Chi vuole vivere per sempre?

Society 3.0


Chi vuole vivere per sempre?

Il sogno dell’uomo è sempre stato quello di vivere per sempre. I progetti scientifici che mirano ad allungare la vita e conquistare l’immortalità.

Il sogno dell’uomo è sempre stato quello di vivere per sempre. I progetti scientifici che mirano ad allungare la vita e conquistare l’immortalità.

Dai tempi dell’epopea di Gilgamesh, il sogno dell’uomo è sempre stato uno: sconfiggere la morte e conquistare l’eterna giovinezza. Un’utopia, un obiettivo irraggiungibile e che proprio per questo è stato al centro di innumerevoli leggende, romanzi e film. Negli ultimi anni, però, qualcosa è cominciato a cambiare e, per la prima volta nella storia, si sono moltiplicati i progetti scientifici che mirano realmente a conquistare l’immortalità (o almeno allungare a dismisura la durata della vita).

La fonte della vita eterna, quindi, potrebbe non essere più solamente un miraggio. Tutto questo grazie alle innovazioni tecnologiche e ai progressi della medicina sperimentale. La strada da percorrere, però, è ancora molto lunga. Non solo: potrebbe anche rivelarsi un vicolo cieco che non conduce da nessuna parte; perché le sfide da superare sono enormi, ricche di incognite e si addentrano in un territorio che si avvicina pericolosamente alla fantascienza.

Se non bastasse, il prezzo da pagare per la conquista dell’immortalità potrebbe essere elevatissimo. Per esempio, potremmo dover rinunciare completamente al nostro corpo biologico. “Considerando quello che sappiamo sul cervello, esiste la possibilità di uploadare la mente di qualcuno in un computer?”, si è chiesto su Aeon il neuroscienziato di Princeton Michael Graziano. “La mia ipotesi è: sì, quasi sicuramente”. Caricare la nostra mente nel cloud, come se fosse un software, è insomma una delle strade che ci potrebbe permettere di conquistare la vita eterna. Questo, però, significherebbe rinunciare del tutto al nostro corpo e accettare di replicare la nostra mente all’interno di un computer.

Prima di porci domande esistenziali (avremmo ancora la nostra coscienza?), vale la pena di capire se davvero sia possibile digitalizzare la mente umana. Sulla carta, l’impresa è fattibile: il primo passo da compiere è quello di scannerizzare nel dettaglio il cervello umano – compresi tutti i 100 miliardi di neuroni e un milione di miliardi di sinapsi – e “catturare” così tutti i collegamenti e le interazioni che hanno vita nella nostra mente. In questo modo, potremo mappare dettagliatamente il funzionamento del cervello e poi ricrearlo per via informatica. Una volta completato il processo, avremo a disposizione un nostro avatar virtuale, dotato di tutti i nostri ricordi, le nostre conoscenze, emozioni, modo di pensare e quant’altro. Soprattutto, questo avatar – una copia di noi stessi – vivrà per sempre all’interno di un software.

Ma è davvero possibile? Per il momento, la risposta è una sola: no. Nonostante i progressi compiuti fino a oggi, i progetti scientifici più ambiziosi (come il Blue Brain Project finanziato dall’Unione Europea) sono riusciti a scannerizzare solo delle piccolissime sezioni di cervello animale. Inoltre, non c’è alcuna certezza che sia possibile ricreare digitalmente il modo in cui, per esempio, richiamiamo con la memoria un qualsiasi ricordo; perché i neuroni interagiscono tra di loro in modi sempre diversi e ancora in larga parte sconosciuti. «In teoria, è un’impresa possibile. Ma è estremamente difficile», ha spiegato alla BBC Randal Koeneneuroscienziato che dopo aver lavorato alla Boston University è diventato direttore scientifico di 2045 Initiative, società fondata dal miliardario russo Dmitry Itskov che punta a creare avatar digitali dell’uomo nel giro di 30 anni.

Possibile, quindi; perché si ritiene che il funzionamento del cervello sia comunque equiparabile a quello di una macchina e, una volta scoperti tutti i dettagli, non ci saranno altri ostacoli alla sua riproduzione. Allo stesso tempo, si tratta di un’impresa estremamente difficile: come possiamo riprodurre digitalmente qualcosa di cui sappiamo ancora pochissimo? E soprattutto, siamo sicuri di avere la potenza di calcolo che serve per riprodurre il funzionamento di un organo così complesso e così straordinariamente efficiente dal punto di vista energetico? Oggi, gli scienziati sono in grado di simulare circa l’1% dell’attività del cervello umano per non più di un secondo; ma per farlo devono sfruttare i supercomputer più potenti del mondo e utilizzarli per un tempo lunghissimo (il giapponese K, per esempio, ha impiegato 40 minuti).

Gli ostacoli informatici, quindi, sono immensi. Ma c’è di più: «Ridurre la complessità del cervello a un processo algoritmico è semplicemente impossibile», ha raccontato nel documentario Horizon: The Immortalist Miguel Nicolelisneuroscienziato della Duke University. «Non puoi trasformare in codice l’intuito, la bellezza estetica, l’amore e l’odio». Anche in questo caso, quindi, si scontrano due differenti scuole di pensiero: chi ritiene che tutto ciò che noi siamo dipenda solo dai meccanismi interni al cervello (e quindi sia almeno in teoria riproducibile) e chi invece pensa che nella mente umana e nella coscienza ci sia qualcosa di più profondo, di insondabile, di immateriale che non saremo mai in grado di riprodurre.

Elisir di lunga vita

Chiunque abbia ragione, una sola cosa è certa: la strada per ricreare digitalmente il cervello è appena cominciata. E nessuno sa dove ci condurrà o quanto tempo sarà necessario per vedere i primi risultati. Proprio per questa ragione, sempre più investimenti stanno piovendo sulle startup che si occupano di sviluppare medicinali che, più modestamente (e in tempi più rapidi), potrebbero permetterci di allungare a dismisura la durata della vita, permettendoci inoltre di continuare ad abitare il nostro corpo umano mantenendolo in buona salute.

Ma quanto più a lungo, esattamente? Bill Marisfondatore della società Calico (finanziata da Google), prevede che sia possibile arrivare anche a 500 anni. Per raggiungere questo obiettivo, Maris e il suo team stanno conducendo un colossale studio sulla talpa senza pelo (animale che vive dieci volte più a lungo dei suoi parenti roditori), in cerca di un biomarcatore dell’invecchiamento. Altri, come la startup Unity Technology (che ha ricevuto 127 milioni di dollari di finanziamenti da Jeff Bezos, fondatore di Amazon) stanno sviluppando medicinali in grado di eliminare le cellule morte all’interno del nostro corpo; in questo modo, potremmo allungare la vita umana, in media, del 35%.

Due ricercatori delle università di Mosca e di Stoccolma hanno invece pubblicato uno studio che mostra come un antiossidante artificiale da loro sviluppato (chiamato SkQ1) sarebbe in grado di sconfiggere l’invecchiamento prendendo direttamente di mira i mitocondri, uno dei responsabili principali del decadimento dell’organismo. In tutti e tre questi casi, l’obiettivo è ricercare una causa unica dell’invecchiamento e sconfiggerla con l’utilizzo di medicinali di precisione. E se invece non fosse questa la strada migliore?

«Dobbiamo seguire la logica del divide et impera», ha spiegato al New Yorker Aubrey De Greyscienziato capo della SENS Research Foundation. «L’idea che ci sia una causa unica alla base dell’invecchiamento ci sta portando fuori strada. Quello che avviene, in realtà, è che a un certo punto tutte le componenti del corpo iniziano a cedere contemporaneamente, perché sono tutte collegate». L’esempio che fa De Grey è quello di un’automobile: se non ci occupiamo della sua manutenzione, a un certo punto la macchina smette di funzionare. Ma se giorno dopo giorno ci prendiamo cura di lei, cambiamo l’olio, aggiustiamo il motore, sostituiamo le pastiglie dei freni, sistemiamo la carrozzeria e tutto il resto, ecco che un’auto può continuare a funzionare molto più a lungo.

Nel caso dell’essere umano, quindi, bisognerebbe sostituire le cellule che hanno smesso di dividersi, rimuovere quelle che sono diventate tossiche, evitare le conseguenze delle mutazioni del DNA, ringiovanire i tessuti e tutta una serie di interventi mirati che, proprio come nel caso della macchina, ci permetteranno di continuare a vivere per un tempo lunghissimo. Secondo De Grey, la sua strategia ci permetterà a breve di guadagnare una trentina di anni. Non molto, rispetto al sogno dell’immortalità. Ma lo scienziato capo di SENS ha elaborato una sua teoria (chiamata longevity escape velocity), secondo la quale, nel periodo di vita che nel frattempo abbiamo conquistato, saranno scoperte nuove cure che ci permetteranno di allungare ulteriormente la nostra durata su questo pianeta.

L’eterna giovinezza, in poche parole, si potrebbe conquistare un decennio per volta. Ma quali sarebbero le conseguenze sociali se un sogno di questo tipo si concretizzasse? «L’idea che queste tecnologie possano diventare reali è molto inquietante, perché l’implicazione ovvia è che non saranno disponibili per tutti e che non faranno altro che esacerbare una disuguaglianza che già oggi rappresenta uno dei problemi più gravi della nostra società», ha spiegato Mark O’Connell, autore di Essere una Macchina (Adelphi edizioni). «Quanto può essere costosa una terapia genetica per l’allungamento della vita? Non penso che sia una prospettiva realistica; ma se ne accettiamo le premesse, allora diventa una prospettiva distopica, che porterà giovamento solo all’1% di super ricchi».

I pericoli della longevità

Le controindicazioni, da un punto di vista sociale, potrebbero insomma essere molto gravi: tra ricchi e poveri ci saranno sempre più differenze in termini di salute e longevità, mentre la popolazione terrestre non potrà che aumentare drasticamente, con un conseguente insostenibile consumo di risorse. Ma sarebbe anche la vita dei singoli a cambiare drasticamente: come affrontereste la vita a 35 anni se aveste davvero la prospettiva di viverne 500 invece che, poniamo, 80? «Probabilmente diventeremo le persone più ansiose della storia», scrive lo storico Yuval Noah Harari in Homo Deus (Bompiani). «Ogni giorno noi mortali ci assumiamo dei rischi perché sappiamo che tanto la nostra vita è destinata a finire. Così, andiamo a fare trekking sull’Himalaya, nuotiamo nel mare, attraversiamo la strada e mangiamo fuori. Ma se pensaste di poter vivere per sempre, sareste dei pazzi ad accettare degli azzardi del genere».

In definitiva, se un giorno diventerà possibile conquistare la vera e propria immortalità, sarà perché avremo scoperto come replicare artificialmente il cervello e avremo quindi ottenuto la vita eterne a scapito della nostra stessa umanità. In verità, non saremmo altro che copie di noi stessi: software senzienti. Se invece ha ragione chi segue la via medica, potremo allungare a dismisura la durata della nostra vita. In questo caso, stando a quanto notato da Harari, il sogno della (quasi) immortalità avrebbe il prezzo da pagare di una vita mortalmente noiosa.​​

​Milanese, classe 1982, si occupa del rapporto tra nuove tecnologie, politica e società. Scrive per La Stampa, Wired, Il Tascabile, Esquire e altri. Nel 2017 ha pubblicato “Rivoluzione Artificiale: l’uomo nell’epoca delle macchine intelligenti” per Informant Edizioni.