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La nuova corsa all'oro è la produzione del litio geotermico che abbatte i costi ed è sostenibile. Cosa sta facendo l’Italia.
Storicamente, il litio si produceva soprattutto nelle zone andine del Cile e dell’Argentina, dove la salamoia ricca di litio estratta dal sottosuolo rimane per settimane negli stagni di evaporazione prima di raffinare il minerale, un processo lungo che consuma grandi quantità di acqua in alcuni dei luoghi più aridi del pianeta. Oggi, il litio viene principalmente estratto dalle miniere a cielo aperto in Australia e quindi esportato in Cina per essere raffinato. L’80-90% del litio utilizzato nei veicoli elettrici europei segue questo percorso. Non a caso l’Unione europea ha inserito il litio tra le materie prime critiche, stimando un fabbisogno in crescita di quasi 60 volte al 2050.
In Europa non esiste, ad oggi, estrazione o raffinazione del litio e il 100% del fabbisogno dev’essere importato, con tutti i rischi geopolitici correlati, che la crisi attuale sta mettendo ancora più in luce. Per non parlare dei rischi ambientali e climatici: in base alle stime di Minviro, una società specializzata nel lifecycle assessment delle materie prime, ogni tonnellata di idrossido di litio prodotta in Cina causa circa 15 tonnellate di emissioni di CO2. Per produrre 77 milioni di tonnellate di litio nel 2019 è stato emesso oltre 1 miliardo di tonnellate di CO2 nell’atmosfera, l’equivalente di Regno Unito, Francia e Italia insieme. Messa così, l’auto elettrica rappresenta un progresso solo apparente.
La logica soluzione per alleviare la nostra dipendenza dalla Cina e dai rischi ambientali e geopolitici correlati è avviare la produzione di litio a livello europeo, ma i progetti minerari, in particolare a cielo aperto, in Europa hanno poche possibilità di ottenere l’autorizzazione. L’alternativa è il litio geotermico. In base alle stime dell’European Geothermal Energy Council, disciolto nell’acqua delle salamoie geotermiche europee c’è almeno il 25% del nostro fabbisogno di litio al 2030. Si dà poi il caso che il bacino geotermico più ricco di litio si trovi lungo il Reno, a cavallo tra la Francia e la Germania, nel raggio di 2 ore di macchina delle più grandi aree dell’industria automobilistica europea, dove stanno già sorgendo le gigafactory che entro il 2030 porteranno l’Unione Europea a produrre batterie per 500 gigawattora, 30 volte la potenza attuale. Il litio geotermico europeo sarebbe dunque quasi a chilometro zero e avrebbe un valore strategico fondamentale.
L’idea di Vulcan Energy, l’azienda germano-australiana che sta facendo da apripista a questi nuovi sistemi di estrazione, è di arrivare a produrre litio a emissioni zero, sfruttando la stessa energia geotermica per filtrare dalla salamoia l’idrossido di litio, che è il semilavorato necessario per le batterie. Il progetto Zero Carbon Lithium sarà sufficiente, a regime, per la produzione di un milione di batterie all’anno. L’azienda sta utilizzando un impianto pilota per il processo di estrazione del litio collegato direttamente a un impianto geotermico a Insheim, poco lontano da Karlsruhe, e vende già energia rinnovabile alla rete tedesca. Nella seconda metà dell’anno entrerà in funzione un grande impianto dimostrativo, che è l’ultimo passaggio tecnico prima dell’avvio dell’impianto commerciale, che dovrebbe essere operativo nel 2024. La società, quotata sia alla Borsa tedesca che australiana, capitalizza oltre 1 miliardo di dollari e ha raccolto 320 milioni di dollari l’anno scorso per finanziare lo sviluppo del progetto. Vulcan Energy ha anche firmato accordi di fornitura di litio a lungo termine con cinque attori chiave tra cui Volkswagen, Renault, Stellantis, Umicore e LG.
La produzione geotermica del litio, oltre a sfruttare unicamente una fonte rinnovabile, abbatte quasi della metà i costi di estrazione – stimati in 3.140 dollari a tonnellata, rispetto ai 6.500 di quello minerario e 5.872 di quello da soluzione salina – consumando un sesto dell’acqua e una cinquecentesima parte del territorio. Da qui la corsa globale verso questa nuova tecnologia, con progetti che si stanno sviluppando un po’ in tutto il mondo occidentale, a partire da Regno Unito, Francia e Spagna, ma anche in Nuova Zelanda e California. Uno di questi è stato avviato dalla Controlled Thermal Resources, società partecipata da General Motors con l’obiettivo di approvvigionarsi di litio geotermico a buon mercato e a basso impatto ambientale.
Vulcan non si limita al bacino dell’Alto Reno ed è molto interessata alle potenzialità del territorio italiano, ricco di sorgenti geotermiche. La controllata italiana di Vulcan ha ottenuto all’inizio di quest’anno un primo permesso per cercare la materia prima nelle salamoie geotermiche di Cesano, vicino al lago di Bracciano nel Lazio. «Dopo un’ampia revisione geologica abbiamo identificato un’area in Italia con indicazioni positive di portata, grado storico di litio e temperatura del serbatoio geotermico, che potrebbe essere favorevole al metodo Vulcan di utilizzare il calore rinnovabile per estrarre litio per il mercato europeo dei veicoli elettrici, con un’impronta netta di CO2 pari a zero», ha annunciato Francis Wedin, fondatore e Ceo di Vulcan, in occasione dell’avvio delle operazioni.
La presenza di litio geotermico nell’area non è una novità. Nel 1975 fu l’Enel a scoprire un fluido geotermico d’interesse, scavando il pozzo Cesano 1 fino a 1.390 metri di profondità, dove trovò una temperatura di circa 200°C e un contenuto di litio pari a 350-380 milligrammi al litro. Questi dati storici sulla concentrazione di litio sono «tra più alti a livello mondiale registrati in un ambiente geotermico con falda acquifera confinata» e dunque, come spiegano da Vulcan, il campo geotermico di Cesano «presenta caratteristiche molto favorevoli» per la sua produzione. Nelle salamoie dell’Alto Reno si stima una presenza media di litio di circa 180 milligrammi al litro.
La possibilità di questo doppio sfruttamento del calore del sottosuolo per estrarre il litio non riguarda certo solo Cesano. Come spiega l’Unione geotermica italiana, in “varie regioni (Emilia, Sardegna, Sicilia, Toscana) si conoscono acque di minor termalità con contenuti significativi di litio”. Esiste peraltro un ovvio potenziale nei campi geotermici della Toscana, come dimostra l’interesse manifestato da Enel attraverso il bando Brinemine, a individuare tecnologie atte al recupero del litio (e di altri metalli) dai fluidi geotermici. Andrea Dini, ricercatore dell’Igg-Cnr, evidenzia in particolare come nel granito situato a poca profondità nel campo geotermico di Larderello sia presente una mica ricca in litio: qui si stima un contenuto di litio di circa 500 grammi per metro cubo di roccia, una sorgente potenziale del tutto ragguardevole. Vaste aree del territorio italiano, secondo gli esperti, si prestano molto all’estrazione del litio geotermico, con cui si potrebbe coprire buona parte del fabbisogno nazionale di questo minerale così centrale per la transizione energetica.