Le ragioni del New Gender Gap

Society 3.0


Le ragioni del New Gender Gap

Educazione, lavoro e ruoli sociali sono gli ambiti in cui le disuguaglianze di genere nella società italiana sono radicate e penalizzano le donne nonostante i progressi degli ultimi anni. I risultati della ricerca GenerationShip 2024 in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

Nel corso degli ultimi decenni la parità di genere nel nostro Paese ha fatto importanti passi avanti, avvicinando la condizione delle donne italiane a quella dei paesi occidentali più evoluti. In parallelo a questa evoluzione, si sono osservati fenomeni di segno opposto, regressivi, che fanno pensare che, alle vecchie discriminazioni in fase di superamento, siano subentrate nuove e più sfuggenti disparità, che tendono a penalizzare le donne e la loro qualità di vita. È il cosiddetto “new gender gap”. Per capire come è cambiata la questione della parità fra i generi nel corso del tempo sarebbe necessario comparare italiani di epoche diverse (quelli di oggi, di 10 anni fa, di 20 anni fa e così via) e studiarne le abitudini di vita, i problemi, le idee. Purtroppo, questo tipo di informazione, disponibile in altri paesi, da noi è piuttosto carente. GenerationShip, l’indagine che ogni anno Unipol dedica al tema dell’evoluzione socioculturale, ci offre l’opportunità di esplorare Gender Gap vecchi e nuovi, da un’angolatura diversa: chiedendo a donne e uomini di oggi di ricordare e immaginare com’era la vita di chi aveva la loro stessa età una generazione fa (le mamme, i papà, le zie e gli zii, i fratelli e le sorelle maggiori, ecc.) e di metterla a confronto con la propria. È un’informazione suscettibile di errori di memoria e/o di interpretazione da parte dei diretti interessati – guardare il passato con gli occhi dell’oggi-, e quindi meno valido di un’indagine ripetuta nel tempo. Tuttavia, capire come uomini e donne leggono il cambiamento è un punto di partenza importante per ricostruire la narrazione che fanno di sé stessi e capire lungo quali traiettorie è evoluta la questione della parità di genere nel tempo.

Com’è cambiata la vita rispetto ad una generazione fa

La nostra è l’epoca del cambiamento pervasivo e accelerato di quasi tutti gli aspetti della vita. L’elenco delle novità è infinito e in continuo aggiornamento. Ma gli uomini e le donne come leggono questa metamorfosi? Pensano che la loro vita sia migliorata o peggiorata rispetto ad una generazione fa? In cosa e per chi la vita è migliorata o, invece, peggiorata? E, più specificamente, il ritardo delle donne in termini di opportunità e qualità di vita, si è ridotto o è ripartito su nuovi terreni? E di cosa si tratta esattamente?

I miglioramenti

Secondo GenerationShip, rispetto ad una generazione fa, i progressi nella vita delle persone hanno avuto a che fare principalmente con il mondo “virtuale”, ed in particolare con il potenziamento delle opportunità personali indotto dal digitale in alcuni aspetti importanti della nostra vita:

  • Anzitutto Informarsi e fruire di contenuti ovunque, in qualunque momento ed istantaneamente ed accedere in modo “democratico” all’informazione, “on demand” e/o generati dal basso attraverso i social, ma sottraendosi in entrambi i casi alla direttività unilaterale dei media tradizionali (voto 7.5 su scala 1:10)
  • Sviluppare consapevolezza personale su aspetti importanti dell’esistenza, come la cura della salute (voto 7.2)
  • Essere potenzialmente connessi con il mondo intero attraverso la rete (voto 7.2)
  • Semplificarsi la vita, attraverso l’uso di app, servizi, siti, eccetera (voto 7.2)
  • Rimanere sempre in contatto con i propri cari, anche a distanza (voto 7.2)
  • Poter lavorare da remoto (voto 7.2)
  • Avere l’opportunità di auto-formarsi, aggiornarsi e sviluppare competenze in rete (voto 7.1)
  • Infine, garantire, attraverso la rete, accesso e opportunità di inclusione alle persone svantaggiate (voto 6.9)

Dei potenziali progressi suggeriti agli intervistati, uno solo è messo in discussione: la creazione di nuove opportunità di lavoro (voto 6.3). Da questo punto di vista, il digitale ha svolto per gli italiani un ruolo decisamente meno significativo: non è diventato più facile trovare lavoro per chi lo cerca; non ha risolto il problema della disoccupazione giovanile; professioni molto ambite, come l’influencer, sono in realtà un’opportunità per pochissimi; i lavoretti per i giovani in rete non sono mai decollati.

I peggioramenti

I peggioramenti si sono verificati purtroppo nel mondo più importante, quello “reale”.
In ordine di importanza:

  • È peggiorato anzitutto il lavoro (voto 7.4 su scala 1:10), con maggiori difficoltà a trovarlo, con la precarizzazione addirittura delle posizioni lavorative un tempo sicure (contratti a tempo indeterminato) e con bassi salari, con la conseguenza dell’indebolimento delle condizioni economiche di molte famiglie.
  • È aumentata la distanza con i propri legami (voto 7.4): ci si vede meno di persona, ci sono più difficoltà a socializzare con gli altri, i rapporti, anche quelli con le persone a noi vicine, sono diventati più superficiali. È probabilmente il riflesso delle maggiori difficoltà esistenziali ma è anche la conseguenza del digitale: quanto più siamo online, tanto meno possiamo essere nel mondo fisico, in rapporto diretto e personale con il nostro ambiente di riferimento.
  • È sempre più difficile per le giovani coppie costruire una nuova famiglia (7.3). La causa è duplice, culturale ed economica:
  • da un lato, è avvenuta da parte dei giovani una presa di distanze dal modello tradizionale di famiglia. Sposarsi o convivere ed avere dei figli non ha smesso di essere un obiettivo importante per la maggioranza delle coppie ma non è più una priorità incondizionata. Va armonizzata con le esigenze e i vincoli posti dal nostro stile di vita: l’istruzione prolungata, la precarietà e la disoccupazione giovanile, le aspettative di autorealizzazione nel lavoro, e così via.
  • dall’altro lato, giocano un ruolo decisivo la carenza di risorse e l’instabilità economica delle giovani coppie, che li inducono a rimandare il grande passo (“più avanti, forse”), fino al momento in cui ci saranno le condizioni giuste. Non di rado, quando alla fine le condizioni vengono a crearsi, i sentimenti sono cambiati oppure si è fuori tempo massimo per avere dei figli.
  • La pressione per la performance e la competizione con gli altri si sono estese ad ogni aspetto della nostra vita: lavoro, scuola, rapporti sociali, corpo (voto 7.1)
  • Inoltre, nell’uso dei social molte persone fanno esperienza di un fenomeno che potremmo definire “confronto-sconforto” (voto 7.0). Ogni giorno, molte volte al giorno, veniamo in contatto online con una folla di persone più belle, più intelligenti, più competenti, più di tendenza, più di successo, più ricche di noi. Spesso si tratta della migliore versione degli altri, costruita per promuovere sé stessi, quando non addirittura di falsi costruiti con l’Intelligenza Artificiale o altri accorgimenti. Resta il fatto che il confronto può generare sconforto e perdita di autostima in chi le guarda, particolarmente nelle persone più fragili e nei giovanissimi, che si trovano in una fase della vita nella quale il giudizio dei coetanei è più importante. È un altro risvolto dell’ambivalenza del digitale: il vantaggio dei social è di renderci visibili ad un’ampia cerchia di persone, d’altro canto questo rende simmetricamente visibili a noi le performance degli altri, vere o false che siano. Un’esperienza nuova e perturbante, che richiede tempo per essere metabolizzata.
  • Infine, usciamo di meno rispetto a prima (voto 6.9). Molti hanno fatto diventare la casa, il fulcro della vita privata e sociale. Un’eredità del COVID, resa possibile dal digitale, che non è scomparsa ma è diventato uno stile di vita permanente per molte persone.

L’impatto dei cambiamenti sugli uomini e sulle donne

Chi impatto hanno avuto queste trasformazioni? Come hanno inciso sulle qualità della vita delle persone? E soprattutto hanno ampliato il divario fra uomini e donne o lo hanno ridotto? Cominciamo dai miglioramenti (vedere Tavola 1). Come abbiamo visto sono largamente attribuibili ai progressi del digitale. Ebbene, le donne sembrano più partecipi e soddisfatte della positività della rivoluzione digitale di quanto non lo siano gli uomini. Si tratta di valutazioni soggettive, e non di misurazioni di situazioni di vita osservate (applicazioni utilizzate, abilità maturate, e così via). E tuttavia emerge un vantaggio delle donne, in particolare per quanto riguarda l’ampliamento e la democratizzazione dell’informazione (punteggio 7.7 delle donne contro 7.3 degli uomini), la possibilità di coltivare una maggiore consapevolezza relativamente alla salute (7.5 contro 6.9) e il lavoro a distanza (7.3 contro 7.0). Gli uomini appaiono piuttosto tiepidi, con punteggi intorno al 7.0.
Se non è una prova del fatto che la rivoluzione digitale ha ridotto il “gender gap”, è quantomeno l’evidenza del fatto che le donne stanno partecipando da protagoniste a questa grande grande trasformazione.

I peggioramenti precisano però il quadro (vedere Tavola 2). Anche in questo caso sono le donne ad avere registrato l’impatto maggiore dei cambiamenti avvenuti rispetto ad una generazione fa.
Al primo posto troviamo il deterioramento della condizione lavorativa ed economica e le maggiori difficoltà a formare una nuova famiglia, arretramenti più sentiti dalle donne che non dagli uomini (voto. 7.6 per entrambi i fenomeni per le donne contro rispettivamente 7.1 e 7.3 per gli uomini). Al secondo posto troviamo l’indebolimento delle relazioni, incluse quelle con i familiari più stretti. Anche in questo caso l’importanza del problema è maggiore per le donne che non per gli uomini (voto 7.5 contro .1). Non può stupire questa differenza, stante il tradizionale ruolo di aggregazione e snodo affettivo che svolgono tradizionalmente le donne nelle famiglie italiane all’interno della famiglia e della rete di relazioni di riferimento.
Seguono le pressioni ad essere performanti in diversi aspetti della vita: lavoro, scuola, relazioni sociali, corpo. È un tema meno cruciale dei precedenti per entrambi i generi ma è uno di quelli in cui lo scarto fra i generi è maggiore (7.3 per le donne, 6,8 per gli uomini).
Infine, due aspetti meno importanti, soprattutto per gli uomini: l’esperienza del confronto-sconforto sui social e la minore propensione a trascorrere tempo fuori casa.
Concludendo, se le donne sono le protagoniste più convinte del balzo avanti che ci ha portato la rivoluzione digitale, d’altro canto il genere femminile è il più penalizzato dagli altri rivolgimenti di questo inizio secolo, ed in particolare l’impoverimento del lavoro che ha colpito specificamente il nostro paese, con il suo carico di precarietà, bassi salari e stress, come pure degli effetti perversi del digitale, sia in termini di indebolimento dei rapporti con i propri cari sia di ferite da eccesso di esposizione sui social. Non stupirà osservare che il raffreddamento delle relazioni sia più sentito dalle donne adulte (voto 7.5) e la frustrazione da confronto-sconforto colpisca maggiormente le giovani (voto 7.6)

Il bilancio dei cambiamenti

Se le donne sono il genere che ha ricevuto più vantaggi ma anche più svantaggi dalle trasformazioni del nuovo secolo, qual è il bilancio finale? La loro vita, rispetto a quella delle donne di vent’anni fa, è migliorata e peggiorata? E come sono andate invece le cose per gli uomini?
Il bilancio è sostanzialmente in pareggio, sia per gli uomini che per le donne, con un leggero vantaggio per le seconde (vedere Tavola 3). La differenza maggiore sta nella maggiore “fatica” che le donne hanno dovuto sopportare per affrontare le trasformazioni. Mentre quasi un terzo degli uomini (31%) può permettersi oggi di dire che la vita è rimasta sostanzialmente la stessa di prima della crisi del 2008, solo un quinto delle donne (20%) ha vissuto questa esperienza. Il rimanente 80% si divide a metà fra chi ha osservato un miglioramento e chi un peggioramento. Viceversa, la quota che ha registrato un progresso è più numerosa fra le donne, come pure la quota di chi, all’opposto, ha vissuto un arretramento delle condizioni di esistenza.

Il divario che negli ultimi due decenni sembra essere stato decisivo è più generazionale che di genere. Mentre la qualità della vita degli adulti di entrambi i generi è percepita come sostanzialmente stabile, quella dei giovani fino a 35 anni, sia ragazzi che ragazze, è peggiorata significativamente (uomini 16-35: -10, donne 16-35: -14). Il “generational gap” è probabilmente il maggio problema della società italiana.

Il quadro diventa ancora più chiaro se scendiamo ad un maggiore dettaglio demografico (vedere Tavola 4). Mentre in bilancio degli uomini migliora, di poco ma progressivamente, passando dalla giovane età quella matura (da -8 a +4), per le donne la tendenza non è lineare: nel passaggio dall’adolescenza alla prima età adulta (28-35 anni), ovvero con l’uscita di casa, il giudizio sulla qualità della vita rispetto al passato peggiora molto (scende da – 9 a -21), per poi risalire leggermente dai 35 ai 54 anni, e migliorare significativamente con nell’età anziana (oltre 55 anni: +21). Sono le donne giovani adulte (28-35) e adulte (36-54), insomma, a pagare il prezzo più alto ai cambiamenti degli ultimi decenni, mentre quelle più anziane (55+) a maturarne i benefici maggiori. Metà delle prime (48-49%) ritiene che la vita sia peggiore di quella delle proprie mamme, mentre circa metà delle seconde (52%) ritiene che sia migliorata. Le donne Baby Boomers coniugano la fine del lavoro, con l’alleggerimento degli impegni familiari conseguenti all’uscita di casa dei figli (quando escono) e con il miglioramento della qualità della vita abilitato dal digitale e dalle migliori condizioni di salute dell’età anziana rispetto a quella delle generazioni precedenti. Le ragazze Millennials (28-35 e 35-44) si trovano a cumulare i tradizionali svantaggi della condizione femminile nella società italiana (gap retributivo, cumulo di impegni lavorativi e familiari, ecc.) con quelli nuovi della condizione giovanile (precarietà, salari bassi, competizione, effetti negativi dei social, ecc.). In altre parole, il “gender gap” si somma al “generational gap” generando un carico pesante: vivere nella società italiana di oggi per le giovani donne è una sfida davvero impegnativa.

Le conseguenze sulla vita delle giovani donne

Come affrontano le giovani donne italiane questa situazione? Per capirlo abbiamo chiesto agli intervistati dell’indagine GenerationShip di raccontarci come sono cambiate le loro priorità esistenziali rispetto a quelle di un italiano di una generazione fa. Il punto di osservazione sono state le fasi del ciclo vitale di una persona, dalla giovinezza all’età matura: dal prendere un titolo studio, all’entrata nel mondo del lavoro, alla formazione di una nuova famiglia, ad avere dei figli, accompagnarli nella loro crescita, e così via fino a prendersi cura dei familiari anziani o malati. Quali attività del ciclo vitale hanno acquistato di importanza rispetto ad una generazione fa, quali hanno conservato la stessa importanza e quali, invece, l’hanno persa o addirittura non ne hanno più del tutto? Cominciamo con gli italiani nel loro insieme. La situazione è la seguente:

  • Sono diventate molto più importanti rispetto a 15-20 anni fa tutte le attività che sono propedeutiche al raggiungimento di una certa serenità economica: anzitutto prendere un titolo di studio per sé e, se si hanno figli, aiutarli a conseguirlo; quindi trovare un posto di lavoro stabile e sicuro, fare carriera, raggiungere un certo benessere.
  • Sono diventate un po’ più importanti le attività per mettere in sicurezza se stessi e il resto della famiglia: aiutare figli ad entrare nella vita adulta, prendersi cura dei familiari anziani e malati, risparmiare, investire
  • È diventato un po’ meno importante o non importante investire sulla proprietà della casa, e fare un mutuo per acquistarla.
  • Infine, è diventato molto meno importante o addirittura non è più un obiettivo, sposarsi/andare a convivere e fare dei figli.

In breve, siamo di fronte ad un radicale ripensamento delle priorità di vita degli italiani di una generazione fa. Il focus si sposta dalla creazione di nuove famiglie alla sicurezza e al benessere personale, eventualmente del partner e della famiglia di provenienza.

Se all’inizio del nuovo millennio, un italiano medio, alla fine del suo percorso di studi, considerava scontato cercarsi un lavoro per poter avviare una nuova famiglia ed avere dei figli, oggi non è più così: oltre la metà degli italiani (54-55%) considera che avere un compagno/una compagna di vita e dei figli sia diventato un obiettivo meno importante che in passato o addirittura nemmeno un obiettivo. Una quota importante continua a considerare la famiglia un obiettivo importante (45-46%) ma non è più un «a priori: deve armonizzarsi con le altre esigenze della vita, come l’istruzione prolungata, la precarietà e disoccupazione giovanile, le retribuzioni basse, le aspettative di autorealizzazione nel lavoro, e così via. Non sempre è possibile. Viene naturale pensare che il deterioramento della qualità di vita delle nuove generazioni sia arrivato ad un punto tale per cui molti giovani mettono in conto di abbandonare l’idea di fare dei figli o addirittura sposarsi/andare a convivere, perché non se lo possono più permettere.

Le donne, ed in particolare le giovani donne, sono l’epicentro della nuova visione (vedere Tavola 6). Il confronto con le opinioni degli uomini non lascia spazio a dubbi: le donne che ritengono oggi prioritario investire su di sé (lavoro, carriera, ecc.) e non prioritario avere una famiglia e dei figli sono molto più numerose degli uomini. Lo scarto è particolarmente forte nelle nuove generazioni, anche se resta ampio anche fra gli adulti.

Non possiamo non correlare questo orientamento al forte disagio esistenziale in cui si sono venute a trovare le giovani donne nell’attuale fase storica del nostro Paese. Proprio chi dovrebbe garantire la continuità riproduttiva del Paese, è in una condizione di incertezza economica e disagio esistenziale tali da dover rinunciare al progetto della famiglia e della maternità. Non è il capriccio di una generazione che non vuole sacrificarsi: anche le donne mature ritengono che si debba aumentare l’impegno per la carriera e la qualità della vita, e ridurre quello verso la costruzione di una nuova famiglia e avere figli. I giovani uomini procedono invece in continuità con il passato, pur confermando anch’essi la presa di distanza da matrimonio e figli.

La divergenza di visione fra uomini e donne peraltro non sta affatto rientrando. Confrontando le risposte della survey Generationship 2024 con quella del 2023 (vedere Tavola 7) osserviamo un fenomeno sorprendente: mentre le ragazze sono sempre più convinte del ribilanciamento delle priorità dalla nuova famiglia a se stesse (o al più alla coppia), nell’ultimo anno per i ragazzi si osserva una direzione di marcia opposta: quasi tutti in punti della tabella sono negativi, ad evidenziare una frenata rispetto all’intento di aumentare il focus sugli obiettivi più “individualistici”. Questa evoluzione inattesa potrebbe essere interpretata come un contraccolpo conservativo,
a fronte della spinta al cambiamento sostenuta soprattutto dalle donne.

D’altro canto, i segni di un crescente allontanamento di uomini e donne delle nuove generazioni rispetto ai valori è confermato da numerose ricerche, a livello nazionale ed internazionale. GenerationShip 2024 ci mostra che questa divergenza si estende anche agli obiettivi e alle priorità fondamentali della vita. Ciò accade perché in Italia Paese il vecchio Gender Gap (occupazione, precarietà, differenze salariali, e così via) non è affatto in fase di superamento, anzi, il declino economico del nostro Paese ne aggrava gli effetti colpendo maggiormente le donne. È un fenomeno che non è destinato ad essere riassorbito rapidamente e minaccia di diventare un fatto strutturale della nostra economia. Senza una ripartenza vigorosa dell’economia e la creazione di molto lavoro sicuro e ben retribuito, per uomini e donne, la ripresa della natalità resterà una pia illusione.

Primo laureato in Italia in data analysis applicata alle scienze umane, ha insegnato Tecniche di ricerca psicologica e analisi dei dati presso l’Università di Torino. Ha fondato e attualmente dirige Kkienn Connecting People and Companies, azienda specializzata nella ricerca e consulenza sul cliente. Come direttore di istituti di ricerca, vicepresidente di società di consulenza internazionali (Cap Gemini) e ricercatore ha collaborato con molte delle maggiori imprese del Paese. Scrive per il Corriere della Sera. Per il Gruppo Unipol cura la realizzazione di GenerationShip, l’osservatorio sulle nuove generazioni.