Terremoti, la previsione rimane una chimera

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Terremoti, la previsione rimane una chimera

Scienziati di tutto il mondo cercano il modo di prevedere i terremoti, ancora invano. Mario Tozzi, geologo del Cnr, ci parla dei principali ambiti di studio ma intanto insiste su un’accorta politica territoriale per limitare danni e vittime.

Scienziati di tutto il mondo cercano il modo di prevedere i terremoti, ancora invano. Mario Tozzi, geologo del Cnr, ci parla dei principali ambiti di studio ma intanto insiste su un’accorta politica territoriale per limitare danni e vittime.

È uno dei sogni rimasti nel cassetto dell’umanità, da quando l’uomo ha iniziato a indagare i fatti della natura: prevedere i terremoti, fenomeni da sempre in grado di risvegliare ataviche paure e di dimostrare la straordinaria potenza della Terra. Ancora oggi, infatti, nel lungo elenco di eventi capaci di sconvolgere, spesso in maniera drammatica, l’esistenza di una comunità, dalle frane alle alluvioni, passando per gli tsunami e le eruzioni vulcaniche, soltanto i sismi rientrano nella categoria dell’imponderabile.

Anche se la ricerca ha compiuto degli indiscutibili passi in avanti, riuscendo a spiegare la causa scatenante di un terremoto, purtroppo non si è ancora dimostrata in grado di sfruttare le informazioni provenienti da quelli che in gergo sono chiamati “precursori”: con questo termine si indicano i fenomeni che precedono un evento tellurico e che, questa la speranza degli scienziati, potrebbero aiutarci a conoscere con qualche anticipo il momento in cui il sisma si scatenerà, dando la possibilità di lanciare un allarme in tempo utile per mettere in salvo la popolazione.

Proprio per questo motivo in tutto il mondo gli esperti continuano a condurre studi e sperimentazioni, anche se per raggiungere velocemente un traguardo tangibile sarebbero necessari investimenti importanti. Soltanto in questo modo si può sperare di replicare l’unico successo in termini di previsione di un evento sismico. Bisogna ritornare indietro al 1975 quando la città cinese di Haicheng è colpita da un forte terremoto di magnitudo 7.3 della scala Richter che, però, causa un migliaio di vittime su una popolazione di oltre 150mila persone. Il merito è delle autorità che riescono a evacuare in tempo quasi tutti gli abitanti. Ma si tratta di una vera previsione o di un caso fortunato?

Mario Tozzigeologo e volto noto del piccolo schermo, ospite e presentatore di numerose trasmissioni di divulgazione scientifica, oltre che primo ricercatore del Cnr, ricorda che proprio in quegli anni la Cina è impegnata in un programma di studi molto ambizioso: «Il progetto che si sviluppa negli anni Settanta vede coinvolti l’accademia delle scienze e i principali dipartimenti di geofisica del paese con l’obiettivo di riuscire a prevedere in tempo un sisma distruttivo. Il caso di Haicheng viene di solito ricordato come unico esempio di ‘previsione’ di un terremoto ma di fatto il dibattito è ancora oggi aperto. Sembra difficile, infatti, sostenere l’ipotesi di una reale previsione soprattutto a causa di evidenti segnali premonitori osservati giorni prima: vorrei ricordare l’apertura di grandi fenditure nel terreno, il prosciugamento delle sorgenti, i fortissimi boati provenienti dal sottosuolo».

Gli scienziati, quindi, sono ancora al lavoro, impegnandosi su diversi fronti. «L’attenzione degli esperti – continua Tozzi – è concentrata per esempio sull’alterazione di velocità delle onde sismiche e sulle sequenze sismiche antecedenti ai terremoti, così come sul monitoraggio del radon: sembra infatti che questo gas, presente negli strati più profondi della crosta terrestre, sia rilasciato in quantità piuttosto consistenti prima del sisma anche se non si sa con precisione in quale momento e in che misura. Studiarlo, però, potrebbe fornirci degli elementi molto utili».

Differente il caso dell’osservazione del comportamento animale, forse il più antico “precursore” di terremoti indagato dall’uomo. Del resto un documento risalente a oltre duemila anni fa, parla della fuga di topi, donnole e serpenti prima di un devastante sisma che rade al suolo una vasta area della Grecia antica. Anche oggi sono sempre numerose le testimonianze di comportamenti anomali da parte di animali domestici e selvatici prima di un fenomeno sismico tanto che alcuni paesi, fra cui il Giappone, stanno investendo cifre ingenti nello studio di queste “stranezze”. Finora, però, non si registrano risultati scientificamente rilevanti.  

«Il problema è che l’osservazione del comportamento animale è difficile da sistematizzare – continua Tozzi -. Sappiamo che alcuni animali come i cani e i gatti hanno una sensibilità particolarmente sviluppata e che sono in grado per esempio di percepire distintamente, a differenza di quanto avviene per l’essere umano, gli ultrasuoni. Ma di solito i comportamenti bizzarri messi in atto da alcuni animali precedono di poco lo scatenarsi dell’evento sismico e quindi risultano inutili ai fini dell’evacuazione e della messa in sicurezza degli abitanti».

​Italia a rischio terremoti da Nord a Sud​​


In Italia, Paese che nella sua storia ha vissuto eventi sismici di forte intensità, alcuni dei quali particolarmente distruttivi (si pensi al terremoto di Messina e Reggio Calabria nel 1908, del Belìce nel 1968, del Friuli del 1976 fino a quello più recente del 2016 nelle Marche, Abruzzo, Lazio e Umbria) il Cnr studia da anni in particolare la micro-fratturazione delle rocce, ma non solo. «Diversi istituti, fra cui anche quello di Geologia ambientale e Geoingegneria in cui lavoro, sono impegnati proprio in questo campo. L’attività scientifica prevalente riguarda, però, lo studio dei vecchi terremoti. La paleo-sismicità rappresenta un campo di grande interesse perché è in grado di fornirci elementi importanti su quello che può succedere in una determinata area sismica. E di zone a rischio di certo non mancano: si va dalla Garfagnana,  giù lungo la dorsale appenninica, fino all’area di Catania,  poi il Gargano, il Friuli e una parte della Pianura padana. All’estero, in California, i colleghi statunitensi stanno monitorando la faglia di Sant’Andrea, responsabile di terremoti molto più intensi di quelli registrati nel nostro Paese, osservando la quantità di energia elastica accumulata e cercando di individuare il momento in cui un determinato livello potrebbe presagire lo scatenarsi di un evento sismico».

In attesa che la scienza riesca a trovare il modo per allertare la popolazione fornendo un margine temporale abbastanza ampio per porla al riparo dalle conseguenze di un terremoto, la “memoria” e un’accorta politica territoriale rimangono gli unici strumenti in grado di limitare gli effetti distruttivi di un sisma: «Bisogna non solo monitorare gli edifici pubblici e verificare se sarebbero in grado di resistere a un evento di questo tipo – conclude Tozzi – ma anche diffondere fra la popolazione una più profonda cultura della prevenzione. Ognuno di noi dovrebbe essere a conoscenza di poche fondamentali informazioni sulla propria abitazione (quando è stata costruita, con quali materiali, su quale tipo di terreno) e prendere le corrette precauzioni. Già questo approccio farebbe la differenza».

Giornalista, vivo di e per la scrittura da quattordici anni. Cresco nelle fumose redazioni di cronaca che abbandono per il digitale dove perseguo, però, lo stesso obiettivo: trasformare idee in contenuti.​