L’inefficienza del Natale

Society 3.0


L’inefficienza del Natale

Si avvicinano le festività e con esse il momento di scegliere i regali: quelli che si vogliono fare, quelli che si devono fare, quelli d’emergenza o quelli inattesi. Economicamente è, quasi sempre, una perdita secca.

Quando si avvicina Natale torna in auge un vecchio articolo accademico (era il 1993) sempre provocatorio: The Deadweight Loss of Christmas è il tipo di studio che fa pensare alla gente comune che gli economisti siano un po’ strani. Joel Waldfogel, allora professore di economia a Yale, nel paper del 1993 arrivava a stimare che, attraverso lo scambio di regali, a Natale si perda in efficienza tra il 10 e il 25% del valore dei doni scambiati. Secondo le sue stime, i regali mal scelti causano uno spreco economico quantificabile in diversi miliardi di dollari (o euro, il ragionamento vale anche per l’Europa) all’anno.

Questo è il tipo di provocazione che piace agli economisti: rifiuta una tradizione amata e ispirata ai buoni sentimenti, svalutando l’interazione interpersonale e le relazioni, pur sostenendo la virtù delle scelte individuali. Dopotutto, il nocciolo del ragionamento è semplice: perché dovresti comprare qualcosa per me, quando sicuramente so cosa voglio meglio di te?


Non sorprende che l’articolo di Waldfogel sia stato pubblicato su The American Economic Review, una delle tre principali riviste di economia del mondo. Ma una cosa che ho imparato da economista è che non sempre chi esercita questa professione è coerente con le provocazioni che lancia. Per esempio, il signor Waldfogel, che ha scritto un libro intitolato Scroogenomics: Why You Shouldn’t Buy Presents for the Holidays, in realtà compra regali durante le feste, almeno per alcune persone. «Quando conosco bene le persone, scelgo i regali per loro», mi ha detto il signor Waldfogel. «Conosco bene la mia famiglia». E il paper lo dice: fare regali ha molto senso tra persone che sono legate da una relazione stretta.
Waldfogel, tra l’altro, non è un economista isolato: in passato, gli studiosi della Booth School of Business dell’Università di Chicago hanno difeso in modo schiacciante l’idea che i regali siano un modo efficiente per dimostrare che le persone si vogliono bene.

David Autor del M.I.T. ha parlato di “preferenze rivelate”: se le persone fanno e ricevono così tanti regali, è presumibilmente perché ciò le rende felici. Alberto Alesina, compianto economista italiano di Harvard, diceva che la scelta di un regalo «è un segnale dell’intensità dello sforzo che si fa nel cercarlo», che fuori dall’economia significa: è il pensiero che conta. Un altro grande economista di tanti anni fa, Robert Barro, professore di economia ad Harvard, diceva che l’approccio giusto ai regali è quello di cercare di comprare qualcosa che il destinatario non sa di volere. Qui ci si mette di mezzo addirittura la serendipità. Facciamo un esempio concreto. Immaginate di ricevere una scatola di deliziose praline di cioccolato provenienti dalla pasticceria più in voga del momento. Ci sono almeno tre possibili strade per valutare economicamente questo regalo.

  • Il primo livello di analisi è che sono a dieta e di certo non avrei comprato io il cioccolato, il che suggerisce che si tratta di un esempio di ciò che il signor Waldfogel descriveva nel suo studio: la mancata corrispondenza tra regali e desideri che porta alla cosiddetta perdita secca (di efficienza).

  • Il secondo livello di analisi è che, una volta ricevute le praline, mangerei metà della scatola in pochi minuti, il che dimostra la mia preferenza rivelata per il cioccolato e pure che l’obiettivo del donatore è raggiunto: ha, cioè, individuato un prodotto che non avrei comprato per me, ma che i dati (e i miei baffi sporchi di cioccolato) mostrano che desideravo.

  • Il terzo livello di analisi considera il fatto che, dopo avere mangiato i cioccolatini, sentirei un senso di colpa. Non li avrei dovuti mangiare per rispettare la dieta, o almeno non così tanti in due giorni. Gli economisti comportamentali chiamano questo fenomeno “sconto iperbolico”: sopravvalutiamo, cioè, il valore dei piaceri immediati rispetto a quelli differiti e possiamo fare oggi cose (come mangiare mezza scatola di praline) che ieri avremmo giurato di non fare mai e domani diremo che non avremmo dovuto fare.

I tre livelli di analisi non permettono di concludere in modo univoco quale sia il regalo migliore. A onor del vero, molti regali vengono fatti tra persone che non si conoscono bene, e un punto chiave dello studio di Waldfogel è che non tutti i regali sono uguali. Le sue stime sono state fatte domandando agli studenti di Yale quanto valutassero i regali che ricevevano durante le feste, rispetto al loro prezzo effettivo di acquisto. Gli amici e le persone care sono stati abbastanza bravi a fare regali che i destinatari hanno effettivamente apprezzato; sono stati gli zii e i nonni a comprare gli oggetti meno amati. E la distanza tra desiderio e realizzazione aumentava con la distanza tra donatore e ricevente. Il vero freno all’economia non sono i regali, dunque, ma i cattivi regali. E il signor Waldfogel profetizzava perciò l’ascesa delle smart box o delle gift card come sostituto del cattivo regalo. L’aspetto interessante delle gift card è che sono molto simili al denaro contante, ma danno maggiore possibilità di scelta al destinatario senza il fastidio del denaro contante. In altre parole, il problema della perdita secca del Natale dovrebbe essere risolto dal progresso tecnologico. Ma di nuovo non tutti gli economisti sono d’accordo sul fatto che si tratti di un vero passo in avanti: tanti infatti sottolineano che, oggettivamente, una gift card è peggio di denaro (invece di dare flessibilità, restringe le opzioni di spesa a un settore specifico). Nel dubbio, io spero che ci sia più cioccolato nel mio futuro. Buon Natale.

​Laurea e PhD in Economia, si occupa di economia sperimentale, di qualità della vita e felicità. Collabora con diverse testate di divulgazione scientifica come lavoce.info, Gli Stati Generali, Infodatablog, Il Sole 24 Ore e ha una passione per la comunicazione scientifica in ambito economico. Responsabile scientifico del progetto AppyMeteo insieme ad Andrea Biancini, insegna economia sperimentale alla Scuola Enrico Mattei e collabora con diverse università. È​ iProf di Economia della felicità su Oilproject.​