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Cosa c’è dietro l’esplosione della criptoarte e delle opere digitali cristallizzate. Intanto, la giurisprudenza si chiede se la vendita di un’opera invisibile si possa configurare come un illecito.
Una casa d’aste con quasi 250 anni di storia come Christie’s, nel corso del 2021, ha venduto opere d’arte cristallizzate in Non fungibile token (Nft) per 150 milioni di dollari. E il caso di cui tutti parlano è l’artista Beeple (il 40enne americano Mike Winkelmann), che proprio da Christie’s, l’11 marzo 2021, ha visto battere la sua opera di criptoarte Everydays-The first 5000 days (un file che rappresenta un enorme collage di immagini) alla strabiliante cifra di 69 milioni di dollari (partendo da una base d’asta di 100 dollari), toccando poi i 29,8 milioni di dollari, in novembre, con Human One (un file che rappresenta una sorta di grande teca con quattro schermi interconnessi e un astronauta che cammina attraverso paesaggi in continua evoluzione). Sempre un’opera di Beeple, l’animazione digitale Crossroads, che un acquirente aveva comprato nell’ottobre 2020 a 66 mila dollari, è stata rivenduta in marzo per 6,6 milioni di dollari.
Numeri da capogiro, che potrebbero dare alla testa. Ma per capire bene l’esplosione della criptoarte e delle opere d’arte digitali cristallizzate in Nft è interessante dare una occhiata al contesto in cui tutto ciò sta avvenendo. Da un lato, oltre alle tradizionali forme espressive della pittura e della scultura, nelle mostre osserviamo da molti anni opere in video arte, arte digitale, tutte modalità che però, nella pratica quotidiana, fanno fatica a trovare un mercato e ad assicurare una fonte di reddito sicura per gli artisti.
Con la nascita delle blockchain e delle criptomonete, la cultura della decentralizzazione e della dematerializzazione ha creato un contesto perfetto per dematerializzare pure l’arte.
Sono arrivate piattaforme specializzate nella vendita di Nft:
Allora, come spiega l’artista Federico Clapis, la digital art, il 3D modeling, l’animazione, ovvero tutta roba che nei mercati di arte tradizionale aveva poca commercializzazione e non monetizzava molto, ha trovato una nuova strada. Al momento i collezionisti di criptoarte sono persone già immerse nella blockchain, nel processo di decentralizzazione, smanettoni che magari hanno fatto i soldi con le criptovalute, in grado di capire il valore di una proprietà digitale. Hanno una cultura digitale, conservano il token, lo possono rivendere nel tempo, a volte lo considerano un mero investimento su cui fare trading, altre, invece, si affezionano all’opera in Nft e la espongono nelle gallerie d’arte o negli spazi che si stanno già costruendo nei mondi virtuali. Mondi dove stanno comprando terreni, appezzamenti, tutto attraverso blockchain e criptovalute, e in cui si fanno vanto dei loro Nft d’arte.
Insomma, ci vorrà ancora qualche anno per arrivare al mainstream, ma intanto le opere d’arte in Nft non sono solo dei file che nessuno può vedere: il metaverso inizia a crescere e ci sono già milioni di abitanti cui mostrare i propri token inalterabili, insostituibili, unici.
Nella pratica, un artista come fa a proporsi nella criptoarte? Clapis, per esempio, continua a realizzare opere fisiche, nello specifico sculture. Tuttavia, da qualche anno, si interessa di arte digitale e nel 2021 ha venduto tutti i suoi Nft, toccando valutazioni fino a 70 mila dollari a pezzo. «Diciamo che un artista sviluppa opere con modeling, animazione, videoarte, e così via» ha detto Clapis. «L’opera deve stare su un file digitale che pesa poco, sotto i 50 megabyte. Paghi una fee alla piattaforma che scegli, nel mio caso SuperRare, carichi il file sulla piattaforma che in automatico ti tokenizza il file, trasformandolo in un Nft. La piattaforma ti offre un supporto di comunicazione, per fare conoscere sia l’artista, sia l’opera. Poi pure io uso altri canali di comunicazione, in particolare Telegram, Reddit, Discord, Twitter. Non faccio nulla su Instagram e Facebook».
Ovviamente, non bisogna farsi prendere troppo dall’entusiasmo, perché dietro l’universo dell’arte in Nft si possono nascondere anche pratiche di evasione fiscale e di riciclaggio. Per esempio, alcuni giuristi iniziano a porsi la questione se la vendita di un’opera invisibile non rischi di configurare la fattispecie di illecito prevista e sanzionata dall’art. 8 del D.Lgs. 74/2000: in altre parole, se la vendita di un’opera d’arte invisibile non configuri un’operazione inesistente e, quindi, se il documento di fattura emesso debba considerarsi falso, generando sia conseguenze sanzionatorie in tema tributario, sia ricadute in termini di riciclaggio.
I processi di decentralizzazione rispetto al controllo delle autorità finanziarie e di disintermediazione rispetto al settore bancario, oltre che del mercato, creano quindi i presupposti per operazioni di riciclaggio su larga scala. Più volte intervenuto sul tema, Marco Camisani Calzorali, docente, consulente, digital evangelist e volto noto di Striscia la notizia, racconta infatti che i cybercriminali, che si fanno pagare in criptovalute, «si ritrovano per esempio con un mucchio di bitcoin che non possono trasformare facilmente in dollari perché il fisco del loro paese chiederebbe la provenienza di quei soldi». Per ripulire, poniamo, 10 milioni di dollari in bitcoin, ecco le opere d’arte in Nft: «Ufficialmente il criminale compra un’opera d’arte digitale in Nft a 1000 euro. E poi, sai com’è il mercato dell’arte, impalpabile, imprevedibile, ecco che di colpo un anonimo gliela ricompra a 10 milioni di euro pagati in Bitcoin da un portafoglio anonimo. Alla fine, è sempre lui, il criminale, che se lo è in qualche modo venduto. Ma a questo punto i soldi sono puliti, perché quando la banca o il fisco gli chiederà qualcosa, lui dirà che sono frutto della vendita, esentasse, di un’opera digitale a un estimatore anonimo. Che poi in realtà è sempre lui. Ma non è dimostrabile».