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Il mare è già la nuova frontiera dell’energia alternativa alimentata dal vento. I parchi marini offshore crescono del 30% all’anno e potrebbero diventare una fonte illimitata.
L’epopea del vento è cominciata sulla terraferma, ma i pionieri dell’eolico, guidati dalla danese Orsted, si avventurarono presto in mare, alla ricerca di spazi aperti dove innalzare le loro pale senza disturbare nessuno. Tre decenni dopo, ora l’eolico offshore è la fonte rinnovabile che cresce di più, a colpi del 30% l’anno. I parchi marini, però, sono circoscritti alle zone con fondali bassi, al massimo fino a 60 metri di profondità, per consentire di piantare le turbine sul fondo del mare. Un grosso limite, che alcuni coraggiosi stanno tentando di valicare. «Se la prossima generazione di parchi eolici sarà galleggiante, si aprirà un’era di energia pulita quasi illimitata», sostiene Henrik Stiesdal, padre dell’eolico danese e ora molto impegnato sul fronte delle turbine galleggianti, con diversi progetti in Europa, fra cui uno anche in Italia. Le stime dell’International Energy Agency, secondo cui le turbine eoliche galleggianti potrebbero produrre oltre dieci volte l’energia necessaria a soddisfare il fabbisogno mondiale di elettricità, lo confermano.
La maggior parte dei parchi eolici offshore sono stati installati finora al largo di Paesi come la Gran Bretagna, la Germania, la Danimarca e la Cina, che hanno ampie distese di fondali bassi davanti alle loro coste. Le turbine galleggianti consentirebbero invece agli operatori eolici di seguire l’esempio dell’industria petrolifera, che trivella abitualmente in acque profonde più di un chilometro. Così si aprirebbero molti nuovi mercati, dalla costa occidentale degli Stati Uniti alla Francia, dal Mediterraneo alla Corea del Sud. Per gli operatori dell’eolico offshore questa è una speranza che proprio in questi mesi si sta concretizzando in realtà, con una fioritura di progetti senza precedenti.
«L’eolico galleggiante non è più una tecnologia di nicchia», ha detto il numero uno di WindEurope Giles Dickson alla conferenza del settore, Floating Offshore Wind Turbines 2020 (Fowt2020). «L’eolico galleggiante è maturato e negli ultimi anni ha registrato significative riduzioni dei costi. Con le economie di scala derivanti dall’aumento dei volumi ci saranno ulteriori passi avanti. Se l’Europa metterà in atto le politiche giuste, l’eolico galleggiante potrebbe ridurre i suoi costi a 40-60 euro a megawattora entro il 2030, diventando pienamente competitivo con le altre fonti», prevede Dickson.
Oggi, i 62 megawatt di capacità eolica galleggiante in Europa rappresentano ancora una minuscola quota delle installazioni offshore. Ma con il progetto Hywind da 30 megawatt in Scozia e il progetto Windfloat Atlantic da 24 megawatt in Portogallo, l’Europa sta diventando il leader tecnologico globale per le turbine galleggianti. Piani concreti per installare parchi di questo tipo ci sono già in sette Paesi europei: Francia, Regno Unito, Norvegia, Portogallo, Spagna, Svezia e Italia. Il primo parco eolico galleggiante del Mediterraneo potrebbe nascere presto nel Canale di Sicilia, al largo di Marsala. L’impianto, chiamato 7Seas Med, sarà composto da 25 pale galleggianti da 10 megawatt ciascuna e sarà invisibile dalla costa siciliana, a una distanza di oltre 35 chilometri da Marsala e altrettanti dalle Egadi, in direzione della Tunisia. In quello specchio di mare il fondale ha circa 300 metri di profondità e quindi si presta a meraviglia per delle turbine galleggianti, mentre sarebbe impossibile installarvi delle normali turbine offshore fisse, che non possono superare una profondità di 50-60 metri. Il progetto, che comporta un investimento di 741 milioni di euro, è stato sviluppato dalla società danese Copenhagen Offshore Partners con il sostegno del fondo Copenhagen Infrastructure Partners, specializzato in grandi progetti di energia rinnovabile in tutto il mondo, ed è stato presentato prima dello scoppio della pandemia al ministero dell’Ambiente e al ministero delle Infrastrutture. «Ora navighiamo nel mare procelloso della burocrazia italiana, ma se tutto andrà bene il programma prevede di avviare il cantiere nel 2023», commenta il progettista Luigi Severini, che ha firmato anche il progetto dell’unico altro parco eolico offshore italiano, in via di realizzazione nel porto di Taranto.
La tecnologia che verrà utilizzata si chiama TetraSpar ed è stata sviluppata da Stiesdal, che dopo aver passato una vita tra i colossi del settore, come Vestas e Siemens Gamesa, ha fondato una piccola società partecipata da Shell e dalla tedesca Innogy. Il suo prototipo, da 6 megawatt, è in costruzione in Danimarca con la partecipazione di Siemens e sarà varato a breve in acque norvegesi. «La particolarità della tecnologia di Stiesdal, che la distingue da quelle dei concorrenti, è che si basa sull’utilizzo di elementi di galleggiamento composti dagli stessi cilindri di metallo con cui si costruiscono le torri eoliche, quindi non prevede una produzione ad hoc per questi elementi, che vanno a formare un grande triangolo da 80 metri di lato alla base della torre. Questo comporta un enorme vantaggio sul piano delle economie di scala e dell’industrializzazione, infatti le turbine di Stiesdal sono molto meno costose delle altre turbine galleggianti utilizzate nei progetti entrati in funzione finora», spiega Severini. Il suo triangolo è in grado di reggere macchine gigantesche, come le altre turbine offshore, con 220-240 metri di diametro. «Quelle previste nel parco 7Sea Med sono da 10 megawatt di potenza, ma in altri progetti che abbiamo nel Mediterraneo si parla già di usare turbine da 12 e perfino da 14 megawatt, con le economie di scala che si possono immaginare e un impatto ambientale sempre più ridotto, visto che servono meno turbine per arrivare alla potenza totale desiderata», precisa Severini.
Data la dimensione di questi impianti, l’Italia potrebbe diventare un leader di questo settore in grandissima crescita, perché ha le strutture per affrontare le turbine giganti, strutture che nel resto del Mediterraneo non ci sono. «Per l’industria italiana potrebbe essere un’occasione straordinaria, che andrebbe esaminata con attenzione in sede di programmazione economica», fa notare Severini. L’Europa punta a produrre con l’eolico offshore il 25% della sua elettricità entro il 2050. WindEurope ha calcolato che un terzo di queste pale offshore saranno galleggianti, con un potenziale di 330 megawatt di eolico galleggiante entro il 2022, di 7 gigawatt entro il 2030 e di 150 gigawatt entro il 2050 nel mare del Nord, nel Mediterraneo e nell’Atlantico europeo. La gara a chi arriva prima ai vertici di questo settore nascente è aperta.