di McKinsey a Londra e Principal di AlphaBeta a Singapore, dove ha gestito progetti con aziende del calibro di Google, Uber e Microsoft. In precedenza, ha lavorato anche presso Goldman Sachs e le Nazioni Unite a New York. Tornato a Bari, ha fondato la Disal Consulting e si occupa di ricerca, consulenza, comunicazione e formazione per grandi aziende italiane (Ferrari e UniCredit), colossi digitali (Netflix e Amazon), istituzioni multilaterali (World Economic Forum) e governi nazionali (Francia, Cina e Germania). Insegna alla IE Business School di Madrid e alla Nanyang di Singapore, e dirige il Master in Digital Entrepreneurship presso H-Farm, dove cerca di trasmettere l’importanza dello storytelling per la riuscita di un progetto imprenditoriale. Dopo il successo del suo primo libro Flow Generation - manuale di sopravvivenza per vite imprevedibili, ha pubblicato con Hoepli Phygital - il nuovo marketing tra fisico e digitale.