Perché la sigla ESG non piace più

Environment


Perché la sigla ESG non piace più

Mentre in America cresce l’opposizione agli investimenti responsabili verso clima, sociale e governance, l'Europa offre un esempio di progresso ed impegno. Ma è essenziale rimanere vigili ed affrontare le sfide in corso per garantire che l’impegno di investitori ed aziende contribuisca a costruire un futuro più green ed equo per tutti.

In America è in atto una guerra culturale nei confronti della sigla ESG che è sostenuta dal Partito repubblicano. Si contesta questa strategia di investimento promossa dalla Net Zero Banking Alliance, sostenuta dalle Nazioni Unite. Una delle ragioni è che il termine usato per riferirsi agli investimenti sostenibili è stato politicizzato e strumentalizzato perdendo il suo valore iniziale di acronimo che indica gli ambiti entro cui muoversi (Environment, Social, Governance).Il risultato? Gli asset manager hanno cominciato sganciarsi dagli ESG. Non a caso BlackRock, il principale asset manager mondiale, ha scelto di non usare più la sigla ESG e di mettere tutti gli investimenti sostenibili sotto il cappello più generico di transition investing. E secondo quanto riporta Morningstar, le società di gestione statunitensi hanno sofferto da gennaio a marzo 2024 il maggior deflusso trimestrale dai fondi ESG che la storia ricordi (pari a 8,8 miliardi di dollari). Perché la sigla ESG non piace più? E che peso può avere questo dibattito sul futuro degli investimenti sostenibili?

È una questione di libertà di pensiero e di un dibattito rispettoso, privilegi dei quali possiamo godere vivendo in una democrazia. Il pensiero divergente consiste nell’adozione di un approccio critico rispetto al consensus prevalente, non esitando nell’esprimere un punto di vista contrarian, specialmente quando si tratta di questioni considerate sacre come l’ESG. In fondo, si tratta di promuovere libertà di pensiero ed un dibattito rispettoso.

L’approccio attuale all’ESG cerca di creare un mondo ideale di virtù ed armonia, ma si scontra con la dura realtà della violenza, del caos e dell’avidità presenti nel mondo reale. È mia convinzione che i criteri ESG così come sono formulati, saranno alla fine superati dai propri dogmi e dalla loro limitata adattabilità alla complessità della realtà.

Considero tre esempi concreti che evidenziano questa inadeguatezza.

  1. Energia pulita: l’obiettivo del net zero e dell’energia rinnovabile è encomiabile, ma la recente crisi in Ucraina ha dimostrato la fragilità di questa visione. La necessità di mantenere le luci e riscaldamento accesi e gli ospedali operativi, ha portato a scelte difficili, come il ricorso a fornitori di gas naturale autocratici o il riavvio di centrali a carbone per evitare il collasso economico.
  2. Difesa: proporre il divieto delle armi ed il taglio dei finanziamenti ai produttori di armi può sembrare nobile, ma gli eventi recenti hanno dimostrato che la sicurezza è essenziale per la libertà. L’invasione russa in Ucraina ha messo in discussione la credibilità della NATO ed ha portato ad una riconsiderazione delle politiche di difesa.
  3. Settori strategici: l’attenzione sull’energia pulita e la tecnologia green spesso ignora la dipendenza da fornitori esterni, come la Cina, che controlla gran parte della catena di approvvigionamento di settori chiave (brevetti, materie prime ecc.). Questo ha reso l’Occidente economicamente e strategicamente vulnerabile.

Le ideologie irrazionali possono prosperare solo fino ad un certo punto, ma quando si scontrano con l’istinto di autoconservazione, sono destinate al fallimento. È pertanto cruciale che l’ESG si riveda rapidamente prima di essere completamente abbandonato come un’idea anacronistica. Le buone intenzioni non sono sempre sufficienti per guidare politiche efficaci in un mondo così complesso, che richiede soluzioni articolate e pragmatiche.

In Europa, gli investimenti ESG hanno registrato un significativo aumento negli ultimi anni, supportati da iniziative legislative e normative (a mio avviso troppe!), volte a promuovere la sostenibilità ambientale e sociale. Tuttavia, alcuni critici sostengono che nonostante i progressi normativi, vi sia ancora una mancanza di chiarezza e standardizzazione nella valutazione e divulgazione delle informazioni ESG, il che potrebbe compromettere l’efficacia degli investimenti sostenibili.

In conclusione, mentre negli Stati Uniti si registra una crescente opposizione agli investimenti ESG, l’Europa offre un esempio di progresso e impegno verso una sostenibilità più integrata e trasparente. È tuttavia essenziale rimanere vigili e affrontare le sfide in corso per garantire che gli investimenti ESG siano genuinamente in linea con gli obiettivi di sostenibilità e contribuiscano a costruire un futuro più green ed equo per tutti.

Ha iniziato la sua carriera nel Gruppo La Fondiaria Assicurazioni, inizialmente in Milano Assicurazioni dove ha ricoperto i ruoli di Responsabile della Tesoreria e successivamente in Finanza di Gruppo quale Responsabile Corporate Finance. Dal 2002 ha continuato la sua carriera, a seguito della fusione, nel Gruppo Fondiaria-Sai, sempre come Responsabile Corporate Finance. Con la fusione nel Gruppo Unipol, nel 2013 diventa Responsabile Investimenti Alternativi, Innovazione Finanziaria & SRI. Dal 2019 ricopre il ruolo di Direttore Finanza di UnipolSai Assicurazioni e Unipol Gruppo.