Copyright online: cosa cambia per chi crea contenuti

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Copyright online: cosa cambia per chi crea contenuti

Approvata la norma che obbligherà i giganti di Internet a retrocedere i proventi del copyright. Sarà un freno per l’innovazione?

«Se quel negozio di ciambelle laggiù regalasse a tutti i clienti una tazza di caffè, andrebbe di sicuro in bancarotta. Offrire i siti internet dei giornali gratuitamente è stato uno degli errori più stupidi». Parola di Reade Brower, ex editore americano che ha guidato numerosi giornali locali. E in effetti, proteggere una ciambella è molto più semplice che difendere un’idea online.

Anche il Parlamento Europeo se n’è accorto quando ha approvato la Direttiva Europea sul copyright, una riforma che ha cambiato radicalmente il modo in cui i contenuti digitali vengono tutelati. Un passo avanti per il diritto d’autore, ma anche un tema controverso, che si muove tra il bisogno di tutelare i creatori e la necessità di non frenare l’innovazione.

Cos’è il copyright sul web

Il copyright sul web rappresenta l’insieme dei diritti legali che tutelano i creatori di contenuti digitali – testi, immagini, video, musica – dall’uso improprio da parte di terzi. In pratica, quando si parla di copyright di un sito web o del copyright di una pagina web, si fa riferimento alla protezione della proprietà intellettuale applicata ai contenuti pubblicati online.

Questi diritti implicano che chi crea un’opera ha il controllo esclusivo sulla sua riproduzione, distribuzione e modifica. Tuttavia, il web è un territorio difficile da presidiare: la facilità di condivisione e copia dei contenuti rende la protezione del copyright più complessa rispetto ai media tradizionali.

Come funziona il diritto d’autore online

Il copyright su internet, o internet copyright, si basa su principi simili a quelli del diritto d’autore tradizionale, ma con alcune peculiarità. Testi, fotografie, brani musicali, video e software sono protetti, anche se pubblicati online. L’uso senza autorizzazione – anche solo una condivisione o una copia su un blog – può costituire una violazione.

Le piattaforme online come YouTube, Facebook e Google News sono sempre più chiamate a rispondere legalmente per l’uso dei contenuti protetti. Questo significa che non solo l’autore ha diritto a un compenso per l’utilizzo dell’opera, ma che anche i provider e le piattaforme devono vigilare su ciò che viene caricato e condiviso.

Le novità legislative sul copyright digitale

La Direttiva Barnier impone agli Stati membri dell’UE di rafforzare la tutela del copyright, soprattutto online. È stata una svolta importante: piattaforme e aggregatori diventano responsabili per i contenuti caricati dagli utenti e devono garantire il rispetto dei diritti d’autore.

Questa direttiva vuole contrastare quello che molti creatori percepiscono come un “esproprio” da parte dei colossi del web, che – pur non producendo contenuti – traggono profitto dagli investimenti altrui. L’obiettivo è restituire ai titolari dei diritti una parte del valore economico generato online.

Chi tutela i contenuti sul web?

La protezione dei contenuti online coinvolge una molteplicità di attori: autori, provider, utenti. I primi sono i legittimi detentori dei diritti, ma spesso non hanno gli strumenti per difendersi efficacemente. I provider sono le piattaforme, ora sempre più responsabili per la gestione dei contenuti. Gli utenti, infine, oscillano tra il ruolo di fruitori e quello di potenziali violatori del copyright.

Tuttavia, l’efficacia del sistema resta limitata: le violazioni sono difficili da individuare e le sanzioni raramente scoraggiano comportamenti scorretti. Il rischio è che il sistema diventi sbilanciato, con una protezione eccessiva che può anche ostacolare la circolazione della cultura.

Copyright e innovazioni

Mentre l’Europa punta a rafforzare il copyright, c’è chi mette in discussione la sua efficacia. L’economista Michele Boldrin, coautore con David Levine del saggio Abolire la proprietà intellettuale (Laterza, 2012), sottolinea come la tutela eccessiva del copyright possa rappresentare un ostacolo all’innovazione.

«Più che di concetto superato, preferisco parlare di monopolio ingiustificato», spiega a Changes Michele Boldrin, economista e docente alla Washington University in Saint Louis. «La giustificazione che tutti danno per la proprietà intellettuale è che sia un male minore. Concederebbe potere di monopolio, distorcendo la concorrenza, ma senza quel potere di monopolio, non ci sarebbero le innovazioni che beneficiano gli utenti. La ricerca empirica mette però in discussione questa affermazione. Vi sono ormai pochi dubbi: la proprietà intellettuale riduce l‘innovazione. Nei fatti i brevetti frenano l’innovazione, perché è la concorrenza che la incentiva», ragiona Michele Boldrin.

Anche se il copyright nasce per tutelare i creatori, il suo uso estremo può trasformarsi in una barriera all’accesso e alla diffusione della cultura. Per esempio, inseguire chi condivide un film per uso personale può diventare una sproporzionata perdita di risorse. «Sarebbe come mettere cinque poliziotti in ogni negozio per impedire che qualcuno porti via qualche mela», osserva Boldrin.

Certo, resta il timore che, senza copyright, le invenzioni vengano copiate e sfruttate da altri. Ma, come spiega l’economista, il primo che innova mantiene un vantaggio competitivo e spesso anche chi copia ha dovuto fare investimenti sostanziali. «L’imitazione crea concorrenza, e la concorrenza promuove l’innovazione».

La sua proposta non è abolire del tutto la proprietà intellettuale, ma ridurla progressivamente, accorciando la durata dei brevetti e limitandone l’applicazione. Guardando a settori come l’elettronica, la telefonia e l’automotive, si nota che l’innovazione continua anche dove la concorrenza è forte e l’imitazione diffusa.

La sfida del copyright sul web è trovare un equilibrio tra tutela dei diritti e promozione dell’innovazione. Le nuove regole europee segnano un cambio di passo importante, ma non risolvono tutti i nodi. La discussione resta aperta: proteggere sì, ma come? E fino a che punto? Perché difendere le “ciambelle digitali” è più complicato di quanto sembri.

*Articolo pubblicato il 17 settembre 2017 e sottoposto a successive revisioni

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Giornalista, lavora ad Agorà (Rai3). È autore di Play Digital (RaiPlay). Scrive per il Corriere della Sera, le testate RCS, Capital e Forbes. È autore di saggi per l'Enciclopedia Italiana Treccani e ha lavorato in qualità di regista e autore per Quante Storie (Rai3), Codice (Rai1), Tg La7 (La7), Virus (Rai2), Night Tabloid (Rai2), Il Posto Giusto (Rai3), Web Side Story (RaiPlay). È autore del libro: “Guida per umani all’intelligenza artificiale. Noi al centro di un mondo nuovo" (Giunti Editore, Firenze, 2019). Ha vinto i premi giornalistici "State Street Institutional Press Awards" e "MYllennium Award”. ​