Bellezza: il canone lo dettano i social
Internet, e i social in modo particolare, hanno dato a tutti noi la possibilità di mostrarci ad una platea virtualmente infinita di persone, con i potenziali vantaggi che ne conse
Per decenni i media, l’industria della moda e i social hanno lavorato a costruire un’ideale femminile basato sul triplice imperativo bellezza-snellezza-giovinezza. Oggi le aspettative sul corpo delle donne sono lievitate fino al punto da imporre una continua “costruzione” alla ricerca della ineccepibilità.
La società contemporanea spinge gli individui alla ricerca di prestazioni sempre più elevate in tutti gli ambiti della vita. Alcuni sono indotti ad attribuire questa tendenza al capitalismo contemporaneo, che, con la sfida della globalizzazione e della competitività, ha rafforzato la ricerca della massima efficienza e produttività delle organizzazioni e dei lavoratori. In realtà, è un fenomeno che non riguarda solo il lavoro e l’economia.
Gli studenti sono sotto una costante pressione della scuola per ottenere voti elevati. Il sistema dei media e l’industria culturale promuovono l’auto-miglioramento, sia in termini di competenze che di crescita emotiva e spirituale. C’è una forte pressione del sistema sanitario sul mantenimento di uno stile di vita sano, che include l’esercizio fisico regolare, una dieta equilibrata e il riposo. I social hanno costruito piattaforme dove le performance personali sono costantemente esposte e valutate: ciò include l’aspetto fisico, lo stile di vita, le relazioni interpersonali e persino opinioni e idee personali. Il bisogno di migliorare le proprie prestazioni attraversa la cultura di tutta la società.
La pressione sociale, però, non lavora su tutti allo stesso modo. Continuano ad esercitare una forte presa le aspettative di genere. In continuità con la tradizione, gli uomini sono incoraggiati ad essere competitivi e resilienti, ad essere forti e prestanti fisicamente, a coltivare la leadership e l’assertività, a perseguire la propria autorealizzazione, ad eccellere in campo professionale e finanziario,
Le donne sono sfidate ad eccellere su terreni nuovi ma senza cedere su quelli vecchi, sottoponendole allo stress aggiuntivo di conciliare lavoro e vita privata, carriera e maternità, assertività ed empatia, prestanza e femminilità.
Ma è sul terreno del corpo che la penalizzazione di genere raggiunge il suo massimo. Per decenni i media, l’industria della moda e i social hanno lavorato a costruire un’ideale femminile basato sul triplice imperativo bellezza-snellezza-giovinezza. Oggi le aspettative sul corpo delle donne sono lievitate fino al punto da definire come standard la perfezione estetica. «Se bella vuoi apparire un po’ devi soffrire», dicevano le nonne. All’epoca soffrire significava non esagerare con il cibo, curare l’igiene personale e i capelli, mettere un po’ rossetto e di smalto, profumarsi, indossare un vestito alla moda. Presentare sé stesse al meglio, insomma. Qualcosa alla portata di molte, se non di tutte.
Ai tempi della “perfezione estetica come standard” non è solo questione di apparire ma di essere. Si impone alle donne una continua “costruzione” del corpo. Diete, fitness, sport, skin care, trattamenti viso e corpo, cura dei capelli, manicure e pedicure, depilazione integrale, botox, chirurgia plastica. Una disciplina impegnativa, che richiede costanza, tempo e risorse, senza la sicurezza del risultato ma con la certezza di una sanzione sociale da pagare se non si rispettano i modelli: essere considerate trascurate, strane, devianti.
Le donne, soprattutto giovani, hanno aderito al nuovo modello. Nelle palestre e sulle piste di footing dei parchi cittadini i praticanti di sesso maschile e femminile ormai si equivalgono numericamente. Non è solo una questione di benessere, ovviamente. Per accedere ai laboratori di bellezza serve la prenotazione. Passeggiando nelle vie di qualunque città italiana non possiamo non accorgerci che sono scomparse le ragazze in carne della tradizione mediterranea e non si vede fanciulla che non esibisca capelli curati e unghie decorate con fantasie ricercate e colori smaglianti.
Se essere attraenti è sempre stata una preoccupazione, qualunque donna matura non fatica a riconoscere un carico di aspettative sulle donne della GenZ e Millennials provenienti dal sistema culturale (social, media, industria della moda, pubblicità, pressione dei coetanei) che, alla stessa età, non aveva dovuto affrontare. Le opportunità fornite dall’industria della bellezza e dalla tecnologia alimentano all’infinito il desiderio di piacersi e di piacere, fino al punto di pensare che la stessa felicità dipenda dalla capacità di apparire attraenti al maggior numero di persone, siano essi potenziali partner, semplici ammiratori/follower, clienti o datori di lavoro.
Questo fenomeno ha costi umani pesanti. Le donne non sono ugualmente attrezzate dalla natura, né dal punto fisico e neppure da quello psicologico, e il fardello può diventare insostenibile, a causa del sovraccarico di insicurezza, ansia da prestazione, rifiuto del proprio corpo, senso di inferiorità e di esclusione.
Il disagio della bellezza colpisce soprattutto le giovanissime, che non hanno ancora sviluppato esperienza che la bellezza, pur importante, è solo uno dei talenti di cui disponiamo. Con l’età fortunatamente la consapevolezza cresce e il peso della perfezione come standard si alleggerisce anche per le donne.
Negli ultimi anni la società ha reagito a questa tendenza, sviluppando i primi anticorpi al fenomeno. È nata dal basso, dall’evoluzione naturale della società, una controcultura che ha messo in discussione l’esistenza di un modello unico di bellezza. I social hanno permesso l’emergere di diversi standard. Bellezze formose (“curvy”), visi non truccati, capelli naturali, nasi aquilini esibiti di profilo, capelli bianchi e rughe, orecchie a sventola, lentiggini, cicatrici, arti artificiali indossati con nonchalance: una nuova sensibilità rispetto al corpo per cui tutti, anche gli influencer o i vip, mostrano i propri difetti e l’industria della moda ha sostenuto e rafforzato questo cambiamento. Anche l’industria della bellezza sembra aver intrapreso una nuova direzione: la recente campagna di Dove è una testimonianza autorevole.
Il cambiamento è dunque avvenuto? Hanno iniziato a sgonfiarsi le mitologie della magrezza e della prestanza? Abbiamo mandato finalmente in soffitta Barbie e Ken? Purtroppo, no.
GenerationShip, l’osservatorio sulle nuove generazioni del Gruppo Unipol, ha consentito di fare il punto sulla questione:
Nonostante le importanti conquiste sul lavoro e sui diritti degli ultimi decenni, qualcosa non è ancora cambiato nella vita delle donne. La parità più importante, quella sulla felicità, è incompiuta. Alla base c’è la questione del corpo e della bellezza, in particolare per le giovanissime. La strada della liberazione passa da qui.