Adattarsi al clima: le città cambiano colore
Le aree urbane risentono più delle aree rurali del surriscaldamento globale. Il cosiddetto “effetto isola di calore” può aumentare le temperature di 4-5 gradi centigr
Il carbon budget è ciò che definisce la quantità di emissioni di anidride carbonica che possiamo ancora emettere prima di raggiungere la soglia di 1.5°C di aumento della temperatura. Spoiler: più tardi è, meglio viviamo, e dipende anche da noi.
Immaginatevi di avere in mano una tazza che state riempiendo di acqua bollente ( come la CO2 per il nostro pianeta). Siete ben consapevoli del fatto che anche solo una goccia di acqua bollente sulla pelle fa molto male. Continuate a riempire la tazza, ma arrivati all’orlo non vi fermate. L’acqua scorre e brucia prima la pelle e poi la carne. Ancora, non vi fermate. È doloroso, ma c’è qualche meccanismo nella vostra testa che non vi permette di fermarvi: credete che ci sia un trucco, che ciò che sta accadendo non sia vero, che sia semplicemente un brutto sogno. Invece, con grande stupore e disappunto, realizzate a un certo punto che è semplicemente la realtà.
Questa situazione è paradossale, non potrebbe mai accadere – o comunque avrebbe bassissime possibilità di accadere – nella realtà, giusto? È invece proprio ciò che sta accadendo con il “carbon budget“: benché non siamo ancora arrivati a riempire completamente la tazza, l’acqua che abbiamo versato e che non ha ancora raggiunto la superficie è sufficiente per riempire la tazza fino quasi all’orlo. Se dunque continueremo a versarla, ci scotteremo. Questa immagine spiega benissimo il concetto del carbon budget, che è la quantità residua di emissioni di Co2 che possiamo ancora emettere nell’atmosfera per rimanere sotto la soglia di un grado e mezzo di aumento della temperatura media globale. Stiamo immettendo emissioni nell’atmosfera come versiamo l’acqua nella tazza: stiamo arrivando all’orlo, abbiamo già emesso tantissimo e tra poco ci scotteremo. Non sembrano esserci segnali di arresto nella produzione di gas climalteranti – come la CO2 – da parte di stati e aziende, e ciò complica pesantemente la situazione, perché raggiunto il grado e mezzo si metteranno in moto alcuni meccanismi che interesseranno il mondo naturale e il clima, che saranno impossibili da fermare. E ricordiamoci che in un sistema interconnesso come quello moderno, un disastro naturale in un emisfero, può causare seri danni all’economia dell’emisfero opposto.
Punto di non ritorno
1.5°C è una soglia importantissima da tenere a mente, poiché segna il punto dal quale non si potrà più tornare indietro: una volta superato, sarà impossibile ripristinare le condizioni precedenti. Con un grado e mezzo si innescheranno dei meccanismi tali per cui le conseguenze della crisi climatica si aggraveranno ulteriormente, colpendo tutto il globo. Acidificazione degli oceani, innalzamento del livello dei mari e derivante sommersione di alcune delle più importanti città del mondo, perdita della biodiversità, desertificazione, ondate di calore estreme ed eventi climatici catastrofici sono solo alcune delle conseguenze di cui avremo esperienza e con cui dovremo convivere. Anche un semplice calcolo di costi e benefici proiettati a lungo termine mostrerebbe come sia necessaria un’azione invasiva, capillare e repentina per ridurre drasticamente le emissioni di CO2. Quando parliamo di “necessità di agire, ora” intendiamo azioni mirate di mitigazione e adattamento per rispondere alla minaccia del cambiamento climatico. Bisogna lavorare sulle cause profonde del riscaldamento globale di origine antropica per ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera e allo stesso tempo prepararsi per gestirne gli effetti.
Abbiamo spesso sentito pronunciare la frase “non c’è più tempo”, ma probabilmente poche volte ci siamo interrogati sul suo vero senso. L’abbiamo lasciata cadere dalle labbra di chi l’ha detta senza che le nostre orecchie ne cogliessero il significato. Alludere al fatto che non ci sia più tempo da perdere per agire, mitigare e adattare, è un riferimento molto chiaro all’esaurimento del carbon budget: considerato che a livello globale emettiamo circa tra le 30 e 40 giga tonnellate di CO2 all’anno, e constatato che la scienza sostiene che il carbon budget sia di circa 300 giga tonnellate, ciò vuol dire che mancano sei anni prima di arrivare al punto di non ritorno.
Con “punto di non ritorno” non intendiamo che il mondo finirà da un giorno all’altro, ma avremo esperienza di un lento e doloroso declino della biodiversità, che porterà al crollo degli ecosistemi e avrà gravissime ripercussioni sulle economie globali. La crisi climatica interessa qualsiasi aspetto della vita quotidiana, dalla sicurezza alimentare alla sanità, dall’industria ai trasporti, dall’istruzione all’economia, ed è impensabile non avere un piano a lungo termine che possa sanare la situazione. Ad esempio, con 1.5°C di aumento della temperatura media terrestre morirà tra il 70% e il 90% delle barriere coralline, principalmente a causa della acidificazione degli oceani e dello sbiancamento dei coralli. Il deperimento delle barriere coralline non è affatto una questione da sottovalutare, poiché mostra la stretta connessione tra business as usual e crisi climatica: esse hanno un valore economico di 36 miliardi di dollari all’anno nel settore turistico e costituiscono il principale mezzo di sussistenza di quasi 100 milioni di persone in tutto il mondo.
Non si può quindi omettere o sbagliare la comunicazione riguardante il carbon budget, dato che è uno dei pilastri portanti dello studio delle conseguenze del cambiamento climatico, e dovrebbe anche esserlo nella decisione e implementazione di politiche governative a lungo termine, volte alla tutela dell’ambiente così come al rafforzamento dell’economia e della sicurezza dei cittadini. Quando diciamo “non c’è più tempo” non stiamo parlando per slogan, stiamo cercando di far capire in qualche modo che abbiamo davvero poche possibilità di imboccare la strada giusta, e, per ora, sembra che il navigatore si sia smarrito.