Il prezzo geopolitico della sostenibilità

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Il prezzo geopolitico della sostenibilità

Il mondo dell'energia di domani non assomiglierà per niente a quello di oggi. Su questo siamo d'accordo tutti. Ma quali saranno i vincitori e i vinti? Changes ne ha parlato con Henry Sanderson.

Chi ci sarà al posto degli sceicchi e dei miliardari russi, vecchi detentori della ricchezza fossile? La domanda se l’è posta, nel libro Volt Rush, Henry Sanderson, grande esperto di geopolitica delle risorse, prima come corrispondente da Pechino per l’Associated Press e per Bloomberg, poi come responsabile delle materie prime per il Financial Times e infine come direttore di Benchmark Mineral Intelligence. Il suo libro è appena stato pubblicato anche in traduzione italiana con il titolo Il prezzo della sostenibilità. Vincitori e vinti nella corsa globale all’auto elettrica (Post Editori, 320 pagine) e fa il punto sulla nuova geopolitica energetica che ci aspetta.

Allora, chi saranno i nuovi sceicchi?

«La Cina, al momento, è sicuramente il leader mondiale della transizione energetica. Malgrado continui a costruire centrali a carbone, la sua potenza rinnovabile è la prima al mondo e con la sua filiera produttiva ha puntato tenacemente su questo settore, tanto che ormai è leader di mercato in quasi tutte le tecnologie rinnovabili, dal fotovoltaico alle batterie. Per non parlare dell’estrazione e della lavorazione delle materie prime necessarie alla produzione di queste tecnologie, che è dominata da pochissimi Paesi, con la Cina sempre in testa».

È anche grazie all’impegno cinese che i costi di generazione da fonti rinnovabili sono scesi fino a rendere l’energia verde competitiva con quella fossile…

«Da questo punto di vista dobbiamo ringraziare la Cina. Senza l’impegno cinese oggi le tecnologie rinnovabili non sarebbero diventate prodotti di massa».

Questa forte concentrazione nelle catene di approvvigionamento globali, però, è una sfida che i governi occidentali dovranno affrontare…

«L’Occidente sta recuperando terreno, ma non sarà facile e ci vorrà tempo. C’è bisogno di investire in fretta in queste filiere, per emanciparsi dalla dipendenza dalla Cina. Come si è già visto, la concentrazione in qualsiasi punto lungo le catene di fornitura rende il percorso vulnerabile agli incidenti, siano essi legati a scelte politiche di un singolo Paese, a guasti tecnici o a decisioni aziendali. Il pianeta trarrebbe grande vantaggio da catene di approvvigionamento delle tecnologie pulite più diversificate».

Il caso della dipendenza dal gas russo insegna.

«Esattamente. L’Europa si è gettata nelle braccia di un unico fornitore di gas come una sonnambula e si è svegliata solo con l’invasione russa dell’Ucraina. Un altro effetto di questa aggressione è stato il riavvicinamento fra la Russia e la Cina, che rende l’Occidente ancora più vulnerabile. Da qui l’urgenza di emanciparsi da questa dipendenza».

Come fare per recuperare il terreno perduto?

«C’è bisogno di investire in maniera massiccia, come stanno cominciando a fare gli Stati Uniti con l’Inflation Reduction Act e già si vede una risposta anche dall’Europa. Questi investimenti, però, non serviranno a nulla se non si cambierà il sistema delle autorizzazioni, che in Occidente è troppo farraginoso ed è sintonizzato con il vecchio mondo dell’energia, non con il nuovo. In Cina le indicazioni del governo di fare spazio alle nuove tecnologie rinnovabili passano senza ostacoli e gli impianti si installano velocemente, mentre in Occidente le resistenze del vecchio mondo sono accanite e i tempi di realizzazione delle innovazioni sono lunghissimi».

Un altro problema delle democrazie è la mancanza di unità…

«Infatti, c’è bisogno di una risposta unitaria alla Cina da parte dell’Occidente, mentre già emergono incrinature in relazione a un possibile attacco cinese a Taiwan, come si è visto in occasione della visita del presidente francese Emmanuel Macron a Pechino. Su questo bisognerà stare attenti, perché la Cina è molto più integrata della Russia nell’economia globale. Mentre la crisi con la Russia ha impattato settori limitati, con effetti relativamente facili da aggirare, una crisi con la Cina rischia di bloccare completamente l’economia globale».

La coesione occidentale è recuperabile in prospettiva?

«La risposta alla Russia ha dimostrato una straordinaria capacità di coesione dell’Occidente e anche nel caso della Cina si stanno coagulando reazioni virtuose. Sulla catena di approvvigionamento alternative per l’energia pulita si stanno stringendo alleanze importanti fra Stati Uniti, Australia, Giappone, Sud Corea ed Europa, ma allo stesso tempo emergono differenze fra i Paesi sulla volontà di collaborare con l’industria cinese».

Come si concilia questo processo con l’urgenza di combattere l’emergenza climatica?

«C’è una forte tensione fra la necessità di ridurre rapidamente le emissioni globali e l’esigenza di costruire nuove catene di approvvigionamento. L’industria cinese ha una fortissima expertise nelle tecnologie pulite, come si vede ad esempio con lo sviluppo delle batterie al sodio, e quindi è importante facilitare il trasferimento tecnologico dalla Cina all’Occidente. La capacità dell’Occidente di trasformare il rapporto con la Cina da una dipendenza a una collaborazione sarà il nodo centrale per arginare l’emergenza climatica».

​Giornalista, scrive di temi economici, d'innovazione tecnologica, energia e ambiente per diverse testate, fra cui il Corriere della Sera, il Sole 24 Ore e il Quotidiano Nazionale. Invidia i colleghi che riescono a star dietro a Twitter.