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L'acronimo è ESG. Ma non riguarda i fattori ambientali, sociali e di governance a cui investitori e imprese dichiarano di essere sempre più attenti. In questo caso indica qualcosa di infinitamente più complesso: Earth System Governance. Cos’è e come funziona.
Dovremo prendere confidenza con un’altra sigla ESG che sta ad indicare Earth System Governance l’espressione con cui si indica lo studio di come i sistemi di governance planetaria (istituzioni, regolamentazioni, soluzioni politiche, a tutti i livelli da quello locale a quello globale) vanno modificati, adattati, trasformati per essere capaci di affrontare le sfide poste dai cambiamenti ambientali indotti dall’uomo sul pianeta. Un radicale salto di paradigma, insomma, nel modo di governare le questioni ambientali su scala globale, dato che quello utilizzato finora non ha evidentemente funzionato.
Il concetto di ESG si inserisce nel vastissimo filone di studi noto come Earth System Science (scienza del sistema terra) che ha mosso i primi passi verso fine anni ’70 e ha vissuto una tappa fondamentale nel 2001 con la Dichiarazione di Amsterdam sul Global Change. Dove si affermava che «le attività umane stanno significativamente influenzando l’ambiente terrestre in molti modi» e che «un nuovo sistema di scienza ambientale globale è necessario». A introdurre specificamente il concetto di ESG fu a metà anni 2000 uno studio del professor Frank Biermann, della Libera Università di Amsterdam. Creando un ponte tra scienze della natura e dell’ambiente e scienze sociali, il professore introduceva il concetto di ESG come un nuovo fenomeno sociale, un programma politico e un tema trasversale di ricerca nell’ambito del cambiamento ambientale globale. E definiva la governance del sistema terrestre come l’insieme dei sistemi di regole formali e informali e delle reti di attori, a tutti i livelli della società umana, istituiti per guidare l’evoluzione dei sistemi umani e naturali in un modo da garantire lo sviluppo sostenibile della società. Biermann nello studio identificava anche le cinque principali sfide e aree di ricerca (le cinque “A”) che stanno al cuore della governance del sistema terra: l’architettura complessiva, il coinvolgimento di attori al di là dei governi e delle agenzie statali (ad es. organizzazioni della società civile, imprese), la capacità di adattamento del sistema, l’accountability, i meccanismi di allocazione.
Nel 2008 fu lo stesso Biermann, nel quadro del programma di ricerca internazionale IHDP (International Human Dimensions Programme on Global Environmental Change), a lanciare l’Earth System Governance Project (ESG Project), l’iniziativa più avanzata al mondo nello sviluppo della riflessione sulla governance del sistema terra. ESG Project, di cui Biermann fu il primo presidente rimanendo in carica fino al 2018, è una vasta rete di ricerca globale cresciuta fino a contare oggi centinaia di ricercatori da tutto il mondo, con centri presenti in ogni continente. In vista di Rio+20, la conferenza Onu sullo sviluppo sostenibile del giugno 2012 (a vent’anni dallo storico Summit della Terra svoltosi sempre a Rio de Janeiro nel 1992), ESG Project aveva già indicato una serie di aree di miglioramento per la governance planetaria delle questioni ambientali, fra cui: la revisione dei trattati internazionali sull’ambiente esistenti e la definizione di nuovi, il rafforzamento delle relazioni tra quei trattati e quelli vertenti su materie economiche, la riforma delle agenzie internazionali attive sui temi ambientali a cominciare da quelle dell’ONU, la necessità di integrare nella governance ambientale considerazioni legate a giustizia ed equità. Purtroppo, in un paper pubblicato alla fine di quello stesso anno, Biermann aveva bollato Rio+20 come un’occasione persa.
Uno dei momenti in cui l’attività di ESG Project, che ha sede presso l’Università di Utrecht, ha maggiore visibilità è la Conferenza Annuale, ospitata negli anni da università partner di mezzo mondo, da Amsterdam dove si svolsero le prime edizioni a Tokyo, da Nairobi a Bratislava. Nel 2022 si è svolta a Toronto e nella plenaria d’apertura il keynote speech è stato affidato a Tzeporah Berman, presidente del #FossilfuelTreaty, l’iniziativa per un Trattato Internazionale di Non-Proliferazione delle fonti fossili di energia sostenuto ufficialmente dalla Earth System Governance Foundation. Quest’anno la Conferenza si svolgerà a fine ottobre presso la Radboud University di Nijmegen, in Olanda. E l’appuntamento cadrà giusto a metà del decennio a cui si riferiva lo Science and Implementation Plan varato da ESG Project nel 2018. Un piano che definiva appunto l’agenda di lavoro per i dieci anni successivi, identificando da una parte cinque obiettivi prioritari, o “lenti”, per la ricerca sulla governance del sistema terra (adattività & riflessività, anticipazione & immaginazione, struttura & azione, democrazia e potere, giustizia & distribuzione); dall’altra, quattro meta-condizioni che definiscono il contesto in cui tale ricerca avrebbe dovuto svilupparsi (antropocene, diversità, disuguaglianze, cambiamenti trasformativi). A Nijmegen sarà aggiunto un ulteriore percorso di approfondimento, una sesta “lente” (che dà anche il titolo alla Conferenza), focalizzata sulla necessità di unire scienza e società per una trasformazione sostenibile.
Il paradigma ESG implica com’è evidente un approccio olistico alle questioni ambientali, riconoscendo la loro grande varietà ed estrema complessità, insieme alla profondità delle loro interrelazioni. In ciò emergono importanti affinità con altri approcci che negli anni sono stati sviluppati per provare a definire modelli che consentano di affrontare e gestire le molteplici e concatenate crisi che l’umanità si trova ad affrontare. Del resto lo stesso ESG Project è poi confluito, diventandone un elemento centrale, nell’ancora più vasto Future Earth, una rete di network di ricerca globale per lo sviluppo di conoscenze scientifiche utili ad accelerare la trasformazione verso un mondo più sostenibile.
Fra questi altri approcci s’inseriscono le proposte su cui da anni lavora il Club di Roma, il prestigioso ente che nel 1972 pubblicò il celeberrimo The Limits to Growth (maldestramente tradotto in italiano in “I limiti dello sviluppo”). Un rapporto che per la prima volta in un modo così plateale, e scientificamente solido, sfatava il mito della crescita indefinita puntando il faro proprio sullo studio delle interrelazioni fra i fattori di cui essa si alimenta: aumento della popolazione, della produzione di cibo, dell’utilizzo di risorse non rinnovabili, della produzione industriale, del deterioramento dell’ambiente (inquinamento).
Già nel Planetary Emergency Plan, pubblicato nel 2019 (da cui ha preso vita l’iniziativa della Planetary Emergency Partnership), il Club di Roma aveva fornito una serie di indicazioni, a beneficio in primo luogo dei decisori politici, su come affrontare le sfide profondamente intrecciate della crisi climatica, della perdita di biodiversità, della salute e benessere umani. Anche qui sottolineando la necessità di approcciarle con una visione olistica, trasformativa e rigenerativa. Nel 2022, poi, a cinquant’anni da The Limits to Growth, il Club di Roma ha pubblicato Earth for All. A Survival Guide for Humanity (tradotto nella versione italiana, stavolta correttamente, in “Una terra per tutti”). Un libro, poi sviluppatosi anche come campagna di sensibilizzazione (dall’1-15 novembre 2023 si terrà su scala globale la Earth4All action week), che espone i risultati di un ampio lavoro di ricerca, frutto della collaborazione di scienziati di varie discipline ed economisti, che ha identificato le cinque inversioni di rotta urgentemente necessarie per affrontare le crisi esistenziali che ci minacciano e dare forma, appunto, a un modo vivibile e prospero per tutti: riduzione della povertà, riduzione delle disuguaglianze, empowerment (delle donne e di tutti i gruppi sociali svantaggiati), trasformazione del sistema alimentare, trasformazione dei sistemi energetici.
Il progetto Earth4All ha potuto contare sul contributo della Transformational Economics Commission, un gruppo di studiosi internazionali di chiara fama che hanno lavorato per trovare un terreno comune fra alcuni dei principali nuovi paradigmi economici affermatisi negli ultimi anni, dall’economia circolare alla decrescita, dall’economia del benessere alla sharing economy. Della Commissione hanno fatto parte alcuni dei maggiori esponenti di questi nuovi paradigmi, fra cui l’economista Kate Raworth, ideatrice della doughnut economics (l’economia della ciambella), e Johan Rockström, direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research, che nel 2009 guidò un gruppo di una trentina di scienziati internazionali nella definizione del fondamentale concetto dei planetary boundaries: i nove confini planetari entro i quali sono salvaguardati, in una sorta di “spazio protetto”, i processi fondamentali che garantiscono la stabilità e resilienza del sistema terra e permettono all’umanità di vivere e prosperare. E che invece l’attuale modello di sviluppo sta mettendo sempre più a rischio, come anche i recenti report della Earth Commission (di cui ancora Rockström fa parte) sottolineano in modo allarmante.
Nel giugno del 2015 a stimolare ulteriormente, e grandemente, la riflessione a livello globale su questi temi, anche in vista della COP21 che si sarebbe tenuta di lì a pochi mesi e poi conclusasi con lo storico Accordo di Parigi, arrivò l’enciclica Laudato Si’, in cui Papa Francesco spiegava al mondo l’approccio dell’ecologia integrale: «Dal momento che tutto è intimamente relazionato e che gli attuali problemi richiedono uno sguardo che tenga conto di tutti gli aspetti della crisi mondiale, propongo di soffermarci adesso a riflettere sui diversi elementi di una ecologia integrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali» (par. 137). Di recente il Pontefice ha annunciato che è in arrivo un aggiornamento della Laudato Si’. Sarà in forma non di enciclica ma di Lettera e affronterà in particolare, anche in vista della COP28 di fine 2023, il tema della crisi climatica e dei suoi impatti, la cui gravità è sotto gli occhi di tutti. C’è da stare certi che costituirà, di nuovo, un contributo fondamentale per aiutare il mondo a definire la governance del sistema terra che ci serve per far fronte alle molteplici crisi in corso.