La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
Lo sviluppo economico post virus va verso una società della sfiducia oppure verso modelli più collaborativi e solidaristici? Per ora avanza l’economia sospesa che si basa sulla relazione tra brand e consumatore.
Una vita lineare, un senso di ordine, continuità, stabilità e quindi di sicurezza. Il sociologo britannico Antony Giddens nel 1991 teorizzò il concetto di “sicurezza ontologica”, come una sorta di corazza di cui tutti noi ci dotiamo nel corso della nostra vita, una fiducia nella linearità degli eventi che porta l’uomo a sperimentare emozioni positive e stabili, evitando il caos.
Ma cosa succederebbe se una circostanza, un evento, un’azione dovesse cambiare l’ordine delle cose, facendoci precipitare sotto i colpi di una “angoscia esistenziale”, provocata sempre secondo Giddens dalla pressione degli eventi? Cosa è successo oggi, dopo che un virus subdolo si è insinuato nelle nostre comunità, ha mietuto migliaia di vittime e ci ha costretto per settimane a rimanere chiusi in casa, mentre le strade si facevano deserte e i bar, i ristoranti, i musei e gli uffici chiudevano?
È successo che «nelle persone abbia preso il sopravvento la depressione, l’ansia, la preoccupazione e la malinconia che hanno condotto ad un atteggiamento difensivo che ha facilitato il distacco sociale e quindi la sfiducia verso il prossimo». A dirlo è il Dott. Roberto Ferri, Presidente della Società Italiana Psicologia dell’emergenza. «Dopo il lockdown uno dei rischi maggiori che corriamo – aggiunge Ferri – è che il prossimo venga inteso sempre più come potenziale fattore di contagio». Accade perciò che il nostro vicino di casa, l’uomo o la donna in fila con noi al supermercato, diventino pericoli da evitare, cambiando strada o marciapiede. Ed è così che runner e padroni di cani, durante le settimane di confinamento, siano stati visti come armi batteriologiche camminanti, passabili di denuncia. Nel mese di maggio a Singapore il governo ha invitato la cittadinanza a scaricare un’app con cui denunciare i casi di infrazione del distanziamento sociale. Una sorta di delazione legittimata, in cui l’altro è diventato un sorvegliato speciale, perché potenzialmente fuorilegge, oppure uno sguardo da schivare perché agente di denuncia.
Su queste basi psicologiche e sociologiche le nostre società guardano alla ripresa economica e sociale, alla riapertura delle nostre comunità. Ma che eredità porterà nel nostro futuro il lockdown, il confinamento domestico, l’escalation di una pandemia che ha disarticolato, seppur momentaneamente, le nostre strutture sociali? Secondo molti osservatori, la crisi del coronavirus non porterà ad una società diversa, ma scoperchierà i nostri difetti sociali e individuali. La pensa così Giorgio De Rita, segretario generale del CENSIS. «Noi italiani siamo un popolo caduto da anni nel rancore, nella rabbia, nella disillusione. Già prima della crisi l’Italia era una promessa tradita, in preda alla paura del futuro, all’incertezza». I dubbi che attanagliavano prima di questa crisi gli italiani, dunque, sono gli stessi di oggi: il virus li ha solo acuiti. «L’emergenza ha messo a nudo i deficit della nostra società, il coronavirus fa emergere difficoltà che c’erano già e non cambierà l’individualismo della nostra società».
Ma allora siamo a un passo dalla società della sfiducia? Non la pensa così Ivana Pais, sociologa economica che insegna all’Università Cattolica di Milano. «La crisi del Covid-19 non ha minato la fiducia tra le persone, anzi. Laddove c’era una forte relazione fiduciaria, questa si è rafforzata. E lo stesso avviene tra le aziende. I brand che riscuotevano presso i loro target fiducia e godevano con loro di una forte relazione sopravvivranno alla crisi». Nei giorni di quarantena i marchi infatti hanno continuato a investire in comunicazione digitale, per rinsaldare la fiducia con i consumatori, spostando l’attenzione, dalla vendita all’asset valoriale e relazionale.
«Dopo la crisi tessere nuove relazioni sarà molto difficile, ma oggi chi può contare su un forte capitale in termini di fiducia può farle fruttare». E proprio sul concetto di fiducia si basa quella che ormai è stata definita come Economia Sospesa. Tutto prende le mosse da quell’usanza napoletana di pagare un caffè per un successivo avventore bisognoso: un caffè, appunto, sospeso. Ai tempi del coronavirus sono tanti i beni che diventano “sospesi”, come dei bond: si compra oggi un bene e un servizio a prezzo scontato, per poi utilizzarlo nei mesi prossimi. Ci sono i travel bond, i restaurant bond oppure bond che riguardano hotel e alberghi. È il caso di “TakeAStay”, con cui le strutture ricettive offrono alla loro clientela soggiorni da effettuare nei prossimi mesi. Un modo smart per ovviare alla penuria di liquidità e mantenere salda la relazione con i propri target. «L’economia sospesa dimostra che chi ha legato fortemente con i clienti può anche chiedere in prestito soldi promettendo servizi domani», commenta Ivana Pais. Senza fiducia questo è impossibile. Prestereste soldi a qualcuno di cui non vi fidate affatto?
Un altro modello che negli anni scorsi si è basato sull’elemento fiduciario è stato la sharing economy, basata proprio su community unite dalla fiducia dei membri. «La sharing economy non è solo condivisione di prodotti e servizi, ma è messa in comune di esperienze e relazioni. Chi ha puntato molto su questo secondo pilastro potrebbe trarre nella ripartenza un insperato vantaggio», sottolinea sempre Ivana Pais.
Economia sospesa, condivisa, collaborativa. Nuovi modelli che fanno leva sulla tecnologica digitale, verso cui, durante il confinamento, intere porzioni di popolazione, prima escluse, si sono avvicinate. Un patrimonio di alfabetizzazione digitale, estremamente prezioso per il rilancio di un’economia collaborativa e solidaristica che riparta proprio dalla prossimità fisica e digitale. «La digitalizzazione forzata che abbiamo vissuto (e per certi versi stiamo ancora vivendo) apre a nuove fette di consumo che potrebbero stimolare una nuova mobilitazione imprenditoriale. Ovviamente – avverta a Ivana Pais – tutto questo dipende molto da come il mondo dell’economia e delle imprese uscirà da questa crisi». E fare previsioni al momento è impresa assai difficile.