Lo smart working è della GenZ

Society 3.0


Lo smart working è della GenZ

Il 60% dei giovani impiegati nelle piccole e medie imprese sostiene che il lavoro da remoto ha migliorato la produttività e se ben organizzato consente anche di raggiungere un buon work life balance.

Preoccupati e con poche aspettative per il futuro. Questa la fotografia scattata dalla società di ricerche Censuswide per Sharp su oltre 6mila lavoratori under 30 in otto Paesi europei (Italia compresa). I numeri della ricerca parlano chiaro: per il 34% di loro la possibilità di fare carriera e la garanzia di un lavoro sicuro sono diminuite drasticamente dopo la pandemia, specie nelle Pmi e per il 44% la priorità è avere la certezza di una continuità professionale. Ma lo smart working non c’entra anzi: il 60% dei giovani impiegati (GenZ) nelle piccole e medie imprese sostiene che il lavoro da remoto ha migliorato la produttività e se ben organizzato consente anche di raggiungere un buon work life balance. Ma, per dirla tutta, nemmeno la Pandemia c’entra molto. «Infatti, sono dati che non hanno nulla a che fare con la crisi generata dal Coronavirus», precisa Tommaso Monacelli, Professore ordinario di Macroeconomia alla Bocconi. Piuttosto sono legati a incognite che da anni affondano il nostro mercato del lavoro e che ora la Pandemia ha riportato prepotentemente a galla.

Il mismatch azzera la fiducia  ​

Il primo dato riferito al timore di non fare carriera «è infatti da collegare a un problema storico del nostro mercato del lavoro, ovvero il mismatch tra la domanda e l’offerta di lavoro». In poche parole il lavoro c’è ma è la formazione a essere inadeguata per le nuove esigenze delle aziende. «Non a caso ci sono aree del Paese dove l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro funziona bene perché c’è una forte corrispondenza fra il mondo delle imprese e quello delle università e degli Istituti tecnici di primo grado», precisa Monacelli.
Non si sta dicendo che dobbiamo tutti laurearci in Ingegneria, ma che molti della GenZ rinunciano a una formazione universitaria e se la seguono spesso scelgono corsi di laurea che offrono ormai pochi sbocchi sul mercato del lavoro specie in un Paese come l’Italia con un tessuto industriale fatto prevalentemente di Pmi. «In Paesi come la Francia o la Germania, per esempio, un laureato in Scienze della comunicazione o in Scienze politiche può trovare con facilità lavoro nelle grandi aziende che fanno da incubatori di formazione creando percorsi di crescita interni per i giovani», spiega Monacelli. «Ma in Italia questa tipologia di aziende è molto bassa, motivo per cui scegliere un percorso di studi in linea con le esigenze delle Pmi diventa strategico, non solo per trovare un’occupazione, ma anche per pensare a un percorso di carriera o semplicemente per spostarsi con facilità da un’azienda all’altra».

Organizzazione scolastica da rivedere​

Il lavoro è infatti solo la tappa finale di un percorso formativo che andrebbe profondamente riorganizzato. Non a caso nel suo discorso al Senato del 17 febbraio scorso, Mario Draghi ha dedicato spazio anche alla scuola, ai giovani della GenZ e in particolare agli Istituti tecnici che dovrebbero rappresentare l’architrave della nostra formazione. Il condizionale è d’obbligo visto che ora, invece, sono visti dai più come istituti di serie B rispetto a un liceo. «In Francia e in Germania, ad esempio, questi istituti sono un pilastro importante del sistema educativo. È stato stimato in circa 3 milioni, nel quinquennio 2019-23, il fabbisogno di diplomati di istituti tecnici nell’area digitale e ambientale. Il Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza assegna 1,5 md agli ITIS, 20 volte il finanziamento di un anno normale pre-pandemia. Senza innovare l’attuale organizzazione di queste scuole, rischiamo che quelle risorse vengano sprecate», ha detto Draghi. E rischiamo anche di perdere un’importante chance per la ripresa del nostro mercato del lavoro e per l’occupazione dei nostri giovani della GenZ. 

Oggi in Italia solo 8.000 ragazzi scelgono di frequentare un Itis. «Per alzare la media dobbiamo rafforzare i nostri Istituti tecnici, puntare a una maggiore qualità e cambiare la percezione che hanno ora tra genitori e insegnanti», dice Monacelli. Un passaggio complesso che richiede prima di tutto un rafforzamento dell’orientamento scolastico nelle scuole medie e una riforma scolastica che porti il ciclo delle medie di primo grado da tre a cinque anni in modo che i ragazzi abbiano anche maggior coscienza della scelta che andranno a fare in seguito. 

Solo il reskilling ci salverà

Un discorso a parte va fatto invece per il secondo dato che emerge dalla ricerca firmata da Censuswide, quel 44% di giovani impiegati nelle Pmi che eleggono come priorità la certezza di una continuità professionale. Per far sì che il desiderio di questi giovani della GenZ si avveri il nostro Paese dovrebbe fare importanti passi in avanti sul fronte della dinamicità del mercato del lavoro. Dinamicità che si raggiunge solo lavorando sodo sulla riqualificazione delle risorse umane, quindi investendo seriamente sulle politiche attive del lavoro. Tema quest’ultimo che, in vista dello sblocco dei licenziamenti, sta diventando incandescente. 

La Pandemia ha, infatti, penalizzato molto alcuni settori, vedi il turismo, il trasporto aereo e il commercio tradizionale, solo per citarne alcuni (comparti dove sono impiegati numerosi dei nostri giovani) e nel contempo ha fatto da volano ad altri settori come la logistica, l’e-commerce, l’hi-tech, il fintech, l’agroalimentare, la sanità. Nei prossimi mesi inizieremo ad assistere a un’importante necessità di riallocazione di lavoro da un settore all’altro. Una tendenza che proseguirà per molto tempo e non solo in Italia. Secondo il rapporto sul futuro del lavoro pubblicato da McKinsey Global Institute (Mgi),  infatti, più di 100 milioni di lavoratori al mondo (1 su 16), avranno bisogno di trovare un’altra occupazione entro il 2030 nello scenario post-COVID-19, il 12% in più di quanto stimato prima della pandemia.
Dobbiamo iniziare a chiederci cosa potrà fare un giovane della GenZ portiere d’albergo nel momento in cui la struttura in cui lavora chiuderà. Come potrà trovare lavoro in un supermercato? Saper usare un software per la gestione della logistica dei camion della delivery, per esempio, sarà fondamentale. Come fare per riqualificarsi, per acquisire competenze che non si hanno in breve tempo e senza sprechi di risorse?

I Paesi scandinavi su questo fronte hanno molto da insegnarci. «In Norvegia, per esempio, molti ex impiegati nel settore del trasporto aereo sono stati riqualificati per operare in quello sanitario», precisa Monacelli. «In Italia invece, dopo anni di discussione, sul fronte strategico delle politiche attive del lavoro siamo ancora in alto mare. Basti dire che non sappiamo ancora se affidare il compito alle agenzie pubbliche o a quelle private». ​

Ho lavorato per 20 anni nelle redazioni di riviste economiche (Gente Money, Panorama Economy) e digitali (News 3.0). Dal 2015 sono freelance. I temi che riguardano il lavoro e il management sono rimasti la mia passione, anche ora che scrivo per l’Italia dal Mozambico. ​​​